Omelie

«Veri e presunti anticorpi». Due omelie del padre abate Bernardo per la VII Domenica del Tempo Ordinario

23 febbraio 2020 – VII Domenica del Tempo Ordinario (A)

 

Dal libro del Levitico
Il Signore parlò a Mosè e disse:
«Parla a tutta la comunità degli Israeliti dicendo loro: “Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo.
Non coverai nel tuo cuore odio contro il tuo fratello; rimprovera apertamente il tuo prossimo, così non ti caricherai di un peccato per lui.
Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso. Io sono il Signore”».

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi
Fratelli, non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui. Perché santo è il tempio di Dio, che siete voi.
Nessuno si illuda. Se qualcuno tra voi si crede un sapiente in questo mondo, si faccia stolto per diventare sapiente, perché la sapienza di questo mondo è stoltezza davanti a Dio. Sta scritto infatti: «Egli fa cadere i sapienti per mezzo della loro astuzia». E ancora: «Il Signore sa che i progetti dei sapienti sono vani».
Quindi nessuno ponga il suo vanto negli uomini, perché tutto è vostro: Paolo, Apollo, Cefa, il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro: tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio.

Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Avete inteso che fu detto: “Occhio per occhio e dente per dente”. Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu pórgigli anche l’altra, e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due. Da’ a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle.
Avete inteso che fu detto: “Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico”. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste».

Vorrei riportare alla nostra coscienza di fede quanto la nostra vita sia esposta ad ogni rischio ma proprio nella sua precarietà ritrova la preghiera come ragione di speranza, ragione di comunione, ragione di partecipazione di un amore più forte del male, dell’oscurità e della stessa morte. Siamo qui per questo fratelli e sorelle, sappiamo che la grazia del Signore è tanto più efficace quanto meno incontra gli ostacoli del nostro peccato, le resistenza di quel calcare che rende duro il nostro cuore, refrattario alla sua parola di speranza e di salvezza. Per questo ci riconosciamo umilmente, non solo fragili ed esposti alle epidemie del male, ma anche alle mille tentazioni di quel peccato che ci allontana da noi stessi, dagli altri e da Dio.

Omelia della Celebrazione Vespertina

Fratelli e sorelle, la liturgia della parola oggi ci offre la possibilità di riscoprire una vertiginosa assimilazione al mistero stesso di Dio, alla sua perfezione, come ci ha insistentemente detto il Signore Gesù, alla sua santità, giacché lui è santo, come ci ha detto la prima lettura, una sorta di assimilazione al mistero che vede le nostre vite come catturate da una energia autenticamente ascensionale che ci raccoglie lì dove siamo, per ingaggiare una sorta di contesa fra noi e la grande tentazione di sentirci di fatto obbligati alla mediocrità, al calcolo, alla rassegnazione, all’interesse, all’egoismo, a tutto quello che chiude e taglia le ali al nostro cuore.

Per questo il poeta grande che abbiamo celebrato nella drammaturgia che ha preceduto questa Santa Messa e cioè Mario Luzi, in Opus Florentinum parlando della nostra Cattedrale di Firenze, la immagina, egli dice, come una officina delle ali, in cui in questo laboratorio febbrile e infuocato ci vengono fabbricate le ali per imparare a volare, un movimento ascensionale con cui leggere le fortissime raccomandazioni che il Signore ci fa, a prima vista oggettivamente non affrontabili dalla nostra sostanziale mediocrità, dalla nostra rassegnazione, dalla nostra consuetudine di vita che nemmeno si immagina, fratelli e sorelle, di avere questa potenzialità di volo, in cui con le ali fabbricate dalla pazienza stessa di Dio stesso al vento dell’amore, noi possiamo davvero arrivare alla santità di Dio, alla sua perfezione.

Parole vertiginose che richiedono anche una sorta di controspinta perché questo nostro volo non diventi davvero come il folle volo di Icaro, in una sorta presunzione che avvicinandoci troppo al sole struggerebbe per così dire le nostre stesse ali

Ci viene di conforto in questa prospettiva la parola del salmo “Quanto dista l’oriente dall’occidente, così egli allontana da noi le nostre colpe”.

Bellissimo! Sembra che il Signore davvero faccia del nostro corpo, del nostro cuore, della nostra vita una fusoliera di aereo in cui non c’è zavorra, non c’è peso, perché le distanzia il Signore, queste colpe, queste contraddizioni, queste fragilità con cui troppe volte noi ci giustifichiamo per impedire questo scatto evangelico di qualificazione della nostra vita resa possibile, fratelli e sorelle, lo comprendete molto bene, non da un virtuosismo titanico che ci renda quasi degli dei olimpici che possono ascendere a vertiginose cime di sapienza mediante chissà quale addestramento filosofico, psicologico, Paolo è stato chiarissimo, di fronte al mistero della croce non c’è sapienza che tenga, anzi : “Se qualcuno tra voi si crede un sapiente in questo mondo, si faccia stolto per diventare sapiente, perché la sapienza di questo mondo è stoltezza davanti a Dio.  “ – è chiarissimo Paolo, è una illusione quella dell’uomo di poter, per così dire, fabbricarsi da solo questa fusoliera che lo rende capace davvero di approdare all’altezza assoluta del Padre celeste.

E allora fratelli e sorelle com’è che ci possiamo lasciare lavorare dall’amore di Dio? Beh anzitutto la prima fabbrica, il primo metodo è quello per il quale noi tutti siamo qui, in questa officina delle ali anche se non è la Cattedrale di Firenze, la bellissima immagine molto concreta di Mario Luzi vale anche per questa cripta. Qui arriviamo come dei rottami, dei relitti, dopo il naufragio di una settimana in cui inevitabilmente ci siamo mescolati con una storia difficile, contorta, ora poi l’avanzare di questa epidemia fratelli e sorelle -la mia è valutazione certamente non scientifica- tocca sfere profonde del nostro cuore con cui riecheggiano nella coscienza del nostro presente le antiche cronache medioevali nelle quali si leggeva la paura che le città fossero raggiunte dal flagello inarrestabile della peste, in forza del quale si cercavano luoghi isolati, luoghi riparati, si mettevano in scena attitudini che si ritenevano in qualche modo utili per fermare questo male oscuro alla cui forza eravamo inspiegabilmente esposti e ancora, una serie di rituali dove la fede si confonde col magico e dove il magico si confonde col sacro, in una dimensione che mette a nudo ancora una volta fratelli e sorelle la nostra insuperabile fragilità, creaturalità, debolezza.

E allora, anche se forse non è troppo raccomandabile secondo il parere di qualche medico, qui noi invece abbiamo proprio bisogno di affacciarsi nel giorno del Signore, sentire che la parola di Dio conforma le nostre vite aggiustando i nostri rottami  conformandoli alla perfezione e alla pienezza dell’uomo Gesù Cristo per vivere la sua divinità e ancora, invisibili angeli, senza che noi nemmeno ce ne accorgiamo, con la forza che promana dalla divina Eucaristia fanno germogliare sulle nostre spalle delle ali che, finalmente consapevoli di questa altissima vocazione riposta nel nostro cuore, impariamo ad usare, fratelli e sorelle, in logiche di amore, di comunione, di condivisione, tutte improntate di nuovo non tanto alla nostra pur nobile filantropia con la quale l’uomo, talvolta un po’ presuntuosamente pensa di potersi ritenere giustificato perché fa un po’ di bene, no fratelli e sorelle! Oggi, anche qui con grande lucidità, Paolo configura la possibilità del nostro essere perfezione divina, santità divina, alla riscoperta, in realtà bellissima, di essere tutti insieme tempio vivente del Signore, inabitato dalla forza del suo Santo Spirito.

Lasciatemi dire che già la consapevolezza esistenziale di quello che noi possiamo essere partecipando all’unica mensa della parola e dell’Eucaristia che è questo altare, io credo ci doni nel cuore un’energia che non sarà scientificamente dimostrabile come efficace anticorpo o antibiotico, ma mi viene da pensare che restituisca al nostro cuore uno slancio di vita, di speranza, di fede, di consapevolezza che, nonostante le epidemie, il male, il nostro stesso peccato, questa vita finalmente fiorisce, non come una casualità accidentale, ma come un bellissimo disegno la cui filigrana ha tutta la bellezza del volto di Cristo, ha tutta la consistenza della sua testimonianza di amore, ha tutta l’energia della sua offerta pasquale di amore, quella che  stolta  allo sguardo dei grandi sapienti del tempio di Gerusalemme e della corte di Pilato, diventa quella straordinaria sapienza divina che, inabitando nei nostri cuori, ci rende più saldi delle colonne che sostengono queste millenarie volte e quindi ci rendono in grado di affrontare il mistero della vita, fratelli e sorelle,  senza cedere alla disillusione, alla mediocrità, alla disperazione, offrendo anche una parola alta, una testimonianza alta di fronte a qualsiasi psicosi di ieri di oggi e di domani in cui già questa parola segnala una patologia di quello che, per la nostra ormai ridotta antropologia è il massimo, quasi il top dell’uomo, questa psiche che noi consegniamo, e giustamente se ce n’è bisogno, agli psicologi, ma dimenticando che vivendo in Cristo noi non siamo solo corpo, non siamo sono anima ma siamo, e soprattutto, spirito.

E’ lui che ci raduna fratelli e sorelle, lui l’architetto che fa delle nostre esistenze plurali una unità organica assimilabile alla saldezza, alla bellezza, alla compattezza del tempio, immagine con la quale Paolo conforta i suoi destinatari invitandoli ad una esperienza di coesione, di amore che Gesù ci raccomanda con un altro linguaggio e Paolo ce lo dice con una immagine per cui senza quella colonna, senza quella pietra, senza quel capitello, niente si tiene e così il nostro stare insieme, fratelli e sorelle!

E questa prospettiva ha una assimilazione questa volta fratelli e sorelle mirabilmente discensionale a conferma che tutto quello che noi possiamo diventare è perché, come ci insegna San Giovanni, non siamo stati noi ad amare ma è Lui che ha amato noi, rendendoci così capaci di testimoniare l’amore che anzitutto abbiamo ricevuto, come ben sanno i bambini che hanno la fortuna di crescere nell’abbraccio forte e sicuro di quei genitori che garantiscono loro un amore che li renderà abili a testimoniarlo nella vita che il Signore prepara loro.

Ed è la prospettiva bellissima, davvero anch’essa vertiginosa, abissale, che mi piace sottolineare in conclusione proprio perché sia la consapevolezza sicura nella quale muovervi nell’orizzonte della storia, anche qui col massimo rispetto delle indicazioni mediche scientifiche, io sono un uomo pseudoletterato quindi so di non avere competenze in materia, però mi hanno assicurato che le mascherine fanno ben poco e secondo me fa molto di più entrare in questa bellissima prospettiva, ascoltate:  “Il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro -dice Paolo- tutte è vostro”- cioè capite che c’è una connessione sostanziale fra mondo, tempo, spazio, vita, non c’è niente di casuale in questa connessione, tutto è voluto dalla sapienza dell’amore di Dio, una sapienza che brilla nel mistero oscuro della croce a confermarne tutto il coinvolgimento divino perché tale sapienza non sia smentita dal nostro peccato ma attenzione “Tutto è vostro” “Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio” – sentite  come si possa contemplare per davvero una vertiginosa cima di montagna, c’è la nostra vita, il mondo, la morte, il presente, il futuro, tutto nostro, ma noi apparteniamo a Cristo e Cristo stesso appartiene a Dio, come una sorta di cerchi concentrici sentiamo che la nostra esistenza è circondata dall’amore di Cristo e Cristo stesso a sua volta circondato dall’amore di Dio.

Ecco, mi piace pensare che questa consapevolezza sia l’anticorpo più efficace per ben peggiori epidemie, fratelli e sorelle, quelle che uccidono il nostro cuore, uccidono le nostre speranze, ci fanno morti prima ancora di morire.

Di questa terribile sventura che può accadere alla nostra umanità, sempre rinchiusa per paura e disperazione nelle ristrette pareti del proprio cuore, si erge questo bellissimo Vangelo di amore folle senza calcolo, senza interesse, senza riserve, che Gesù ci insegna per poter finalmente essere liberi di volare nell’orizzonte infinito della sua comunione, della sua grazia e della sua luce- Amen!

Omelia della celebrazione mattutina

Forse davvero fratelli e sorelle abbiamo bisogno di risentirci nel cuore espressioni così qualificanti per la nostra vita e il nostro camminare insieme, e anche il nostro sostare insieme, quali quelle che Paolo rivolge ai Corinzi: siete tempio di Dio, lo Spirito di Dio abita in voi, santo è il tempio di Dio che siete voi.

E credo che davvero sia molto importante ricordare questa vertiginosa assimilazione della nostra vita, del nostro stare insieme al Signore che ci inabita e che con la forza del suo Santo Spirito fa del nostro corpo e dei nostri corpi in relazione, davvero l’edificio organico che è la sua Chiesa e il suo abitare la storia e gli spazi attraverso il nostro esserci, fratelli e sorelle, chiamati ad essere, in pienezza, reale esperienza di immagine e somiglianza del suo mistero.

Una qualificazione vertiginosa che passa attraverso due fondamentali categorie ben connesse fra di loro, evocate dalla prima lettura e dal Vangelo stesso del Signore, cioè la categoria della santità, la categoria della figliolanza: siate santi perché io sono santo e, come ci invita ad essere Gesù, partecipi di un amore si direbbe universale, cosmico, che non fa distinzione in forza del nostro essere autenticamente figli del Padre celeste.

Tutte premesse fondamentali alle esigenti raccomandazioni di amore che il Vangelo ci torna a proporre anno dopo anno, mostrandoci tutta la nostra inadeguatezza, incoerenza, mettendo a nudo le nostre paure, i nostri calcoli, il nostro tornaconto, mettendo a nudo come sia davvero difficile l’esperienza evangelica di liberazione dalla dittatura del nostro io, dalla dittatura della nostra sopravvivenza a tutti i costi, e da questa incapacità di includere, al cuore stesso delle relazioni con gli altri, l’energia dilatante della fede, l’energia dilatante di quello Spirito che non genera distanza, sia ben chiaro, ma dilatando i nostri cuori arriva a tracciare percorsi di inclusione che, per essere veramente tali, abbisognano di una spinta che non può venire certamente dalle ristrettezze e dalle angustie del nostro cuore, così esposto alla paura, così esposto al timore, così esposto -perché negarlo?- alla necessità calcolante, inevitabilmente calcolante, di una sopravvivenza anche materiale, nelle disavventure della nostra vita.

Per questo è sempre importante ricordarci che il Vangelo arriva a proporci un’etica sì, una morale sì, ma direi davvero un’etica, una morale teologale, cioè che fanno della conoscenza di Dio della parola di Dio, la possibilità di albergare nei nostri cuori una prospettiva che viene, come dicevo, a disarticolare le strette congiunture e le strette connessioni con le quali noi tentiamo di incatenare, in una qualche misura, tutto di noi, in uno sforzo il più delle volte titanico e illusorio di sopravvivenza.

Lasciarsi visitare dallo Spirito significa, come dice ancora Paolo ai Corinzi, scoprirci realtà interpersonale, l’immagine del tempio, un’immagine che in fondo stiamo vivendo adesso, anche noi per essere qui, perché negarlo?

Abbiamo vinto qualche paura, qualche resistenza, sarebbe indubbiamente più opportuno evitare gli assembramenti pubblici, evitare le strette di mano, evitare il contatto e magari lo potremo anche fare nello scambio di pace e nella distribuzione della Comunione, ma ci rendiamo conto che sono, come dire, rimedi non solo inadeguati verso l’eventuale, Dio non voglia contagio di qualche virus, ma soprattutto sono strumenti inadeguati nel custodire, nel valorizzare nell’autenticare la nostra ineliminabile dignità che non è rafforzata da nessuna risorsa umana, ma al contrario è trasfigurata nella misura in cui, con coraggio, si lascia ferire quasi dall’incidenza dell’amore del Signore, dalle sue esigenze che, nella logica della croce del Signore Gesù, ridiscutono e rimettono assolutamente in relatività tutte quelle categorie preponderanti con le quali il più delle volte pensiamo davvero di dare continuità alla nostra esistenza.

Percorso veramente difficile fratelli e sorelle e proprio per questo queste parole così scomode hanno bisogno, lo dicevo all’inizio, di tornarle a risentire a riascoltare, sintonizzare il nostro cuore abitualmente, quasi inevitabilmente tentato di dimenticare tutto, a questa esigenza fortissima del Vangelo, abituati a ridimensionare in fondo l’appello che Cristo ogni volta ci propone, abituati a ovattare la forza aguzza della parola di Dio in nome di una sorta di equidistanza dei rapporti e dei diritti. I diritti: questa parola importantissima della modernità ma come voi ascoltate, in questa prospettiva dei Vangeli, perde la sua consistenza, non basta il diritto a qualificare l’uomo, direi nemmeno il dovere a qualificare l’uomo, il Signore ci chiede qualcosa che va oltre la logica dei diritti e dei doveri e semmai si inscrive in questa dimensione tipicamente biblica della responsabilità, cioè il nostro essere uomini e donne che rispondono ad una parola che chiede, che trasforma, che esige, che dilata tutto di noi.

Appunto per questo accanto alle negazioni fortissime del Vangelo la parola di Dio è come contenuta da questi due fondamentali piloni, la categoria della figliolanza che ci fa ricordare di essere stati fatti a immagine e somiglianza di Dio: cioè una possibilità, che solo la fede ci fa scoprire, di essere chiamati ad assimilarci a questa dinamica gratuita, crocifissa e pasquale dell’amore del Signore Gesù con tutto quello che implica in termini di rinuncia ai nostri diritti, alle nostre pretese a favore dell’altro, anche se questo è un nemico, anche se questo ostacola effettivamente i nostri interessi e la nostra dignità, in una dimensione che lo ripeto, pone sotto lo stesso sguardo di amore le nostre vite perché vengono tutte da un unico Padre, da un unico Dio che ci chiama ad una fraternità in Cristo come radicale esperienza di condivisione di una santità che porta a riscoprirci sempre nella luce faticosa, ma necessaria della fede, la dignità anche del nemico, la dignità anche di chi per ragione sue personali, inevitabilmente contingenti e parziali, ci è nemico.

Ne conseguono, fratelli e sorelle, non solo e non soltanto economie di scambio giuste e importanti che pongono al centro della nostra attenzione il povero, lo scartato, il rifiutato, ma anche direi la dinamica della pazienza, fratelli e sorelle, la dinamica di accogliere un torto anche se pesante subìto e non cedere alla tentazione di una immediata risposta, occhio per occhio, dente per dente, in realtà anche quella era una qualificazione importante con cui Israele tenta di fare una giustizia che in effetti non sia abbandonata all’arbitrio di una vendetta che superi l’entità del male subito.

Cioè una sorta di equiparazione, comunque importante, nell’assegnare una sorta di simmetria della pena rispetto al torto, in fondo la giustizia dei nostri tribunali su questo si basa, di fatto.

Invece il Signore ci chiede una dimensione diversa che ha a che fare con la fede e la fiducia nel tempo che matura, che stagiona, che, illuminato dalla grazia del Signore, converte, e convertendo illumina i nostri cuori, ci porta a riconsiderare le ragioni del torto, le ragioni di chi ci offre in modo così doloroso una sentenza di squalificazione della nostra vita ma, in questa attesa, possono aprirsi percorsi davvero autentici di rinnovamento, di possibilità inedita che chiedono la grande testimonianza che Gesù stesso ha offerto sul Calvario, un silenzio fatto di pazienza, un silenzio fatto di giudizio che non esce dal suo cuore, ma è rimesso nel cuore stesso del Padre celeste: “Padre perdonali perché non sanno quello che fanno”.

Tutto questo fratelli e sorelle, come voi intuite, genera una dinamica verso il futuro, il nostro modo abituale di sopravvivere è generalmente, come dire, deformato e conformato al passato: ho ricevuto questo torto, ho subìto questa ingiustizia, tutto è misurato su quello che sta dietro le mie spalle.

La fede fratelli e sorelle, ormai lo sapete, è radicale apertura al futuro, è apertura nella speranza alla possibilità che l’amore di Dio è più forte della morte e del male, è aperto alla possibilità che questo stesso amore pasquale possa davvero cambiare anche il cuore di chi ci ha fatto un torto.

Per questo il Signore ci chiede di confidare nella  sua giustizia, di conformarci al suo sguardo che dall’alto include in un unico abbraccio l’umanità intera, i giusti e gli ingiusti, possa essere pioggia, possa essere sole, questo Dio dà a tutti la possibilità di un tempo e di una stagione nella quale incontrare finalmente, con l’umiltà necessaria, la mia povera verità, le mie povere ricchezze, e scoprire che veramente c’è in tutti un torto subito, c’è in tutti un piccolo abile carnefice e tutti noi abbiamo bisogno di supplicare una logica che superi tutte queste ritorsioni e catene che è appunto l’amore che solo lui può darci attraverso la sua santità, attraverso la sua paternità che in Cristo ci rendono nello stesso tempo figli nel figlio, santi come lui è santo e tempio vivo dello Spirito Santo.

Sono qualificazioni da riportare fratelli e sorelle, nel nostro cuore, nelle nostre dinamiche quotidiane e perché no, anche come prezioso anticorpo alla tentazione fortissima che momenti come quelli che stiamo anche socialmente vivendo, potrebbero indurci, un senso ancora più radicale di diffidenza, di ritorsione, di rivendicazione, la tentazione di trovare il colpevole come colui che contagia le nostre sicurezze, le nostre certezze. In tutto questo sentiamo più che mai forte l’urgenza di un amore che scende dall’alto per restituire a tutti noi la consapevolezza della nostra debolezza e di quell’unica forza che ci può far diventare un tempio compatto, davvero refrattario ad ogni male, quale vuole essere il nostro diventare Chiesa, il nostro diventare testimoni, il nostro diventare colonne fortissime contro ogni ingerenza di male e di sventura. Amen!

Trascrizioni a cura di Grazia Collini

La fotografia è di Aly Song ed è stata scattata in questi giorni presso la stazione ferroviaria di Shanghai

Condividi sui social