Omelie

«Varco di nuovi, futuri crinali». Omelia e preghiera finale del padre abate Bernardo in occasione dell’apertura straordinaria della Porta Santa e dei Vespri Solenni nel MII anniversario della Dedicazione della Basilica e di fondazione della nostra Abbazia

27 aprile 2020

 Apertura straordinaria della Porta Santa in occasione della Solennità della Dedicazione della Basilica e del MII anniversario di fondazione della nostra Abbazia

Dal Libro dell’Apocalisse

Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. 3 Udii allora una voce potente che usciva dal trono:
«Ecco la dimora di Dio con gli uomini!
Egli dimorerà tra di loro
ed essi saranno suo popolo
ed egli sarà il “Dio-con-loro”.

 

Non vidi alcun tempio in essa perché il Signore Dio, l’Onnipotente, e l’Agnello sono il suo tempio.

Non entrerà in essa nulla d’impuro,
né chi commette abominio o falsità,
ma solo quelli che sono scritti
nel libro della vita dell’Agnello.

Carissimi fratelli non ci siamo mai stancati di ricordare,  e di ricordarci, come questa Basilica sia nelle sue forme architettoniche l’esatta trascrizione di quello che abbiamo appena ascoltato, proclamato dal libro dell’Apocalisse, la proiezione cioè della città celeste, della Gerusalemme futura che si lascia contemplare dal cuore della città di Firenze in questa meravigliosa collina a oriente della città, sulla quale la bontà del Signore si è degnata, per usare l’immagine del Profeta Osea, di aprire una porta di speranza.

E’ oltremodo importante in questi tempi difficili, che ci riconosciamo guardati, scrutati, protetti, benedetti, dalle pupille, soprattutto dal cuore di Dio attraverso una porta di speranza che anche noi ritualmente, simbolicamente, abbiamo appena aperto in modo straordinario mille e due anni dopo la fondazione del nostro monastero e la dedicazione di questa rinnovata Basilica, perché tutti ci sentiamo chiamati ad una speranza ed una gloria immarcescibili, cioè sottratte alla usura del tempo e a tutto quello che corrompe in questa dimensione terrena anche i nostri migliori propositi e i nostri più alti desideri nella misura in cui quasi li vorremmo proteggere, nascondere, da quel mistero di relazione che invece propizierebbe loro un futuro pieno di gloria e cioè la relazione creaturale di apertura filiale e incondizionata all’amore di Dio.

Noi siamo certi che, al di là delle contingenze storiche ed ecclesiali, il cuore del proposito del Vescovo Ildebrando mille e due anni fa sia stato davvero un proposito di glorificazione del Signore e di mettere al servizio della sua gloria i suoi talenti, le sue capacità, anche organizzative, perché questo luogo diventasse costantemente uno spazio di incontro col Signore, come ci ha suggerito il libro dell’Apocalisse, uno spazio dove l’uomo potesse dimorare in Dio e Dio potesse dimorare nella nostra umanità.

Qui si comprende bene anche la collocazione di questa nostra Basilica e di questo monastero come una sorta di crinale fra terra e cielo, dove si incontra così lo sforzo dell’uomo di salire verso il cielo, sforzo fruttuoso nella misura in cui è in realtà Dio a scendere, anzitutto, verso la nostra umanità.

Questa prospettiva di incontro che l’Apocalisse evoca addirittura in una immagine così piena di fascino e cioè un incontro sponsale, un incontro cioè di alleanza, di reciprocità, di responsabilità, ma anche di fecondità, è affidato, anche questo ce lo ricordiamo varie volte durante l’anno, alla nostra testimonianza monastica che è una testimonianza a suo modo sponsale, proprio in quella forma di celibato che dovrebbe rendere, e ci auguriamo che sempre renda, i nostri cuori indivisi per il Signore, per Cristo sposo, rappresentando così quella umanità che tante volte è come inevitabilmente distratta per i molteplici affari di questa nostra controversa storia, da questa dimensione radicalmente verticale di concentrazione, di dedizione, di anteriorità di priorità nei riguardi del Signore, vedendo in noi monaci un segno, una speranza, un simbolo di un legame assoluto col Signore.

Scrutandoci nell’intimità del nostro cuore non fatichiamo a dover confessare come in realtà tale assolutezza e tale priorità sia tante volte attenuata dal nostro peccato, dalla nostra fragilità e dalla nostra distrazione, ma in realtà se perseveriamo nella nostra vita monastica su questa collina è perché il Signore non si stanca, in mille anni di storia, di perdonarci e di rinnovare la nostra vocazione in questa prospettiva di assolutezza alla quale, almeno come desiderio, non vogliamo assolutamente mancare, consapevoli di come, proprio nel tempo presente, sia oltremodo necessario un varco, anche piccolo, come in definitiva è piccolo nella cortina della mura che proteggono la nostra città, il varco della Porta Santa ma sappiamo che da questa feritoia di luce passa l’esigenza di invocazione, di preghiera, di intercessione, l’attesa di speranza di una moltitudine intera e noi dunque siamo grati che da mille anni il Signore ci ha chiamati ad essere custodi e sentinelle di questo passaggio che rende la nostra porta celeste davvero, per così dire, il presidio più importante delle pur nobili e gloriose fortificazioni della nostra città.

Ed è in questa prospettiva fratelli carissimi che vi invito a celebrare con sentimenti di rinnovata gratitudine al Signore questo nostro anniversario, lo abbiamo fatto negli anni scorsi in una dimensione di coralità ecclesiale e cittadina di straordinaria intensità, adesso il Signore ci chiede di vivere questo passaggio per noi comunque importante al di là dell’estetica dei numeri di anniversario in una dimensione così remota, quasi eremitica, che ha tuttavia il grande privilegio, il grande vantaggio di sottolineare questa dimensione che in questi giorni abbiamo cercato di intensificare nella nostra vita a San Miniato in tempo di quarantena e che voglio ricordare per una sorta di ricapitolazione preziosa dei grandi doni che il Signore ci ha fatto in un tempo di sofferenza, di dolore, di apprensione, di malattia e anche di morte.

Lo ribadiamo perché è il senso per il quale abbiamo pensato di aprire stasera la Porta Santa, anzitutto il primato della preghiera, il primato dell’affidamento, il primato dell’intercessione, il primato della glorificazione del Signore, esserci resi conto, come ci ha insegnato molto bene la parola di Papa Francesco di come questa epidemia ha spogliato l’uomo e la donna del nostro tempo da una presunzione di assolutezza, di sicurezza, di certezza, snudando, per così dire, la nostra inerme, fragile condizione umana.

Essa si può rivestire di futuro solo e soltanto se accoglie la luce candida e luminosa che il Signore risorto consegna alla nostra nudità, è quella luce battesimale che peraltro brilla anche sul bianco dei nostri ordinari abiti monastici, un segno che prima ancora di presunta purezza è un segno di luce accolta, ricevuta, non per merito, ma per grazia, un riverbero dell’effusione pasquale che ha cancellato l’oscurità della morte, del male e delle tenebre con un bagliore inestinguibile che deve essere anche il riverbero della nostra parola, il riverbero nei nostri pensieri, nel nostro agire anzitutto comunitario che in questi giorni è stato necessariamente concentrato su sé stesso, non perché mai, devo dire mai, ci siamo dimenticati delle persone che ci hanno raggiunto e che noi abbiamo cercato di raggiungere con ogni mezzo, telefonico e con tutto quello che oggi la modernità ci offre come mezzo di relazione ma, effettivamente abbiamo riscoperto come nella nostra comunità si viva, e si possa e si debba vivere una cellula ecclesiale nella quale niente manca se viviamo nell’amore, niente manca se viviamo nella speranza, niente manca se viviamo implorando il Signore perché Egli rinnovi la nostra fede, la nostra percezione di appartenergli e di appartenere alla realtà tutta intera, non attraverso la nostra capacità di presenziare ora qui, ora là, ma attraverso il mistero della comunione trinitaria che siamo certi ha rinforzato e rigenerato i nostri legami comunitari riscoprendo tutti insieme, fratelli carissimi, come il nostro vincolo non è semplicemente un vincolo umano, giuridico, peggio ancora casuale, contingente, ma un vincolo spirituale che, nonostante le nostre differenze e personalità, fa della nostra comunità una famiglia consanguinea, per così dire, col mistero stesso di Cristo che non ha esitato a versare il suo sangue per la nostra vita, per la nostra unità, per la nostra pace, per la nostra testimonianza, doni che abbiamo cercato di valorizzare in questa forzosa solitudine e raccoglimento e non certo per una forma detestabile di quella che i medioevali giustamente rimproveravano come una gola e un egoismo spirituale, ma per una intensità che rendesse la nostra preghiera e la memoria di tuti coloro che in questi giorni terribili stanno soffrendo, morendo, combattendo il male, proprio e dei propri cari, con una intensità di preghiera che fosse riverbero dell’amore che noi per primi stiamo ricevendo, che noi per primi accogliamo come esercizio di perdono reciproco e di rigenerazione della nostra vocazione monastica.

Per questo abbiamo pensato davvero importante spalancare la porta del cielo, nonostante esso sia un rito limitato al solo venerdì santo secondo quello che antichi documenti scritti con calligrafie antiche ci chiedono di fare.

L’abbiamo fatto, non per prolungare i già fin troppo ricchi festeggiamenti dell’anno millenario, ormai definitivamente concluso, ma anzitutto perché simbolicamente la Basilica fosse ancora più colma,  idealmente colma, delle preghiere, delle attese, dei desideri, delle speranze, delle necessità della nostra gente, che si fida della nostra preghiera, si fida di noi che siamo custodi della Gerusalemme celeste, non per merito ma per grazia, si fida di questo riverbero di amore che il Signore attraverso la bellezza di questo luogo, fa brillare sulla città per riorientare verso il futuro, verso oriente, le sue attese, trasformando, come constatiamo in questa bellissima luce occidentale, in forza della Pasqua di Cristo, l’occidente in un nuovo oriente.

E poi perché tutto quello che il Signore ci ha donato in questi giorni e che ci dona attraverso la nostra adesione alla nostra vocazione monastica, fratelli carissimi, sia per così dire contemplato anche da fuori, non per sentirci dire bravi, perché bravi non siamo, anzi siamo peccatori più degli altri, ma perché le persone sentano che il mistero custodito da San Miniato appartiene al cuore stesso della chiesa, appartiene al cuore della città, appartiene ai desideri di ogni persona vivente, credente e non credente, che alzando lo sguardo e incontrando questa bellezza e l’emozione e lo stupore che genera, riscopra questa vocazione sponsale, cioè di comunione con una parte che implementa il suo cuore che altrimenti resterebbe in una vedovanza di solitudine, di inutilità, di rassegnazione. La sponsalità ci insegna davvero a fare dell’altro la pienezza della mia vita e questo vale in rapporto con le persone che amiamo ma vale anche in rapporto, soprattutto in rapporto, con quel mistero invisibile che viene finalmente a saziare i nostri cuori.

Ecco il senso di una porta santa aperta, mille e due anni dopo perché questa storia continui, schiudendosi in quella eternità che il Signore ha in serbo per noi e questa evocazione di eternità e di infinito senza tramonto ricordiamo e ribadiamo con particolare forza pensando di poter raggiungere così, per le vie che il Signore sa, tutti coloro che in questi giorni hanno sperimentato la fragilità della condizione umana, la brevità della nostra biografia su questa terra, e conseguentemente la tentazione di ritenere l’uomo fatto solo e soltanto per una finitezza fragilissima e priva di significato.

Ecco che queste luci che contempliamo, questa grazia che ammiriamo e riceviamo, questa bellezza che ci ispira sia un restauro incessante del nostro cuore e attraverso questa porta spalancata, nel suo riverbero di splendore, raggiunga la penombra nella quale siamo tentati di cacciare i nostri cuori e le nostre speranze perché si rigenerino di quell’amore infinito del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo cui va ogni lode e gloria per tutti i secoli dei secoli. Amen

Preghiera finale sulla città

Dio Padre onnipotente, da questa Porta Santa spalancata al tuo cielo infinito, volgi il tuo sguardo che si è fatto di carne nel volto amoroso del più bello fra i figli dell’uomo, il Signore Gesù.

La sua benedizione di Pantocratore veglia costantemente sulla nostra vita e sulle nostre storie.

Rendila fortemente e nettamente percepibile nel cuore di ogni vivente, soprattutto nel cuore di chi è nella sofferenza, nella prova e nella tristezza.

Conferisci loro la stessa energia spirituale che ha reso Miniato intrepido martire del Vangelo del tuo Figlio, il Signore Gesù, le cui reliquie, mille anni fa, sono state ritrovate in questo luogo, perché significassero a questa città di Firenze la memoria e il ricordo del sangue con cui è iniziata la sua storia millenaria perché ispirata dalla fede nella Santissima Trinità.

Rendi tutti noi partecipi di questa bellezza, rendendoci testimoni di uno splendore e di una gloria, di una misura e di una armonia che non ci appartiene, ma che tu solo puoi dare ai nostri pensieri, alle nostre intuizione, alla nostra creatività, al nostro ritrovato desiderio di fare del bene comune l’orizzonte autentico con il quale qualificare la storia e il futuro della nostra città, delle nostre chiese, del mondo intero, imitando il tuo sguardo che include nella sua pupilla di luce ogni ombra, ogni oscurità, ogni disperazione, ogni marginalità.

Rinnova nella sua vocazione di contemplazione e di azione questa piccola comunità monastica che da mille anni ha il privilegio di presidiare questo varco di luce, rendici degni di tanta bellezza, rendici testimoni della speranza che la beatitudine pasquale, sola, può conferire alle nostre vite.

Rendici uomini della memoria perché, ricordando la testimonianza di Miniato, sappiamo ispirare con altrettanta dedizione, coraggio e generosità il futuro di noi tutti e della tua Chiesa perché possa valicare ogni confine di ogni genere, pur di raccontare all’uomo e alla donna di ogni luogo e di ogni tempo la bellezza della verità in Cristo. Attraverso di Lui, memori di tutti, salga questa nostra umile e fervorosa preghiera nell’anniversario di fondazione della nostra Abbazia e della dedicazione di questa nostra Basilica, Porta del Cielo, Porta di Speranza, Porta di Bellezza da cui salga la gloria a Te, Padre celeste ed onnipotente, per le vie misteriose e sempre feconde dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.

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