Omelie

«Una nuova e vivente via di verticalità». Omelia del padre abate Bernardo per la Solennità dell’Ascensione

«Una nuova e vivente via di verticalità»

Omelia per la Solennità dell’Ascensione – 2 giugno 2019

Dagli Atti degli Apostoli
Nel primo racconto, o Teòfilo, ho trattato di tutto quello che Gesù fece e insegnò dagli inizi fino al giorno in cui fu assunto in cielo, dopo aver dato disposizioni agli apostoli che si era scelti per mezzo dello Spirito Santo.
Egli si mostrò a essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio. Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere l’adempimento della promessa del Padre, «quella – disse – che voi avete udito da me: Giovanni battezzò con acqua, voi invece, tra non molti giorni, sarete battezzati in Spirito Santo».
Quelli dunque che erano con lui gli domandavano: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?». Ma egli rispose: «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino ai confini della terra».
Detto questo, mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi. Essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, quand’ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo».

Dalla lettera agli Ebrei
Cristo non è entrato in un santuario fatto da mani d’uomo, figura di quello vero, ma nel cielo stesso, per comparire ora al cospetto di Dio in nostro favore. E non deve offrire se stesso più volte, come il sommo sacerdote che entra nel santuario ogni anno con sangue altrui: in questo caso egli, fin dalla fondazione del mondo, avrebbe dovuto soffrire molte volte.
Invece ora, una volta sola, nella pienezza dei tempi, egli è apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso. E come per gli uomini è stabilito che muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio, così Cristo, dopo essersi offerto una sola volta per togliere il peccato di molti, apparirà una seconda volta, senza alcuna relazione con il peccato, a coloro che l’aspettano per la loro salvezza.
Fratelli, poiché abbiamo piena libertà di entrare nel santuario per mezzo del sangue di Gesù, via nuova e vivente che egli ha inaugurato per noi attraverso il velo, cioè la sua carne, e poiché abbiamo un sacerdote grande nella casa di Dio, accostiamoci con cuore sincero, nella pienezza della fede, con i cuori purificati da ogni cattiva coscienza e il corpo lavato con acqua pura. Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perché è degno di fede colui che ha promesso.

Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto».
Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio.

Omelia:

Fratelli e sorelle, oggi con la solennità dell’Ascensione siamo tutti invitati dalla pregnanza della parola di Dio, adesso proclamata e ascoltata, a ritrovare le ragioni di una verticalità inscritta nei nostri cuori, come possibilità di una autentica inabitazione della nostra pur frammentaria esistenza, in quella assolutezza sconfinata che oggi è rappresentata dalla metafora simbolica e concreta del cielo dove sale il Signore portando con sé, come dirà con forte consapevolezza teologica e antropologica la preghiera del post communio, un uomo in cielo, cioè lo stesso Signore Gesù, il che significata il nostro dato essenziale, corporeo, psicologico, spirituale che in Cristo trova la possibilità di abitare il cielo. Una possibilità che schiude questo tracciato di verticalità alla nostra vita, così faticosamente impegnata in una orizzontalità che troppe poche volte conosce questo squarcio che la riorienta verso quell’infinito di cui oggi assaporiamo, da un lato la sconfinata vastità, dall’altro, vincendo ogni paura e angoscia, anche la possibilità di solcarlo attraverso delle vere e proprie rotte alate che il vento dello Spirito Santo, che ci sarà dato con forza domenica prossima nella solennità della Pentecoste, restituisce come orizzonte familiare dei nostri desideri e dei nostri sguardi.

Questa prospettiva oggi si carica di una efficace possibilità anche grazie alla profonda riflessione che ci ha invitato a fare la Lettera agli Ebrei, con immagini potentissime di una vera e propria teologia di sostituzione dove cioè agli antichi parametri propri del Primo Testamento e dell’orizzonte giudaico, si sostituiscono quelli universali che il Vangelo offre ad una inedita possibilità di relazione fra Dio e l’uomo, dove non è più l’uomo a sacrificare per Dio, ma è Dio che si sacrifica per l’uomo, in un sconvolgente capovolgimento che fa di Cristo stesso nello stesso tempo, come icasticamente avverte la liturgia, sacerdote, vittima e altare in una prospettiva davvero inaudita dove, alla quantità necessariamente frustrante dei sacrifici ripetuti ennesime volte dal sacerdote nel chiuso di un tempio, dentro il quale si tentava quasi invano di trovare lo sconfinato orizzonte del cielo, si sostituisce la qualità, unica e assoluta, del gesto del Signore Gesù, il cui orizzonte infinito di amore non può essere contenuto da alcuna volta architettonica ideata e realizzata da mano umana, ma solo e soltanto nello sconfinato sovradimensionamento del cielo, nuovo santuario, eretto dallo stesso Dio in una dimensione infinita, come è infinito l’amore con il quale Gesù si offre, non certo per saziare la sete di sangue di un Padre a noi avverso, ma al contrario per ricondurre nel cuore del Padre quell’antico Adamo disobbediente e refrattario, presuntuoso ed egoista che alberga troppe volte ancora nel nostro cuore e che invece, vinto dalla Pasqua di Cristo, finalmente si sgretola per essere anche lui raggiunto dall’economia dello Spirito che nella Pasqua fa in modo che l’uomo riscopra la sua vera vocazione filiale, e dunque obbediente, cioè capace di ascolto, di vuoto e quindi di ospitalità di questi disegni salvifici che il Signore vive in sè stesso per offrirli e rinnovarli mediante i gesti della Chiesa domenica dopo domenica al nostro piccolo cuore, così che davvero vale -in questo angusto ma infinito spazio che simboleggia con le sue volte l’orizzonte infinito del cielo- vale la bellissima intuizione poetica di Mario Luzi secondo il quale la Chiesa è l’officina dove si fabbricano le ali, perché l’uomo torni a volare.

E di ali abbiamo bisogno se vogliamo riscoprire quella verticalità di cui si parlava, che fonda un’autentico umanesimo cristiano aggiungendo all’uomo vitruviano che Leonardo ha magistralmente codificato in quel disegno, che noi abbiamo avuto l’idea di coniare sull’euro, il Signore lo conia nei nostri cuori aggiungendovi però fratelli e sorelle, quello che Leonardo non disegna, quello che Vitruvio non ha pensato e cioè proprio quelle ali necessarie perché, col vento dello Spirito, l’uomo si sollevi fratelli e sorelle, non per divorziare dalla terra, certamente no, ma al contrario per poterla guardare con occhi assimilabili alla pupilla innamorata del Signore, in una dimensione che ci invita così a relativizzare ciò che va relativizzato e ad assolutizzare ciò che va assolutizzato, cioè proprio quello sguardo di insieme, quella visione organica della realtà, che la nostra diabolica passione per tutto ciò che è frammentario, separato, individuale, porta invece al clamoroso capovolgimento per cui noi idolatricamente facciamo assoluto ciò che è solo e soltanto relativo.

Ci insegna fratelli e sorelle questa prospettiva totalizzante, proprio quello che stiamo vivendo adesso cioè la celebrazione che fa sintesi del cielo e della terra, del lavoro dell’uomo e della grazia di Dio e che è proprio l’Eucaristia, il sangue, il corpo del Signore che è, per usare l’immagine bellissima della Lettera agli Ebrei, “la via nuova e vivente che egli ha inaugurato per noi attraverso il velo, cioè la sua carne”.

Ecco, mi piacerebbe che da questa celebrazione, oltre ai frutti dell’Eucaristia che vi arrivano attraverso l’azione dello Spirito Santo, con l’aiuto della vostra memoria riportaste a casa e nel vostro cuore questo versetto di straordinaria bellezza e pregnanza teologica e antropologica e cioè il velo nuovo, con cui il Signore Gesù rimpiazza gli antichi tendaggi del santuario costruito da mano d’uomo, è la sua stessa carne e l’esperienza di mistero che si cercava attraverso il sangue dei vitelli è sostituita dalla vera vita che è il sangue del Signore Gesù.

Capite perché la lettera agli Ebrei fa proprio questo linguaggio sacrificale? Non per porci in una condizione di soggezione rispetto a un padre cruento, ma al contrario per lasciarci intendere tutta la forza plastica, concreta, lasciatemi dire carnale, del Signore Gesù che bagna della sua vita divina la nostra vita organica.

E’ quanto sta per accadere nella Eucaristia, fratelli e sorelle, in una integralità che inaugura, domenica dopo domenica, la novità di una logica pasquale inscritta nella piccolezza frammentaria, ma nello stesso tempo assetata e potenzialmente capace di infinito del nostro cuore.

Come si raggiunge questo esito trasfigurante, ascensionale, verticale, che -ripeto- non ci fa divorziare dalla terra, ma ce la fa custodire, amministrare con rinnovata ecologia -direi proprio questo, ecologia dello Spirito Santo?

Per l’appunto fratelli e sorelle, ecco il versetto di grande bellezza, attraverso la via nuova e vivente che è rappresentata dal sangue del Signore Gesù.

C’è quasi una poesia inscritta in questa consapevolezza teologica dell’autore della Lettera agli Ebrei: vedete come la teologia per immagini di cui è ricchissima la Bibbia ci offre la possibilità di assaggiare coi nostri sensi la bellezza e la ragionevolezza di quello in cui crediamo, fratelli e sorelle!

Come può salvarsi l’uomo e la donna senza l’amore che scende dall’alto e come può salvarci un amore soltanto ideologico, filosofico, pitagorico, numerico, trascendentale?
Non ci salva, al più addestra la nostra intelligenza, ma non tocca le viscere del nostro cuore.

Tocca le viscere del nostro cuore la via vivente rappresentata dal sangue di Cristo, per questo Gesù può ben dire “io sono la via, la verità e la vita” è questa prospettiva integrale di salvezza che ha bisogno per essere concepita poeticamente, di fatto esistenzialmente, attraverso la possibilità di veder crescere nelle nostre spalle e nel nostro cuore delle ali, reali, che ci sollevino, fratelli e sorelle, da questo fango con cui troppe volte condanniamo la nostra consapevolezza umana, così ristretta, schiacciata in un presente privo di orizzonti di futuro.

Per questo abbiamo proprio bisogno di salutare nella festa dell’Ascensione questa possibilità nuova di dire e ridire la condizione della nostra umanità, così appassionatamente desiderata da Dio per la quale egli non ha esitato a donare tutto sè stesso in Cristo per restituirci questa spinta e questa propulsione verso l’alto.

Sarà il modo con cui fare della terra che solchiamo lo spazio pasquale dove il sangue di Cristo e la nostra missione, animata dallo Spirito Santo, può essere e può far diventare questo suolo che calpestiamo lo specchio fedele dell’infinito luminoso cielo che il Signore oggi in Cristo ci fa abitare, dimorare e addirittura, come abili naviganti, solcare in rotte inedite di bellezza e coraggio. Amen!

Trascrizione a cura di Grazia Collini

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