Omelie

«Una corda di luce». Omelia del padre abate Bernardo per la V Domenica del Tempo Ordinario

9 febbraio 2020 – V Domenica del Tempo Ordinario (A)

 

Dal libro del profeta Isaìa
Così dice il Signore:
«Non consiste forse [il digiuno che voglio]
nel dividere il pane con l’affamato,
nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto,
nel vestire uno che vedi nudo,
senza trascurare i tuoi parenti?
Allora la tua luce sorgerà come l’aurora,
la tua ferita si rimarginerà presto.
Davanti a te camminerà la tua giustizia,
la gloria del Signore ti seguirà.
Allora invocherai e il Signore ti risponderà,
implorerai aiuto ed egli dirà: “Eccomi!”.
Se toglierai di mezzo a te l’oppressione,
il puntare il dito e il parlare empio,
se aprirai il tuo cuore all’affamato,
se sazierai l’afflitto di cuore,
allora brillerà fra le tenebre la tua luce,
la tua tenebra sarà come il meriggio».

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi
Io, fratelli, quando venni tra voi, non mi presentai ad annunciarvi il mistero di Dio con l’eccellenza della parola o della sapienza. Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso.
Mi presentai a voi nella debolezza e con molto timore e trepidazione. La mia parola e la mia predicazione non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio.

Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente.
Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli».

Omelia:

Fratelli e sorelle, c’è una ragione insopprimibile di autenticità nel compararci del Signore Gesù niente di meno che al sale e alla luce, come se fosse davvero irrimediabile la perdita di autenticità nella misura in cui venissimo meno a quella a cui siamo chiamati ad essere, e posti nella condizione di essere, così come di fatto il sale è sale perché salato e non c’è rimediabilità all’assenza di sapore del sale stesso.

Ed è molto importante cogliere questa esigenza fortissima, sostanziale, con un parolone filosofico ontologica, con la quale il Signore Gesù, pur senza fare filosofia, ci raccomanda questa dimensione verace, autentica, verificabile per così dire, del nostro essere in Cristo, del nostro radicarci nella sua presenza, nel suo amore, nella sua parola, nella sua carne, nel suo sangue e questo comporta di fatto una radicale trasformazione della struttura organica delle nostre persone, fratelli e sorelle, di modo che, partecipando dell’amore di Dio altro non sono se non quella verità che non avrebbe rimedio se fosse falsificata, se fosse alterata: non esiste altro principio, altro eccipiente per così dire, altra effervescenza, altro farmaco che possa guarire, compensare l’assenza di questo carattere di verità che il Signore Gesù comunica a tutti coloro che vivono in Lui, con Lui e per Lui, cioè il nostro essere Ecclesia, il nostro essere Chiesa, il nostro essere corpo del Signore.

C’è dunque una dimensione fortissimamente assimilatrice che il Signore inaugura nei gangli vitali del suo comunicarsi a noi, quasi assorbendo, risucchiando la nostra esistenza per una oggettiva e plastica trasformazione del nostro cuore, inserito in una dinamica che è esattamente ciò che fa la forza della predicazione di Paolo, non dei sapienti ragionamenti umani, ma ce lo ha detto con grande chiarezza, la potenza dello Spirito.

Questa è la forza dell’argomentare di Paolo, quindi farsi piccolo e lasciare spazio ad altro che si comunica alla Chiesa in ascolto della predicazione di Paolo, come evento fortemente trasformante coloro che, ascoltando Paolo, in realtà si dispongono a ricevere mediante la sua predicazione niente di meno che l’efficacia dello Spirito Santo.

Tutto questo fratelli e sorelle lo ribadiamo con grande forza, sia detto per inciso, perché è bene nei nostri tempi tentati di ravvisare anche nella Chiesa, in gran parte per le nostre miserie, soprattutto dei suoi ministri, una indole, un carattere, si direbbe esclusivamente umano, sociale, anche di grande consapevolezza del bene che può fare, questa struttura pure sociale della Chiesa che esiste, sia chiaro!

Ma se noi ci fermassimo a questa analisi, a questo riscontro puramente umano della Chiesa, perderemmo di vista come essa, nonostante la sua miseria e il suo peccato, si faccia tramite di un evento radicalmente pasquale e misterioso che passa anche, sia ben chiaro, attraverso la predicazione della parola di Dio: accogliere cioè che questo nostro stare insieme in obbedienza alla parola del Signore è già di per sé un evento di mistero che qualifica questa nostra comunità che è radunata intorno alla parola del Signore, non intorno a Padre Bernardo, sia ben chiaro, intorno all’evento che è il Signore che parla ai suoi fedeli, rinnovando in loro la fede, la speranza e l’amore col dono del suo esserci nel cuore della Chiesa, come Verbo, come parola, come logos, invocando e supplicando, ce lo siamo detti tante volte, il nostro ascolto, la nostra attenzione, la nostra disponibilità a entrare in questa dinamica di trasformazione e assimilazione, il cui contenuto altissimo, fratelli e sorelle, e soprattutto le sue conseguenza efficaci e profondissime vi ricordo, non per ribadire banalmente e precettisticamente l’importanza di andare a Messa la domenica, ma perché si ricordi che la nostra struttura di vita cristiana è radicalmente obbediente a questo mistero di grazia e di novità nella misura in cui si dispone, con questo senso di mistero, alla reale partecipazione di questo generosissimo sconfinare di Dio nei nostri spazi, nei nostri tempi, nei nostri cuori.

Questo è il vero grande dramma, si direbbe, dell’ateismo del nostro tempo, l’indisponibilità strutturale dell’uomo e della donna contemporanei all’offerta che Dio fa di sé stesso in una dimensione che lo porta addirittura a smentire sé stesso, nella sua onnipotenza come pure Paolo con grande lucidità e coraggio ci dice: perché egli è esperienza della potenza dello Spirito Santo, lo avete ascoltato , perché predica Cristo crocifisso, non altro, predica cioè quell’evento catastrofico nella struttura trinitaria che ci svela in effetti che cosa, se non questa dimensione sconfinante dell’amore di Dio che attraversa il mistero dei misteri, che attraversa la smentita di tutto ciò che è vita, vitalità, prospettiva di futuro che è la morte

Questo accade sulla croce, fratelli e sorelle, come vedete anche questo, per inciso, partecipare alla vita di mistero della Chiesa che è la liturgia, ci dispone a crescere, se non nella comprensione, quanto meno nell’intuizione della qualità dei tempi che Dio, domenica dopo domenica, ci fa vivere e quindi abbiamo parlato tante volte, troppe volte forse, della luce in questi tempi di Natale, era la cifra simbolica che mi è parsa in queste domeniche la più urgente nei tempi di oscurità che viviamo, cioè rileggere tutto il Natale come esperienza di luce, di qualificazione del nostro altrimenti ombroso mistero.

E d’altra parte questa luce oggi ci viene a dire che di fatto è epifania della nostra vita in Cristo nella misura in cui le candeline di domenica scorsa, vi ricordate, la candelora, la festa della luce, simbolo del Cristo che si fa luce per il suo popolo, diventa la nostra ardente testimonianza di amore, di coesione, di fraternità, si direbbe di croce, cioè di fare spazio alla stessa dinamica che Dio ha conosciuto e subìto su sé stesso, pur di manifestarsi come amore nel ristretto orizzonte dei nostri egoismi.

E questa qualificazione della luce è il senso di una vera e propria prassi di carità, come ci ha insegnato la parola profetica con cui si è inaugurata la liturgia della parola stamani, diventa anche nello stesso tempo però, fratelli e sorelle, la luce che deve brillare in cima al monte, diventa il fuoco dello Spirito, fino a diventare per noi oggi, in questa domenica del tempo ordinario, preparazione ai grandi dinamismi fra tenebra e luce, cenere e fuoco, deserto e comunione, solitudine e fraternità, abbandono e di nuovo ritrovarsi, che vivremo nel tempo quaresimale e pasquale, per dirci, fratelli e sorelle: -Attenti! Questo filo che la liturgia ci fa scoprire come un filo non semplicemente dottrinale, di cui compiacerci, “Ah quanto siamo bravi, perché capiamo le cose”. No!

Perché questo filo, fratelli e sorelle, oserei dire che è l’unica corda tesa che ci strappa via dalla grande tentazione di ritenere la nostra vita priva di senso, priva di fondamento, priva di origine, priva di missione, priva di compimento.

E allora abbiamo veramente bisogno di questo laboratorio che ci addestra a riconoscere davvero, si direbbe, una trama altamente simbolica, della nostra esistenza, dove per simbolo non si fa un estetismo semplicemente esornativo, già queste cose lo sapete, la cripta simbolo della morte, la parte alta della Basilica simbolo della vita eterna, è questo naturalmente, ma questo ci deve addestrare a comprendere che questo criterio per cui una cosa me ne significa un’altra e la connessione è logica, bella, ragionevole, vale non solo qui dentro a San Miniato ma per ogni capolavoro letterario del Medioevo come può essere la Commedia di Dante o i Sonetti di Petrarca o la stessa parola di Dio, ci mancherebbe, ma vale per tutta la nostra esistenza anche quando la corda, non solo sembra esser tirata via dalle mani, ma addirittura spezzarsi, come ben sanno i genitori e la sorella di Eduardo.

Ma questo non significa che l’amore di Dio e la sua signorìa sul tempo, sullo spazio, sulla vita e financo sulla morte, avendola lui stesso attraversata e soggiogata facendola diventare anch’essa carne della sua carne, questa corda si può riannodare quando è spezzata.

Per questo siamo tutti noi qui, in questo laboratorio, fratelli e sorelle, in questa officina infuocata, immaginiamocela un po’ così finalmente la Chiesa, non un posto dove arrivare tutti perfettini per sentirci bravi, ma al contrario arrivarci sporchi, stanchi, naufraghi della vita, rottamati dall’esistenza

Allora qui veramente ritroviamo tutte le connessioni e sono connessioni davvero nell’ordine dello spazio, del tempo, finalmente capaci di ospitare in questa prospettiva altissima simbolica che Cristo ci autorizza a disporre nelle nostre piccole mani, connessioni che veramente vanno oltre la misura dei nostri giorni, oltre la misura dei nostri meriti.

E allora tutto ritorna ad essere davvero con quella qualità che i Profeti ci hanno annunciato, patendola talvolta fino alla morte cioè la dimensione promettente di tutto quello che noi siamo e viviamo, anche se apparentemente smentita dall’ombra dal peccato, dal fallimento, dall’insuccesso, dall’incomprensione, fino alla morte: ogni cosa venendo da Dio ha una dimensione irrimediabilmente promettente e questo brilla come sapore di sale, e fuoco di luce, soprattutto in noi che siamo stati scelti da Dio, fratelli e sorelle, per essere, dice Lumen Gentium, cioè il Concilio Vaticano II al numero 9, fermento di unità, speranza e fraternità per il mondo intero.

E’ la prospettiva che ci rende tutti missionari. Dove altro devono andare a ripararsi coloro che subiscono ferite dalla vita? Dove altro devono andare a farsi riaccomodare, soprattutto penso ai nostri giovani che vivono il dramma dell’assenza di speranza, di prospettiva di futuro, di diffidenza per tutta la opacità della nostra incapacità di trasmettere loro ragione di vita e di futuro.

Ecco, la Chiesa dovrebbe servire a questo, anzi serve a questo, altrimenti il Signore non ci chiama sale che, lo ripeto, non esiste altra cosa al mondo che può rendere salato il sale, c’è una irrimediabilità che ci fa capire quanto sia preziosa la nostra adesione a Cristo in ordine a questa testimonianza che Lui ci dona e ci chiede allo stesso tempo: sapore, fuoco, luce, tepore, tutte cose che dovremmo essere capaci di infondere, non solo in tutto quello che facciamo, ma di fronte, in modo misterioso, al mondo intero, alla storia intera.

E badate bene tutto questo che il testo greco del Vangelo qualifica come opere non solo buone, ma anche belle, la bellezza con la quale tutto glorifica il Padre e avere la grazia di sentirci finalmente, attraverso quella corda che impariamo a riconoscere, a intrecciare, a maneggiare in questo laboratorio, che tutto questo ci riorienta al Padre

Bellissima questa prospettiva fratelli e sorelle! Il Signore non scarta nulla, tutto quello che mi hai affidato voglio che non si perda, dice Gesù nel Vangelo di Giovanni, quindi tutto è inserito in questa dinamica con cui Cristo riapre, attraverso la sua croce e l’evento pasquale reso possibile dallo Spirito Santo, riorienta al Padre così che la storia, i nostri gesti, le nostre microfallimentari storie conoscano questa dimensione che le riporta là da dove hanno preso il loro inizio, cioè il Padre celeste  e questa fratelli e sorelle è la rivelazione dell’amore con cui Dio ci chiama ad una altissima prospettiva che salda una verità sostanziale, dicevo prima ontologica, ad una bellissima e come dire indifferibile testimonianza del fare, dell’agire, nel segno dell’amore, molto semplicemente.

Ci lasciamo con questa parola difficile, bellissima, ma anche di rapida e intuitiva comprensione, è amore: perdono, comunione, accoglienza, condivisione, direi davvero anche proprio la disponibilità che lo Spirito del Signore, come è successo a Paolo in quella predicazione, mortifichi il nostro io per fare spazio al suo esserci, al suo cercarci, al suo interpellarci e consolarci. Amen!

Trascrizione a cura di Grazia Collini

La fotografia è di Mariangela Montanari

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