Omelie

«Una cittadinanza alternativa, una ecclesialità complementare». Omelia del padre abate Bernardo per l’oblazione secolare di alcuni fratelli e sorelle nella solennità di san Benedetto

Oblazione benedettina secolare di Carla, Cristina, Enrico, Lilit, Maria Cristina, Raffaele, Stefania per l’Abbazia di San Miniato al Monte

11 luglio 2022

Solennità di san Benedetto

 

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 17,20-26)

In quel tempo, Gesù, alzati gli occhi al cielo, così pregò: “Non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me; perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato.

E la gloria che tu hai dato a me, io l’ho data a loro, perché siano come noi una cosa sola. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo sappia che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me.

Padre, voglio che anche quelli che mi hai dato, siano con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che mi hai dato; poiché tu mi hai amato prima della creazione del mondo.

Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto; questi sanno che tu mi hai mandato.

E io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro”.

Omelia:

Cari fratelli e sorelle colpisce sempre la consapevolezza teologica con la quale nel Vangelo di Giovanni il Signore Gesù ci svela il mistero dell’essere, ci porta alla vertiginosa missione di ogni anteriorità rispetto a tutto ciò che esiste, rispetto a ciò che sembra in realtà consumarci, limarci, eroderci e, attraverso il suo sguardo mistico, siamo provvidenzialmente riposizionati in quel principio grazie al quale niente più ci fa paura e tutto torna ad avere la freschezza, la fecondità, la limpidezza di una energia sorgiva finalmente messa a disposizione della nostra intelligenza, del nostro cuore, grazie alla quale interpretare la realtà così come essa è, e più ancora interpretare la nostra vita, tutto quello che la vita ci permette come esperienza sensibile, intuitiva, creativa, relazionale, nelle sue dinamiche ambivalenti di costruzione, ma anche di dissipazione, di fondazione ma anche di distruzione, di speranza ma anche di disillusione e rassegnazione.

E il Signore Gesù nel Vangelo di Giovanni ci dice come Egli sia stato amato dal Padre prima della creazione del mondo e ci colpisce profondamente questa acquisizione che, in tempi così frastagliati, restituisce alla nostra intelligenza la consapevolezza fortissima che prima dell’esistenza di tutte le cose, prima della nostra vita, prima del nostro esserci altro non c’era se non l’amore del Padre verso il suo Figlio Gesù, il Cristo, la sapienza, il logos attraverso il quale, in forza di questo amore, tutto è stato posto in essere e attraverso questa consapevolezza tutti noi riscopriamo che la nostra vita altro non ha da essere se non la ricezione piena di questo amore per svelarlo, effonderlo, narrarlo, cantarlo a noi stessi e più ancora a tutti coloro che incontriamo.

Tanto forte è questa consapevolezza quanto cresce la testimonianza che il frutto di questa consapevolezza non può che essere l’unità generata dalla partecipazione viva, umile, obbediente, dinamica all’amore del Padre verso il Figlio e del Figlio verso il Padre, un amore che è lo Spirito, il cui frutto è proprio l’unità di cui ci hanno parlato le letture oggi, un’unità apportatrice di pace, apportatrice di una misura di bellezza, di giustizia, di armonia, che restituiscono alla nostra frastagliata e contradditoria esperienza umana il senso più profondo per il quale noi siamo, fratelli e sorelle.

E direi che questa consapevolezza, maturata in un tempo storico estremamente difficile, anche ecclesialmente parlando, abbia indotto la sapienza di San Benedetto a recepire dallo Spirito Santo l’urgenza della costruzione di una cittadinanza alternativa e di una ecclesialità complementare perché fosse forte, visibile, tenace, l’esperienza di questa unità generata dalla consapevolezza che il senso della nostra vita è disporci nel cuore sorgivo di questo amore che preesiste a tutte le cose in una tensione, badate bene, che non è nostalgica, come un ripiegamento in un passato che inevitabilmente in modo frustrante tenteremmo invano di riconquistare con le nostre forze, il modo per cui noi invece torniamo a fare questa esperienza di un essere e di un amore che preesiste a tutte le cose è, e non può che essere, la dimensione attraverso la quale si apre la Regola di San Benedetto, l’esperienza cioè dell’ascolto di una parola che in forza della sua efficacia ha in sé il potere spirituale, oggettivo e reale, di riconformare tutta la nostra persona secondo quell’immagine, quella somiglianza, quella progettualità con la quale il Padre ha inteso fare di noi il ritratto del modello dei modelli che è il suo Figlio, il Signore Gesù donandoci cioè la forma e l’esperienza filiale come adempimento davvero capolavoro di quella creazione che in Cristo, fa della nostra umanità il vertice apicale della dinamica creatrice del Padre celeste.

E questa consapevolezza fratelli e sorelle, è al cuore del progetto di San Benedetto che non è caso è un progetto che scaturisce da un ascolto della parola del Signore, cioè da una ricezione umile, filiale, accorata, sistematica, perseverante della parola di Dio, in quel contesto che struttura in forma di sé il monastero benedettino come scuola del servizio del Signore, scuola, lasciandoci cioè intendere che la nostra vita non può che essere un permanente discepolato attraverso il quale possiamo filialmente disporre, mediante l’ascolto, i nostri cuori in questa corrente amorosa che preesiste a tutte le cose, che investe con lo Spirito tutte le cose per dare loro il compimento della loro stessa vocazione, essere per Cristo, con Cristo e in Cristo, a gloria del Padre celeste, in una dinamica che non è un semplice torno a dirlo, ritorno spaziale e temporale alla sorgente, è al contrario giungere così a quello zenit della nostra esistenza che ci fa contemplare in Cristo l’alfa ma anche l’omega, il principio e la fine, l’inizio ma anche la totalità dell’adempimento di ogni cosa e soprattutto di ogni persona.

È questa intensissima stesura cristologica a suggerire a San Benedetto ben al di là di una raccomandazione precettistica e moralistica di: “niente anteporre all’amore di Cristo”. Si comprende molto bene, io credo, io spero, la profonda tessitura teologica e antropologica di questa anteposizione dell’amore di Cristo nella nostra storia, nella nostra vicenda geografica, esistenziale, solo così noi possiamo risalire alla sorgente dell’essere finalmente inteso come deve essere inteso, l’amore che da sempre il Padre ha per il Figlio e il Figlio per il Padre, e questo è un amore da anteporre a qualsiasi altra esperienza perché brilli in noi questo sigillo di appartenenza al cuore stesso della creazione del Padre celeste, perché brilli la nostra verità, lo svelamento del senso stesso della nostra vita, vincendo attraverso le energie dello Spirito Santo tutte quelle forze contraddittorie che con la loro seduzione di contraffazione parrebbero di fatto alleate nell’indebolire, alterare, mortificare, di fatto annientare, questo progetto che struttura le nostre pur fragili compagini personali in questa essenza forte che il Cristo consegna a ciascuno di noi attraverso il dono della comunione mediante lo Spirito, comunione da recepire con l’ascolto della parola, con la nostra vita eucaristica che cioè riconosce una fame, una sete, inestinguibile di una pienezza di vita divina che solo e soltanto la carne viva del Signore, il suo sangue, può finalmente estinguere generando peraltro, come ci insegna Dante, nuovi appetiti e nuova sete di tale cristificazione.

Questa è per somma sintesi direi fratelli e sorelle la progettualità benedettina, una progettualità che ha un prezzo altissimo, sia ben chiaro, sia detto con grande e lucida oggettività e lo dico volentieri con gratitudine e fraterna amicizia a Padre Fabrizio che come domenicano ci rappresenta uno svolgimento successivo della storia della spiritualità del nostro occidente, cioè la possibilità di ritrovare e di sperimentare la perfezione nel cuore della storia, nel cuore della città, senza questo nostro astrarci e isolarci monastico, ma era un prezzo e direi che resti un prezzo che ha un suo senso, una sua perenne validità e fecondità perché allora come oggi la sfida di una cultura, o meglio di varie culture, che intendono ad assolutizzare il relativo e a indurci a questa rassegnazione con cui subire questo dispiegarsi frastagliato di un essere che si sgretola in esperienze sensoriali intuitive di fatto refrattarie a qualsiasi logos, quasi impone o per lo meno suggerisce la possibilità di una cittadinanza alternativa e di una ecclesialità complementare, quella del monastero col suo essere un passo indietro rispetto alla città, col suo avere una sorta di orologio che segna un tempo altro e diverso rispetto alle campane degli orologi pubblici delle nostre città, il tempo della liturgia, il tempo cioè che, sottratto all’erosione dei minuti, riconsegna il fluire dell’essere alla possibilità di inscriversi e dispiegarsi tra quell’alfa e quell’omega, assorbendo tutto di noi in quell’opera di Dio, l’Opus Dei appunto che di fatto imprime al tempo una qualità e una sostanza che lo riporti a quel fluire anteriore a tutte le cose, il fluire dell’amore del Padre verso il Figlio e del Figlio verso il Padre, che torno a dirlo con forza, ascoltando con voi Giovanni, preesiste a tutte le cose, preesiste a tutte le cose, è la fondazione anteriore a tutte le cose.

Un’esperienza da brivido che ci viene rivelata e consegnata non per atterrirci ma al contrario per destare in noi, attraverso l’ascolto, questa possibilità di riscoprirci desiderati da un amore che intende riposizionare tutto di noi in quella qualità oggettiva dell’esserci.

È il senso della chiamata con la quale si apre il prologo di San Benedetto,

ascolta figlio i precetti del maestro, non esitare attraverso la fatica dell’obbedienza e cioè la fatica, il labor dell’ascolto a ritornare verso colui dal quale ti sei allontanato esattamente cedendo, cedendo alla tentazione del non ascolto dell’autoreferenzialità, dell’assolutezza del tuo io, del tuo installarti nella presunzione che fa a meno, vorrebbe fare a meno di quella fondazione amorosa che precede  tutte le cose, non per schiacciarle, ma per liberarle, qualificarle.

È questo il grande messaggio che noi oggi torniamo a scuola di San Benedetto ad ascoltare e a far trasparire attraverso la nostra sensorialità, la nostra vita psicologica, la nostra vita pneumatologica, in una parola attraverso una antropologia qualificata dalla parola del Signore e dalla sapienza cristiana contro ogni riduttivismo, sono queste le coordinate dell’umanesimo benedettino che viene oggi offerto dallo Spirito Santo a sei nostri fratelli e sorelle avvinti, misteriosamente avvinti, direi proprio così, dal fascino, perché negare questa parola, dell’esperienza benedettina, della sua intensità, della sua assolutezza, anche di quel rischio che comporta quanto stavamo dicendo a proposito di una cittadinanza alternativa e di una ecclesialità complementare che non possono essere la regola della Chiesa e della città, ma una eccezione che come tutte le eccezioni però ha l’intensità che affascina, e i nostri fratelli hanno ceduto a questo fascino e noi ci rallegriamo perché rappresentano per noi, peraltro nella luce preziosa e feconda del Concilio Vaticano II, un’estensione del mistero dell’amore di Dio e del mistero dell’amore trinitario e di questa dinamica che noi osiamo chiamare, pur nella umile consapevolezza della nostra quasi invincibile debolezza, la perfezione monastica, la estendono nelle vie della città, nella complessità delle geografie culturali, multiverse, nelle quali oggi ci troviamo a dover raccontare la bellezza del Vangelo, l’anteriorità dell’amore del Padre e del Figlio.

E quindi abbiamo bisogno di questo loro essere risonanza del monastero nella città e risonanza della città nel monastero, in una reciprocità di scambi, di doni, di comunione che è il segreto, la bellezza, la forza, la missione degli oblati e delle oblate benedettine secolari, non sentirsi monaci di serie B o C, non imitare l’esteriorità di una esperienza di radicalità che oggettivamente secondo la Regola di San Benedetto è possibile vivere in questo prisma geometrico per le ragioni appena dette, ma la fecondità della sua spiritualità così generata dal Vangelo eccome se può essere assunta, interpretata e creativamente testimoniata nelle vie della città.

Lo fate acquisendo l’estetica dell’ascolto, della parola, della liturgia, della fraternità, in una parola, oggi evocata dalle Sante Scritture appena proclamate e ascoltate, dall’unità, questa parola importantissima in tempo di guerra, di divisioni, di contrapposizioni, di diaboliche rassegnazioni, allo scontro l’uno contro l’altra oggi brilla questa parola che è un tutt’uno con pace, comunione, fraternità, sororità, collaborazione, condivisione. L’unità. L’unità che scaturisce esattamente da quell’amore che preesistendo a tutte le cose svela la matrice che invera le nostre vite, il senso stesso di tutta la creazione come questa Basilica, microcosmica, tenta di dirci con gli animali, i simboli, le geometrie che tutte insieme, con la loro armonica bellezza, aprono a questa visione riassuntiva della realtà e che sfocia nell’amore unitivo del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo e che ci invita ad essere trinità vivente come ci insegna la nostra speciale patrona, la Beata Itala Mela.

Siate dunque trinità vivente, siate dunque segno di una unità che attraverso la vostra paziente tenacia benedettina di preghiera, di lavoro e di fraternità vi fa essere un segno, un sogno, uno strumento di unità nel mare confuso delle contrapposizioni. Siate certi di essere su questo scoglio di San Miniato al Monte un riverbero di quel faro che ogni notte l’amore del Signore accende perché la città ritrovi i suoi passi, il suo scopo, la sua missione, il suo fine. Amen!

Trascrizione a cura di Grazia Collini

La fotografia, che ritrae un momento della celebrazione liturgica dell’11 luglio 2022, è di Mariangela Montanari, oblata benedettina secolare di San Miniato al Monte

 

 

 

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