Omelie

«Un ponte di luce nel buio dell’imperfezione». Omelia del padre abate Bernardo per la Solennità dell’Assunzione

15 agosto 2018 – Assunzione della Beata Vergine Maria

Dal libro dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo
Si aprì il tempio di Dio che è nel cielo e apparve nel tempio l’arca della sua alleanza.
Un segno grandioso apparve nel cielo: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e, sul capo, una corona di dodici stelle. Era incinta, e gridava per le doglie e il travaglio del parto.
Allora apparve un altro segno nel cielo: un enorme drago rosso, con sette teste e dieci corna e sulle teste sette diademi; la sua coda trascinava un terzo delle stelle del cielo e le precipitava sulla terra.
Il drago si pose davanti alla donna, che stava per partorire, in modo da divorare il bambino appena lo avesse partorito.
Essa partorì un figlio maschio, destinato a governare tutte le nazioni con scettro di ferro, e suo figlio fu rapito verso Dio e verso il suo trono. La donna invece fuggì nel deserto, dove Dio le aveva preparato un rifugio.
Allora udii una voce potente nel cielo che diceva:
«Ora si è compiuta
la salvezza, la forza e il regno del nostro Dio
e la potenza del suo Cristo»

 

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi
Fratelli, Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti. Perché, se per mezzo di un uomo venne la morte, per mezzo di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti. Come infatti in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti riceveranno la vita.
Ognuno però al suo posto: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo. Poi sarà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo avere ridotto al nulla ogni Principato e ogni Potenza e Forza.
È necessario infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. L’ultimo nemico a essere annientato sarà la morte, perché ogni cosa ha posto sotto i suoi piedi

 

Dal Vangelo secondo Luca
In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.
Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo.
Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».
Allora Maria disse:
«L’anima mia magnifica il Signore
e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,
perché ha guardato l’umiltà della sua serva.
D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente
e Santo è il suo nome;
di generazione in generazione la sua misericordia
per quelli che lo temono.
Ha spiegato la potenza del suo braccio,
ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;
ha rovesciato i potenti dai troni,
ha innalzato gli umili;
ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato i ricchi a mani vuote.
Ha soccorso Israele, suo servo,
ricordandosi della sua misericordia,
come aveva detto ai nostri padri,
per Abramo e la sua discendenza, per sempre».
Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua.

 

Omelia:

Fratelli e sorelle anche noi invochiamo lo Spirito Santo perché, colmando il nostro cuore, la nostra intelligenza, dilatando il nostro sguardo, ci possa donare davvero uno sguardo diverso sulla nostra umanità, un’umanità intimamente raggiunta, come accade in modo davvero tutto speciale in Maria, dalla presenza dell’amore del Signore, una presenza non solo parola, non solo idea, una presenza che è fremito di carne, di vita, respiro, palpitazione.

Non bastano alla tradizione mistica tutte le parole possibili per segnalare fino in fondo l’intimo sposalizio fra il divino e l’umano che si celebra in questo talamo tutto speciale che è il ventre della Vergine Maria, davvero novità della storia, novità della geografia, novità della nostra umanità e il Signore ci restituisca questa capacità di stupore, ma anche di intelligenza, per accorgerci di una possibilità nuova data all’uomo con Cristo, ma anche attraverso Maria, in una dimensione di così stretta intimità da sottrarre, come se davvero fosse una forza di attrazione irresistibile, la vicenda di questa donna fin dal suo concepimento in una dimensione già ulteriore, già nuova, già radicalmente diversa per qualità e quantità dalla nostra, senza tuttavia tradire la nostra umanità, senza che si abbandoni la nostra umanità, anzi, investendola così radicalmente di questo amore da far sì che quella umanità, quella di Maria, appunto nella sua espressione che costituisce la sua e la nostra vita e cioè il corpo, non potesse restare come diremo fra poco nel prefazio, prigioniero dello squallore del sepolcro, ma lo introducesse in una pienezza pasquale che significa e ci fa significare fino in fondo quale sia l’orizzonte della nostra condizione umana.

Ecco che Maria, potremmo dire, in forza dello Spirito Santo, viene a costruire per amore, per mistero e per grazia -permettetemi quello che non vuole essere un banale gioco di allusioni, ma una profondissima e sofferta e memore meditazione- un ponte sicuro fra terra e cielo, un ponte che tutti possono attraversare, senza temere di crollare, senza temere di vedere la propria strada interrotta in modo imprevedibile da i disegni del male.

E anzi vorrei che vi leggessimo, in un crescendo di speranza e di luce, come Maria ci permetta di vedere trasfigurato anche l’estremo sguardo profetico della Chiesa, quello che alberga nel cuore del più grande fra i tutti i visionari, Giovanni, Giovanni non il Battista, Giovanni che dall’isola di Patmos ha questa straordinaria grazia di poter rileggere tutta la storia, fratelli e sorelle, attraverso potentissime immagini che devono averlo spaventato, atterrito nella sua umanità, seppur così visitata dallo Spirito Santo in un modo straordinario.

Ci piace immergere il nostro dolore, il nostro sgomento, la nostra desolazione per quello che abbiamo visto ieri a Genova, nello sguardo apocalittico di Giovanni dall’isola di Patmos e lui, come avete ascoltato, riesce a sintetizzare non solo la storia della redenzione, ma la storia del suo pieno e definitivo compimento, riconoscendo in una donna, nella sua gravidanza, nella sua nascita, dunque in un evento così profondamente umano, lo sposalizio fra Dio e la sua umanità, uno sposalizio immediatamente fecondo in cui colei che si rende disponibile a questo agire straordinario, irripetibile dell’amore di Dio, davvero non può essere, come sposa e madre della Chiesa, destinata a dissolversi nel niente, a lasciarsi spezzare dalle pur ostili e feroci forze del male, simboleggiate niente di meno che da un drago.

E allora voi vedete che il Signore ha preparato un rifugio per questa donna, un rifugio che è nel deserto, ecco noi oggi contempliamo ancora oltre l’Apocalisse, ancora oltre la visione di Giovanni di Patmos, il grande veggente, come l’amore di Dio non poteva lasciare nel deserto colei che si è resa disponibile ad essere tramite, attraverso l’umiltà, l’obbedienza, attraverso una fede sofferta, di quella parola antica di Israele cui nessuno più credeva, non può restare in un deserto, nel deserto dovremmo andarci noi ad imparare come veri scolari a ritrovare la risonanza di quella parola che Maria ha fatto diventare carne della sua stessa carne, fratelli e sorelle, dunque non più il deserto, ma un’oasi verde, una rugiada perenne, una freschezza inestinguibile, il Partes, il Paradiso, il giardino, come ci insegna la lingua biblica.

E’ questo l’orizzonte verso il quale il ponte sicuro dell’amore di Dio fa diventare questa donna come noi, traiettoria di luce, possibilità scintillante e rassicurante più forte ancora della cometa di Natale per strappare tutti noi dall’esilio e dalla percezione di essere stati dimenticati, di non essere più desiderabili allo sguardo di Dio, per ricondurci a questo orizzonte pieno di senso, di significato, di adempimento della nostra vita, se solo torniamo a riconoscere nella vita, nella struttura della vita, della storia, quello che Giovanni pazientemente nell’Apocalisse ci insegna, essere tutto profezia, prolessi, anticipo, caparra, della realtà estrema che è solo e soltanto la prospettiva dell’amore infinito di Dio che non può trovare spazio nella finitezza di questa realtà, pensateci fratelli e sorelle, come può trovare spazio nella finitezza di questa nostra storia l’amore infinito di Dio?

Per questo l’irruzione pasquale che sconfina nell’infinito.

Ma questo infinito, attraverso Gesù, l’uomo-Dio e la porta celeste che è Maria, ponte sicuro di luce, è dato anche a noi perché quell’amore non ha ribrezzo della nostra finitezza, non si distanzia dalla nostra creaturalità, lui l’ha voluto e dunque lui lì ci attende, in questo infinito.

Davvero riconoscete nella povertà delle mie parole una traiettoria, una rotta, fratelli e sorelle, una geografia che possiamo finalmente tornare a desiderare, a percorrere, con la consapevolezza umile e sapiente che la fede ci dona e se perdiamo di vista queste traiettorie di sconfinamento riduciamo la Chiesa solo e soltanto ad uno dei tanti dispositivi sociali e morali che possono certamente correggere un po’ il percorso delle nostre esistenze, ma di fatto le condanna ad una orizzontalità, lo voglio ridire, che la verticalità dell’amore ha colto dall’alto dalla Beata Vergine Maria. Questo cielo popolato di angeli viene a restituirci un paesaggio che ci appartiene, fratelli e sorelle, ci appartiene anche il cielo e dopo il deserto, dopo il rifugio, anche per noi come la soglia della porta Santa ci avverte da mille anni esatti, anche per noi è spalancata la porta del cielo, anche per noi una scala è alzata sulla fatica del nostro cammino, nell’originalità dell’espressione con cui Marco Bagnoli ha voluto ricordarci questa prospettiva trasversale che riguarda tutta la nostra umanità, iniziando proprio dalla pendenza che il peso del nostro cuore ha verso la gravità del peccato, ma che l’amore di Dio, pazientemente, cerca di correggere con la risonanza della parola, con la vita divina che l’Eucaristia consegna e comunica alla nostra gravità per farsi finalmente leggerezza, brezza, volo di vita.

E ancora fratelli e sorelle, il ponte che è Maria, di nuovo un ponte che non è costretto all’usura del tempo, alla noncuranza degli uomini, alla loro irresponsabilità, ma è grazia, è luce, è possibilità che viene davvero a restituire ai nostri passi incerti il grande e intrepido coraggio di varcare la soglia, di guadare il rivo dell’acqua, di attraversare il cielo.

Ecco questa Pasqua estiva dell’Assunta possa restituirci di nuovo questa misura alta, respiro profondo, sguardo profetico, intelligenza intrepida e amore appassionato anzitutto vorrei dire -temendo di essere frainteso, ma lo voglio dire perché sia chiaro da dove tutto inizia nella nostra misteriosa comunione col Dio che si fa carne- iniziando ad amare un pochino di più il vero noi stessi, cioè riuscendo finalmente a nutrire di cielo il nostro cuore, fratelli e sorelle, con un discernimento più attento, più paziente, più limato di quello che è veramente essenziale per la nostra vita: è la grande lotta anti idolatrica che di nuovo il testo dell’Apocalisse propone perché non ci si consegni a nessun imperatore di turno, ma restituiamo la nostra vita a colui che veramente ha ogni diritto e pretesa, per amore e per libertà, su ogni nostro respiro: l’abbraccio liberante di quel Signore che ha scelto di essere grande facendosi piccolo nel grembo di una donna umile, fragile, ma vertiginosamente grande, per ricordarci l’altezza della nostra vera vocazione.

 

Trascrizione a cura di Grazia Collini

La fotografia è di Stefano Rellandini (REUTERS)

 

 

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