Omelie

«Un dovere di amore e di libertà». Omelia del padre abate Bernardo per la Domenica di Pasqua

 

«Un dovere di libertà e di amore». 21 aprile 2019 Domenica di Pasqua

Dagli Atti degli Apostoli
In quei giorni, Pietro prese la parola e disse: «Voi sapete ciò che è accaduto in tutta la Giudea, cominciando dalla Galilea, dopo il battesimo predicato da Giovanni; cioè come Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nàzaret, il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui.
E noi siamo testimoni di tutte le cose da lui compiute nella regione dei Giudei e in Gerusalemme. Essi lo uccisero appendendolo a una croce, ma Dio lo ha risuscitato al terzo giorno e volle che si manifestasse, non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti.
E ci ha ordinato di annunciare al popolo e di testimoniare che egli è il giudice dei vivi e dei morti, costituito da Dio. A lui tutti i profeti danno questa testimonianza: chiunque crede in lui riceve il perdono dei peccati per mezzo del suo nome».

 

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossési
Fratelli, se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra.
Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio! Quando Cristo, vostra vita, sarà manifestato, allora anche voi apparirete con lui nella gloria.

 

Dal Vangelo secondo Giovanni
Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro.
Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».
Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò.
Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte.
Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.

 

Omelia:

Fratelli e sorelle, dove ravvisiamo la consistenza di questo “dover risorgere dai morti”?

Dove cioè riusciamo a cogliere una doverosità in una esperienza che di fatto ribalta qualsiasi logica di buon senso, ispirata all’osservazione evidente, immediata dei meccanismi naturali che permettono lo svolgimento della nostra esistenza?

Un’ esistenza che lascia leggere, inscritta in sé stessa, una dimensione organica, certamente misteriosa, affascinante, -quasi un miracolo la vita- e a pensarci bene anche la stessa morte pare quasi un miracolo necessario, pur nella sua drammatica e sofferta esperienza, per permettere che questo miracolo dia spazio ad altre generazioni, alla possibilità che altri dopo di noi possano vivere, occupando gli spazi e il tempo che il Signore ha pensato per la vita di ciascuno di noi.

Ma oggi il Vangelo lascia nel cuore una constatazione che eccede questa osservazione naturale, la sua ragionevolezza, il suo buon senso e sembra dare finalmente piena cittadinanza a qualcosa che va oltre questo dato meramente naturale e organico, non ci stanchiamo di dirlo con forza: nel nostro cuore, nella lettura profonda, nel sondaggio dei nostri desideri e delle nostre speranze, esiste questa eccedenza.

Oggi la chiesa radunandoci intorno ad un sepolcro vuoto, lasciandoci nel cuore questa parola che risuona ,era necessario che Lui di fatto risorgesse dà piena cittadinanza, dà piena espressione, dà piena libertà a questo grande mistero che di fatto sconfina la constatazione naturale delle successioni organiche delle nostre generazioni, della vita passata, presente e futura, dà cittadinanza a questo nostro cuore che sente la sua vita chiamata per essere riconoscimento di un amore che lo precede, che lo accompagna, che lo guida, che lo compie, che lo trasfigura.

E se riconosciamo l’amore come scaturigine della realtà tutta intera, ecco che forse davvero, questa bellissima notazione evangelica si lascia interpretare come quel segreto, quella cifra misteriosa che dà spiegazione a tutta la nostra realtà, ben oltre i criteri con i quali la pur necessaria ricerca scientifica nei diversi ambiti, dalla biologia, a tutte le altre scienze naturali, sembra giustamente suggerirci e dirci in quella prospettiva che tuttavia non può rendere giustizia piena a questo desiderio di vita piena, a questo desiderio di dignità, di fatto smentita dall’orrore della morte, dalla perdita delle nostre persone care, da questo vedere la realtà sottomessa ad un principio di divisione che nella morte trova l’espressione più forte e più radicale, ma che in realtà il nostro cuore già conosce, già intuisce quando si fa strada nei nostri cuori il peccato nella sua espressione, nel suo significato esistenziale, questa deficienza di bene, questo fallimento del bene, questo mancare al bene, questo nostro obbedire a forze disgreganti che assolutizzando il nostro io, il più delle volte per paura, di fatto frattura la realtà intera, frattura le nostre relazioni, distanzia i nostri cuori, lasciandoci anche qui intuire una sorta di bivio: la possibilità di farci in tutto e per tutto testimoni di un amore che come tale è forza unificante, forza coesiva, assume fino in fondo il coraggio di mettere simbolicamente e realmente insieme tutti i diversi pezzi della realtà e soprattutto tutti i vari frammenti che compongono i nostri cuori, perché l’amore sia come un ricamo prezioso che intreccia, disegna filigrane bellissime per questa nostra avventura umana, laddove invece il peccato ha la sua logica disgregante che scompone, abbrutisce, deforma.

E ancora, fratelli e sorelle, in questa prospettiva noi riconosciamo come accogliere la doverosità, propulsiva di vita dell’amore significa arginare, voler arginare, quella dimensione che occulta questa verità tutta intera, a tutto favore di un’ombra che come menzogna riduce progressivamente, fino a quasi a farlo quasi scomparire del tutto, il significato più vero e autentico della nostra condizione umana e la sua sfida ingaggiata dalla realtà stessa, sfida che porti i nostri cuori a desiderare, cercare, patire, quest’espressione bellissima che ci consegna la parola del Signore, una verità tutta intera, non parziale, non attenuata, non manipolata, una verità che è come un grande esodo da affrontare per tutta la vita, illuminati da questa traccia, da questo indizio che a pensarci bene oggi la parola consegna in una essenzialità quasi disarmante e cioè un sepolcro vuoto.

Lo avete ascoltato, non abbiamo nessuna narrazione di quel mistero di fatto indicibile e inenarrabile per il quale lo Spirito Santo non ha potuto ispirare nessun autore evangelista nel raccontarci come, cosa è successo quando quel sepolcro si è rotto, deflagrato e Cristo Signore sollevato da quell’esperienza di morte per essere un tutt’uno nell’amore trinitario col Padre e lo Spirito Santo.

Abbiamo un indizio che è appunto l’assenza, il vuoto e questo credo ci dia anche la possibilità, lasciatemelo dire, di dialogare a testa alta con la contemporaneità, con la modernità, cioè lasciandoci persuadere di come effettivamente la Fede non sia solo e soltanto la certezza di tutto quello che possediamo, ma vorrei dire soprattutto la bellezza e l’ispirazione di tutto quello che dobbiamo ancora cercare e trovare, partendo da questo dato che segnala un’assenza. Un’assenza verso la quale, come vedete, si precipitano due rincorse, una lenta, quella di Pietro e l’altra velocissima e scattante, quella di Giovanni che come sapete era il discepolo amato dal Signore Gesù, quello avvezzo ad ascoltare l’interiorità di Cristo posando l’orecchio sul suo petto, come senza paura o attenuazione la forza del Vangelo ci racconta con una tenerezza umana che non deve sconcertare, ma al contrario, ricordarci che l’evento Gesù Cristo include tutta la gamma delle tenerezze umane, fratelli e sorelle, tutto il coraggio di uscire da noi stessi, cercando il cuore del Signore Gesù, senza temere di amare e di essere amati, fratelli e sorelle.

Non lo teme Giovanni, non lo teme il Signore Gesù e tutto questo si traduce in una corsa forte che porta Giovanni a rendersi conto di come quella corsa deve proseguire con ancora più energia per arrivare ad intuire fino in fondo cosa significhi quel vuoto, cosa significhi quell’assenza, riuscendo cioè a intuire che il nostro destino non è il vuoto,

non è l’assenza, ma è proprio la possibilità di fare del nostro corpo, fratelli e sorelle, la pienezza dell’amore, come è successo al Signore Risorto il quale fin dall’inizio ha messo a disposizione il suo corpo per i disegni del Padre.

“Ecco un corpo mi prepari, io vengo”, si legge nella Lettera agli Ebrei in riferimento al Signore Gesù e questo corpo è completamente e totalmente abitato dallo Spirito Santo per poter risorgere, fratelli e sorelle e allora ecco come noi intuiamo che è questa la pienezza che vorremmo cercare nella nostra vita, in una consapevolezza si direbbe teologica, antropologica, cioè riconoscere il nostro corpo destinato non alla morte e al suo fallimento, ma alla vita dell’amore il che in una parola si traduce alla Pasqua dell’amore, alla forza di quell’amore grazie al quale di fatto deve accadere la risurrezione, deve accadere la Pasqua, niente può fermare l’amore fratelli e sorelle, tanto meno il vuoto.

E viceversa contro le nostre presunzioni, contro le nostre finte luci, contro la forza disgregante del peccato quanta grazia è la Pasqua nella misura in cui radicalmente ci lasciamo visitare da questa mozione dello Spirito Santo che relativizza le nostre presunzioni, i nostri punti fermi, le nostre certezze, per questo la Fede lasciatemelo dire, è un vento salutare per la contemporaneità e per la modernità con le sue pretese che possono essere di segno opposto a quel nichilismo che si ferma radicalmente al sepolcro vuoto, saturandolo di tutte quelle informazioni che la tecnologia ci dona per poter avere una risposta sempre su tutto.

Ma così la corsa si arresta, saturi come siamo di informazioni abbiamo la persuasione illusa di avere una ragione e un motivo per ogni cosa. Niente di tutto questo.

C’è la dimensione del vuoto che crea spazio per quella corsa e d’altra parte accanto all’amore anche la dimensione del nostro pensiero, del nostro ragionare, argomentare, del collegare le cose, ho usato una parola forte prima, simbolo, questo vuol dire in greco, mettere insieme le cose nuove e anche il ragionamento, certo la Fede non è soltanto emozione che solleva il cuore per chissà quale sentimento affettivo, è il momento di Pietro che arriva dopo, ma ragiona, rimette insieme i pezzi di una storia intera vissuta col Signore Gesù e arriva anche il suo accertamento, la sua comprensione, Giovanni e Pietro si incontrano fratelli e sorelle, perché dentro di noi deve incontrarsi cuore e pensiero in una integrità che restituisca dignità alla nostra vita senza rinunciare alla ricerca ovviamente, senza pretendere di avere già ogni risposta.

Questo secondo me è il grande fascino dell’avventura pasquale, proponetela a tutte le persone che vi raccontano essere un’illusione, proponetela a chi di fatto ironizza su questa nostra profonda consapevolezza: non basta la legge che regola i meccanismi biologici e psicologici della nostra esistenza a dire il profondissimo mistero che oggi noi celebriamo con queste parole bellissime del Vangelo che sottolineo perché siano la chiave interpretativa della vostra vita, la ragione della vostra speranza, il contenuto della vostra Fede, l’ispirazione di ogni vostro e nostro amore: “Egli, cioè, doveva risorgere dai morti”

Non per una legge scritta su una pietra sterile e refrattaria, ma per quel vento e quella brezza di amore libero e liberante che il Signore non mancherà di far soffiare anche nelle viscere profondissime del vostro cuore. Amen!

 

Trascrizione a cura di Grazia Collini

La fotografia è di Mariangela Montanari

 

 

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