Omelie

«Sii luce, non disabitata trasparenza…» (Mario Luzi). Omelia del padre abate Bernardo per la Solennità dell’Ascensione

Domenica 13 maggio 2018 – Ascensione (B)

 

Dagli Atti degli Apostoli
Nel primo racconto, o Teòfilo, ho trattato di tutto quello che Gesù fece e insegnò dagli inizi fino al giorno in cui fu assunto in cielo, dopo aver dato disposizioni agli apostoli che si era scelti per mezzo dello Spirito Santo.
Egli si mostrò a essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio. Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere l’adempimento della promessa del Padre, «quella – disse – che voi avete udito da me: Giovanni battezzò con acqua, voi invece, tra non molti giorni, sarete battezzati in Spirito Santo».
Quelli dunque che erano con lui gli domandavano: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?». Ma egli rispose: «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino ai confini della terra».
Detto questo, mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi. Essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, quand’ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo».

 

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni
Fratelli, io, prigioniero a motivo del Signore, vi esorto: comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell’amore, avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace.
Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti.
A ciascuno di noi, tuttavia, è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo. Per questo è detto: «Asceso in alto, ha portato con sé prigionieri, ha distribuito doni agli uomini». Ma cosa significa che ascese, se non che prima era disceso quaggiù sulla terra? Colui che discese è lo stesso che anche ascese al di sopra di tutti i cieli, per essere pienezza di tutte le cose.
Ed egli ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri, per preparare i fratelli a compiere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo.

 

Dal Vangelo secondo Marco
In quel tempo, [Gesù apparve agli Undici] e disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno».
Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio.
Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano.

 

Omelia:

 

Vola alta, parola, cresci in profondità,
tocca nadir e zenith della tua significazione,
giacché talvolta lo puoi
sogno che la cosa esclami
nel buio della mente
però non separarti
da me, non arrivare,
ti prego, a quel celestiale appuntamento
da sola, senza il caldo di me
o almeno il mio ricordo sii
luce, non disabitata trasparenza…
La cosa e la sua anima?
O la mia e la sua sofferenza?
Vola alta, parola.

 

Fratelli e sorelle, noi abbiamo ascoltato nel Vangelo appena proclamato come sia stata intenzione del Signore confermare la parola con i segni che la accompagnavano. Confermare la parola.

Chi e cosa conferma la parola? E cosa significa davvero confermare la parola se non liberare la parola, lasciarla davvero andare, perché sia quello per cui esiste la parola, essere tramite, essere relazione, essere trasformazione, prima ancora, fratelli e sorelle, la parola è creazione.

Allora noi davvero siamo quassù, assieme, a San Miniato per liberare la parola, lasciarla volare sulla città, lasciarla andare nelle altezze vertiginose del cielo, sentiamo che i nostri cuori hanno bisogno di ritrovare una messa a fuoco che non si infogni più nei vicoli stretti delle nostre anguste prospettive, interessi, contingenze, ma abbiamo bisogno davvero di spazi infiniti, lì vogliamo recuperare una parola confermabile perché davvero libera, profetica, capace di tracciare delle traiettorie nello stesso tempo creative, cioè nuove, inedite, e che nello stesso tempo siano memoria feconda che ci racconta di un evento accaduto, non importa se molti anni fa, è l’evento degli eventi, è l’evento che ha schiuso la libertà di quella parola, delle nostre parole, quando cioè, fratelli e sorelle, nella vertiginosa discesa della parola nel sepolcro del nostro cuore disperato, l’amore stesso dello Spirito ha rotto quella pietra perché la parola volasse via e tornasse in alto.

Questa è la Pasqua, fratelli e sorelle, e noi oggi nell’Ascensione contempliamo, ormai davvero senza più confini, cosa significhi Pasqua. Gesù ci ha preparato per quaranta giorni, un numero che voi sapete associabile alle fatiche del deserto, della Quaresima, dell’esodo, a questo suo pazientare e stare con noi per farci intuire come la morte non può essere l’ultima parola dell’amore, ma adesso il Signore Gesù è pronto per la pienezza di quella Pasqua perché ha maturato nei nostri cuori il ritrovato desiderio di quella sconfinata libertà che, per viverla fino in fondo, ha bisogno di essere privata, fratelli e sorelle, privata della rassicurante presenza del Maestro, perché non sarebbe più libertà “ è bene per voi che io me ne vada “ dice il Vangelo di Giovanni, altrimenti come vi raggiunge lo spirito consolatore, il maestro interiore, colui che veramente trasforma la debolezza del nostro cuore nel luogo dove risuona la libertà della parola: dentro di me anzitutto!

Perché se non c’è questa statura, davvero alta e verticale della mia persona, resteremmo in quella schiavitù che Paolo ci ha assicurato essere stata superata per sempre, dunque noi quassù, sulla vetta della collina, verticali, con gesto forte di liberazione!

Confermare la parola. E su questo insisto fratelli e sorelle, perché questa è l’autentica cifra interpretativa di come abbiamo scelto di festeggiare questi mille anni a San Miniato, non date retta a nessun altra parola -perdonatemi- se non alla parola di chi qui vive e si assume la responsabilità di dire che confermare la parola significa anche accogliere la prospettiva della sua perenne fecondità e quindi il coraggio di lasciarla andare dove essa vuole. E se io per capire la sua traiettoria torno ad aver bisogno dello sguardo infantile di un poeta, perché come i bambini sa, lui sì, sa guardare il cielo credendoci e se ho bisogno dell’artista perché il suo patire mi evoca l’insoddisfazione delle nostre argomentazioni, e allora sì, anche questo è confermare la parola, ed è per questo e non per altro che abbiamo scelto di trasformare la nostra facciata, e l’altra notte questa nostra somma Basilica, in un frontespizio inedito dove la luce, evocata in questa mirabile lirica di Mario Luzi, effettivamente rimuova il buio della mente e davvero la parola sia in pienezza quella luce che porti il calore della nostra anima al celestiale appuntamento con il vertice di ogni vertice.

Se noi perdiamo di vista questa prospettiva, come in mille modi diversi, con altre priorità, ma non escludendo questa, Papa Francesco ci ricorda, noi corriamo il drammatico rischio di vivere una fede archeologica e di trasformare le nostre chiese in musei. E non può esserci, questo sì lo dico pure con forza, solo lo slancio etico a vaccinarci da questo rischio, cioè quella che lui chiama più volte la Chiesa in uscita, la Chiesa che guarda, che esce da se stessa, per accorgersi di quello che oggi accade.

Occorre anche però, io credo, sottolineare la necessità di una sguardo estetico perché il bene senza il bello ci dà l’impressione che riduca l’integrità della vocazione umana, cioè questa parola che è scesa dall’alto per visitare il mio cuore perché il mio cuore faccia lo stesso dinamico movimento della parola del Signore Gesù, scesa negli inferi del mio cuore, liberata dall’amore del Padre e protesa oggi, noi tutti insieme, verso l’alto.

E questa è una prospettiva marcata stretta anche per la nostra vita, fratelli e sorelle, e noi col calore della nostra anima siamo con questa parola, vogliamo essere con questa parola, volare alto con questa parola, a questo serve San Miniato, per questo io ho sentito il bisogno di confermare mille anni di San Miniato, mille anni di parola ascoltata e pregata, mille anni di interrogativi, mille anni di ricerca, con una sottolineatura che fosse una luce ulteriore sulla nostra città, che decifrasse, ci aiutasse a decifrare, a interpretare, l’interrogativo che alberga il nostro cuore.

E allora anche stasera e per tante altre notti, fino a metà luglio, grazie all’estro artistico di Marco Nereo Rotelli, alzate il vostro sguardo verso San Miniato e ci leggerete questo incipit di Mario Luzi, “vola alta parola, tocca Nadir e Zenith della tua significazione” cioè sii te stessa, non dimenticare niente del tuo significato, ma con questo significato ci siamo anche noi, c’è la nostra vita fratelli e sorelle, sennò diventiamo dei ghiaccioli e vogliamo che Gesù, come di fatto ci ha assicurato la parola accolta, celebrata, in questa liturgia porti con sé ciascuno di noi, possiamo essere certi, a quel celestiale appuntamento in grazia di questo mistero concorporeo della Chiesa per il quale ognuno di noi è membro vivo del suo unico organismo, cristico, ed ecco che anche noi ci siamo, tendiamo verso, voliamo alto.

Non è meravigliosa questa prospettiva fratelli e sorelle a risvegliare lo sconfinamento perenne del nostro cuore mosso solo e soltanto dall’interrogativo? Ecco qui, questa fondamentale, anzi formidabile qualificazione dell’esperienza della salvezza, del sentirci non condannati, parole fortissime del Vangelo, chi non è battezzato, chi non riconosce è già condannato, cosa significa questo fratelli e sorelle?

Voi osserverete stasera sul fronte del Palazzo dei Vescovi un punto interrogativo, sono queste domande che Mario Luzi pone alla sua e alla nostra anima, “la cosa e la sua anima? O la mia e la sua sofferenza?” Fratelli e sorelle non è forse la prima vera grande beatitudine evangelica che saluta la nostra somiglianza e immagine al Padre celeste il porci domande?

Non è forse davvero il porci domande il segno di una libertà che sottrae il nostro cuore all’istintività cieca e fatalistica per la quale si deve fare quello che qualcun altro ha scritto per noi?

Questo non è Vangelo, Vangelo è libertà e volo, è domanda, è interrogativo, è inquietudine, per questo la risposta che conferma la parola e che il poeta ci fa intuire e che stasera di nuovo riverseremo sulla facciata non può che essere luce, luce, non disabitata trasparenza, cioè non un vuoto senza la percezione di un esserci che lo attraversa da un capo all’altro della storia, ma davvero la luce, impalpabile certamente, intangibile, ma il segno che quella parola che ha creato tutto iniziando dalla luce, continua ad attraversare la nostra storia e i nostri cuori per ricordarci a colui che, principio di ogni vocazione, è la grande risposta che attende il nostro amen, il nostro sì, la nostra profonda e alta significazione, nel calore della nostra anima.

Amen

 

Trascrizione a cura di Grazia Collini

Fotografia di Mariangela Montanari

 

 

 

 

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