«Si ripara dalla sua eternità sotto una gronda umana». Omelia del padre abate Bernardo per la Santa Messa della Mezzanotte di Natale

«Si ripara dalla sua eternità sotto una gronda umana». Omelia del padre abate Bernardo per la Santa Messa della Mezzanotte di Natale

Omelie e meditazioni

Fotografia di Grazia Collini

«Si ripara dalla sua eternità sotto una gronda umana».

Omelia per la Santa Messa della Mezzanotte di Natale

 

 

 

Dal libro del profeta Isaìa
Il popolo che camminava nelle tenebre
ha visto una grande luce;
su coloro che abitavano in terra tenebrosa
una luce rifulse.
Hai moltiplicato la gioia,
hai aumentato la letizia.
Gioiscono davanti a te
come si gioisce quando si miete
e come si esulta quando si divide la preda.
Perché tu hai spezzato il giogo che l’opprimeva,
la sbarra sulle sue spalle,
e il bastone del suo aguzzino,
come nel giorno di Màdian.
Perché ogni calzatura di soldato che marciava rimbombando
e ogni mantello intriso di sangue
saranno bruciati, dati in pasto al fuoco.
Perché un bambino è nato per noi,
ci è stato dato un figlio.
Sulle sue spalle è il potere
e il suo nome sarà:
Consigliere mirabile, Dio potente,
Padre per sempre, Principe della pace.
Grande sarà il suo potere
e la pace non avrà fine
sul trono di Davide e sul suo regno,
che egli viene a consolidare e rafforzare
con il diritto e la giustizia, ora e per sempre.
Questo farà lo zelo del Signore degli eserciti.

 

Dalla lettera di san Paolo Apostolo a Tito

Figlio mio, è apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini e ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà, nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo.
Egli ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formare per sé un popolo puro che gli appartenga, pieno di zelo per le opere buone.

 

Dal Vangelo secondo Luca
In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città.
Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta.
Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio.
C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, ma l’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia».
E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva:
«Gloria a Dio nel più alto dei cieli
e sulla terra pace agli uomini, che egli ama».

 

Omelia

Fratelli e sorelle carissimi anche voi, come ci ha detto il profeta Isaia non vi siete concessi riposo stanotte, per amore di Gerusalemme e sempre per amore di Gerusalemme siete in attesa che sorga come aurora la sua giustizia e la sua salvezza.  Salvezza, giustizia, aurora, veglia, sono davvero gli elementi fondamentali che ci permettono oggi di celebrare il grande mistero della natività del Signore Gesù.

Il magistero della Chiesa chiede prudenza ai predicatori quando si tratta di illustrare la parola di Dio, chiede di non aprire troppo il proprio cuore delle proprie disavventure psicologiche e del proprio quotidiano, però non posso nascondervi, fratelli e sorelle, come questa celebrazione per me oggi sia stata resa opaca dall’improvvisa morte di una donna, in un incidente d’auto, nella strada che la riportava a casa; lo so bene, uno dei tanti incidenti che accadono sulle nostre strade per questioni che si sogliono dire fatali, che magari possono dipendere da una distrazione, dal clima sfavorevole, da mille altre ragioni, almeno parzialmente imperscrutabili, so bene e non lo dimentico, e non lo dimentichiamo, che anche se i giornali ce lo hanno detto in modo abbastanza marginale, dall’altra parte della nostra terra centinaia di persone sono morte per avverse condizioni climatiche nelle zone dell’Oceano Pacifico, ma io, fratelli e sorelle, ripenso a questa vicenda quasi elementare, paradigmatica, di una donna, la sua famiglia, la sua storia, le sue fatiche, le sue speranze, le sue attese, le sue amicizie e improvvisamente qualcosa di imprevisto taglia la strada e uccide.

Cosa può entrare in tutto questo del mistero di Dio?

E come ci può entrare il mistero di Dio in questa nostra fragile vita?

E dunque, perché ostinarci a celebrare il Natale? Quando il conteggio più frequente delle nostre esistenze è segnato da eventi che ne sottolineano la fragilità, l’inconsistenza, quella che le tradizioni orientali chiamano l’impermanenza?

Come può entrarci Dio in una vicenda come la nostra, così difficilmente disposta ad essere trattenuta dalla forza del cuore e dell’amore, quando magari una malattia silenziosa, come un fiume carsico erode dal di dentro la nostra consistenza vitale?

Ecco, fratelli e sorelle, noi invece a Natale vogliamo ostinarci nel celebrare quanto Dio per l’appunto c’entri radicalmente in questa nostra fragilità, non la scansi, ma al contrario proprio dentro la nostra umanità, la nostra fragile umanità, Dio -come dice Mario Luzi- si fa gronda, per ripararsi dalla sua eternità; dice proprio così il poeta in un verso che riassume con grande consistenza di significato e chiarezza, il senso del Natale, Dio si ripara dalla sua eternità, e dove si ripara?

Noi penseremmo in un prisma di acciaio per metterlo al riparo dall’incidente che ha ucciso Sonia, dalle tempeste che hanno travolto nell’acqua decine e decine e decine di persone, dalle malattie silenziose  che scavano dal di dentro.

No! Dio sceglie come gronda per ripararsi dalla sua eternità, la carne dell’uomo!

Che  scelta assurda da parte di Dio! Quale follia imperscrutabile noi celebriamo stanotte, eppure, fratelli e sorelle, come potremmo attendere l’aurora per amore di Gerusalemme togliendoci, come voi, noi, ci siamo tolti il riposo in attesa della salvezza e della giustizia, se dovessimo credere in un Dio che scansa la nostra umanità, che si sottrae alla nostra fragilità, che si arriccia in se stesso per evitare ogni curva, per disinstallarsi da ogni esposizione alla forza disgregante e distruttiva di qualsiasi malattia.

Noi celebriamo stanotte davvero questo Dio che si ripara dalla sua eternità e lo fa per creare uno spazio nella sua eternità, perché la nostra fragile vita trovi dimora in questo spazio che lui lascia libero per noi, per Sonia e per tutti coloro che in questi giorni di festa non possiamo dimenticare -e ogni famiglia eccome se ce l’ha, a pensarci bene, il suo inventario di assenze, di persone che non ci sono e non possono esserci.

Dove sono? Ecco, fratelli e sorelle, sono nello spazio che l’amore che Dio ha ricavato, Lui riparandosi nella nostra umanità e Lui lasciandoci entrare nella sua eternità.

Questo è il mistero del Natale, un mistero che rende credibile, palpabile, tangibile, nella fragilità di un infante questa follia di amore del Signore.

E attenzione, a tutto questo si aggiunge davvero un dato essenziale che solo il riconoscere  la qualità folle dell’amore di Dio svela a questa nostra attesa vigilante di salvezza, di luce e di giustizia, un’attesa preziosa, che frena la vostra intelligenza, frena il vostro cuore che già attende e il solo attendere, il solo desiderare luce, salvezza e giustizia, qualifica i vostri cuori, li riconsegna al Signore come cuori animati di passione, lontani dalla rassegnazione, scandalosamente convinti che valga la pena di vivere, nonostante tutto.

E in voi c’è questo valore, scandaloso per molti, come un frutto prezioso di un Dio che non scansa la vita dell’uomo, ma la assume in pienezza e cioè la pienezza con cui Dio assume la nostra vita è proprio la nostra fragilità.

Per questo il Natale inaugura l’attenzione di un altro che mi darà la sua definitiva e piena energia soltanto in un’altra notte nella quale ci troveremo, meno gelida senz’altro, ma non per questo meno oscura e meno assetata di salvezza e di giustizia, cioè la notte di Pasqua, quando in questa debolezza qui, un bambino che è Dio, cercheremo il senso di un sepolcro che ci interrogherà quella notte, e anche allora saremo assetati di luce, perché sempre il cuore dell’uomo, se è veramente cuore, non può che  pati

re sete di luce.

E allora fratelli e sorelle, proviamo anche noi a fare altrettanto, a ripararci nella gronda dell’umano, salvandoci dalla nostra presunta eternità, dalla nostra presunta sopravvivenza, dalle nostre presunte pretese e impariamo da Dio a fare spazio, il nostro spazio non potrà essere  l’eternità che solo lui apre ai nostri desideri però guardate fratelli e sorelle,  è un riverbero prezioso di quell’eternità la misura con la quale -diversamente da quello che è accaduto a Betlemme dove non c’era posto per Gesù, Giuseppe e Maria- fare un piccolo spazio alla sofferenza dell’altro, all’inquietudine dell’altro, alla diversità dell’altro può inaugurare in questa persona sentieri nuovi, di adesione alla vita, di approdo ad un  significato, di consistenza di speranza.

Per questo siamo tutti allievi e discepoli, più che mai stanotte, di questo piccolo bambino, infante cioè letteralmente incapace di parola; un silenzio gravido di significato dove riverbera, con questa consistenza fragile e fortissima al contempo, la parola del Padre che per una volta intera in tutta  la storia ha risuonato, facendosi carne, questa carne che questa notte è la gronda dove Lui si ripara dalla sua eternità e dove noi, per merito indecifrabile, solo per grazia e mistero, incontriamo e gustiamo l’eternità come unica vera promessa che dà senso ai nostri giorni. Amen

Trascrizione a cura di Grazia Collini

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