«”Saziando di sé, di sé asseta”. Chiesa, sacramenti e pandemia». Un intervento del padre abate Bernardo sul Corriere Fiorentino

«”Saziando di sé, di sé asseta”. Chiesa, sacramenti e pandemia». Un intervento del padre abate Bernardo sul Corriere Fiorentino

Meditazioni

 

«Saziando di sé, di sé asseta». Chiesa, sacramenti e pandemia

La Chiesa che è in Italia vive da ieri un tempo di particolare grazia e speranza: con tutte le cautele del caso al popolo di Dio è stata restituita la possibilità di accedere alle liturgie eucaristiche nelle diverse realtà ecclesiali sparse nelle nostre città e nelle nostre campagne. Si è trattato di un lungo, sofferto e inedito digiuno eucaristico coinciso in gran parte con due tempi fortissimi nella scansione delle “stagioni” con cui si lascia ritmare nel tempo la vita dei credenti: il tempo di quaresima, giorni di essenzialità, se non di privazione, corrispondenti alla sofferta conversione affrontata da Israele in quella speciale scuola di vera libertà dagli idoli che è stata la traversata nel deserto esodico e il tempo di pasqua, officina di rigenerazione personale, comunitaria e addirittura cosmica attivata dalle energie sconfinate e sconfinanti del supremo dono che il Risorto ci dona: lo Spirito Santo. Meno accessibile all’immaginario dei credenti per la sua misteriosa e inafferrabile dinamica nel cuore della Trinità e della storia, tutti noi in queste lunghe settimana ne siamo diventati provvidenzialmente e finalmente esperti: ogni privazione aguzza infatti i nostri sensi, anche quelli spirituali, per cogliere tracce e riverberi di una presenza capace di dare senso al nostro inquieto e ramingo cercare, pure quando tale necessaria investigazione è stata confinata e ingabbiata nelle pareti delle nostre case. Non più tardi di domenica scorsa i credenti nelle loro liturgie domestiche davvero in modo nuovo , più intenso e verace avranno come mai prima ascoltato e colto nelle parole di Gesù del Vangelo di Giovanni una consolante certezza di prossimità del loro Signore alla loro vita e ai loro difficili giorni proprio grazie all’invisibile ma efficace forza di amore e comunione realizzata dallo stesso Spirito, il Paraclito (l’avvocato), il Consolatore con il quale, pur rinunciando alla pur necessaria vita sacramentale, nessuno di noi si è sentito orfano e dunque dimenticato dall’amore di Dio: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi. Non vi lascerò orfani: verrò da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi». In forza di queste vertiginose e abissali reciprocità che inseriscono le nostre povere esistenze nel l’epicentro stesso della Santissima Trinità inaugurando per così dire un “potenziale mistico” in tutti noi, sempre nella liturgia della scorsa Domenica san Pietro ci ha ricordato di poter e dover «adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi». E tuttavia il nostro incontro col Mistero finalmente intuito come ragione della nostra vita e di tutta la storia non è accadimento meramente intellettuale e speculativo. «Non mi stancherò di ripetere quelle parole di Benedetto XVI che ci conducono al centro del Vangelo: “All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e, con ciò, la direzione decisiva”»: così papa Francesco all’inizio di Evangelii Gaudium saldando per così dire l’esordio del suo magistero con quello del suo predecessore in una affermazione il cui gusto integrale di bellezza e di amore ci è finalmente restituito potendo partecipare anzitutto coi nostri corpi, coi nostri sensi, col nostro vivo e organico esserci in quel febbrile laboratorio teologico ed esistenziale costituito dalla liturgia. Il nostro ritrovarci assieme in ascolto della sua Parola di vita e alla mensa del suo Pane di vita segnano la possibilità assai concreta e sensuale di nuovi inizi e nuovi indizi in quella ricerca che rimette in cammino di futuro e di speranza il cuore e l’intelligenza, dopo l’iniziale tristezza e disillusione, noi oggi e i discepoli di Emmaus ieri dopo la misteriosa sparizione del Signore Gesù allo spezzare del pane. Da tale paradossale vorticosità di assenza e di presenza scaturisce un tratto decisivo e irrinunciabile della nostra più autentica condizione umana che ci si augura sia stato in queste lunghissime settimane ridestato, ritemprato e più semplicemente riscoperto dopo anni di apatica e sazia stagnazione: il desiderio. Nessuno meglio di Dante Alighieri ha descritto tale amorosa, verticale dinamica di desiderio per l’appunto eucaristico che appena soddisfatto per singolare prodigio è subito rigenerato più potente di prima. Il riferimento è inevitabilmente al canto XXXI del Purgatorio, i versetti 127-9: «Mentre che piena di stupore e lieta / l’anima mia gustava di quel cibo / che, saziando di sé, di sé asseta». Che la riapertura delle nostre chiese alla liturgia condivisa con la nostra gente segni questo nuovo inizio: sazietà di amore ricevuto per una più ardente e inesausta sete di pienezza per le nostre vite, per le nostre relazioni, per le stesse gravi responsabilità che ci attendono nell’agenda di una imminente cronaca sociale, economica e culturale ineludibile e davvero impegnativa per tutti, credenti e non credenti.

Padre Bernardo

Firenze, 18 maggio 2020

La fotografia è di Mariangela Montanari

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