Omelie

«Raggiunti dal fuoco di Pasqua». Omelia del padre abate Bernardo per la Solennità di Pentecoste

«Raggiunti dal fuoco di Pasqua»

9 giugno 2019 – Domenica di Pentecoste

Dagli Atti degli Apostoli
Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi.
Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamìti; abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, della Frigia e della Panfìlia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, Romani qui residenti, Giudei e proséliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio».

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani
Fratelli, quelli che si lasciano dominare dalla carne non possono piacere a Dio. Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene.
Ora, se Cristo è in voi, il vostro corpo è morto per il peccato, ma lo Spirito è vita per la giustizia. E se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi.
Così dunque, fratelli, noi siamo debitori non verso la carne, per vivere secondo i desideri carnali, perché, se vivete secondo la carne, morirete. Se, invece, mediante lo Spirito fate morire le opere del corpo, vivrete. Infatti tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio.
E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: «Abbà! Padre!». Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria.

Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre.
Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto».

Omelia:

Fratelli e sorelle vogliamo inscrivere questa celebrazione della Pentecoste, questo giorno pentecostale, questo evento dello Spirito e nello Spirito, nel cuore di quella sorgente da cui promana un orizzonte di luce che oggi si staglia sulla penombra dei nostri giorni e sulle angustie, spesso così tristemente disilluse del nostro cuore.

Scaturigine e sorgente di questo evento di luce non può che essere, come tutti voi sapete, la Pasqua del Signore Gesù, la sua risurrezione.

Risuona per questo assolutamente pertinente l’avvertimento paolino “se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi”.

Contempliamo così l’agire della Santissima Trinità nella sua dimensione propriamente attiva, il Padre e lo Spirito Santo e in quell’esperienza di divina passività propria del Figlio che, rinchiuso nell’anfratto oscuro di un sepolcro, dalle energie dello Spirito Santo di fatto è trascinato fuori mediante una deflagrazione che lo ricostituisce, dice Paolo all’inizio della lettera ai Romani, “in potenza” quale Figlio di Dio.

Un accadimento che, come ci dice Paolo, non risulta confinato al solo Signore Gesù, ma per così dire, si espande, si dilata, fino ad investire di prospettiva radicalmente nuova l’esistenza di ciascuno di noi che riceve, proprio in forza dello Spirito Santo, una possibilità pasquale che non ci stanchiamo di ricordare alla consapevolezza del nostro cuore, così tentato dalla sfiducia e dalla rassegnazione, anche per rianimare di contenuti alti e speranzosi la nostra missionarietà. Perché non esiste la possibilità per chi crede nel Vangelo del Signore Gesù di accontentarsi di desideri contingenti e provvisori, squalificati da questa portata alta della vicenda pasquale che lo Spirito Santo per l’appunto viene, non solo a ricordarci in una dimensione esclusivamente storica, mnemonica, archeologica ma, come ci avverte Paolo a farcela vivere in pienezza, si direbbe dal di dentro, squadernando, per così dire, la nostra compagine personale tentata di assestarsi su sé stessa, nello sforzo tanto epico quanto inutile di una sostanziale autosopravvivenza e al contrario schiudendo un orizzonte radicalmente trinitario che significa sentirci soggetti attivi e passivi allo stesso tempo, nel grande incessante dinamismo dell’amore amante e amato proprio del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, come con definitiva e icastica efficacia retorica e teologica, Agostino ci invita a scoprire la qualità amorosa delle tre persone della Santissima Trinità: il Padre amante, il Figlio amato, lo Spirito Santo amore.

Dunque un ricordo di qualità esistenziale, ma soprattutto dalla forza trasfigurante, così da qualificare in tutta la sua reale pregnanza la parola del Signore Gesù per come ha risuonato nel Vangelo di Giovanni: “lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto”.

Ma questo ricordare la parola pronunciata dal Signore Gesù non è, sia ben chiaro, un ausilio alla nostra scarsa memoria, oggi non ne avremmo più bisogno perché nelle tasche di tutti noi abbiamo dei dispositivi elettronici con i quali, mediante poche digitazioni potremmo avere sott’occhio tutta la Santa Scrittura, è evidente che non è un ausilio funzionale ad una memoria esteriore, lo Spirito Santo viene a ri-cordarci la parola del Signore Gesù se la riconosciamo e la accogliamo attraverso una obbedienza che mette in krisis tutta la nostra persona lasciando che la nostra creaturalità si sfianchi, si disarmi per così dire, si arrenda all’amore del Signore Gesù e, quell’evento pasquale che è la parola viva dello stesso Signore Gesù, verbo incarnato, trovi nella nostra carne l’ospitalità mistica necessaria perché tutto di noi si riconfiguri verticalmente, finalmente verticalmente, fratelli e sorelle, perché risplenda e torni a risplendere in noi l’immagine e la somiglianza che l’umanesimo cristiano non si stanca di annunciare alle antropologie di ogni tempo. Questo ricordo fortissimo è il ministero dello Spirito Santo, dunque un ricordo che ha i tratti dinamici, performativi, efficaci di quella esistenzialità che ci fa riconoscere il Dio dell’amore, non come un puro essere, ma un vertiginoso esserci, fratelli e sorelle, per noi, con noi, ieri, oggi e sempre, una dinamica inclusiva nella nostra storia personale e comunitaria e radicalmente estroversa in forza di questo suo carattere di amore-amante che non si lascia arginare da alcun confine e che rende tutti noi inquieti escursionisti dell’ignoto, dello sconosciuto, attraverso quella via regia dell’amore che la Lettera agli Ebrei in modo stupendo e mirabile ci ha ricordato domenica scorsa: la via vivente e nuova, tracciata da quell’inchiostro di grazia e di Pasqua che è il sangue del Signore Gesù.

Quello è il tracciato che fa della nostra partecipazione rituale, per non dire abituale dell’Eucaristia domenicale, un vero evento sovversivo di ogni nostra rassegnata tranquillità accomodante, mediocre, di questo fermento evangelico che deve incrociare tutto di noi, fermentarlo, metterci, lo ripeto con forza, in krisis perché rinasca ciascuno di noi in quella prospettiva filiale che drizza tutto di noi verso l’alto per poter anche noi idealmente, ma neanche troppo, partecipare all’ascensione del Signore Gesù, con questo respiro che volta volta è respiro di tenerezza, di ansietà, preoccupata per le vicende della storia dell’uomo, ma soprattutto è grido di intercessione, di assimilazione all’orizzonte cristico con il quale possiamo dire assieme a Gesù “Abbà” Padre! per l’umanità intera, fratelli e sorelle, con l’umanità intera, facendo dei ristretti confini del nostro cuore uno spazio autenticamente cosmico dove sconfina lo Spirito Santo per rompere quei piccoli, mediocri argini con i quali facciamo i conti della nostra piccola sopravvivenza per piccoli desideri, per anguste prospettive, per ridotti scartamenti. Tutto il contrario della via vivente e nuova che è il sangue del Signore Gesù, che lo Spirito Santo fa scorrere nelle nostre vene. Già sentiamo il sapore forte, indubbiamente forte, ma così mirabilmente consolante e illuminante di quel giorno, di quel venerdì dopo il Corpus Domini quando la generosità dell’amore di Dio si farà scoprire anche in quell’intimità intangibile che è lo stesso cuore del Signore Gesù trafitto, aperto, valicato e valicabile dalla nostra curiositas spirituale per attingere finalmente senza più alcuna mediazione di quel sangue che, con la forza dello Spirito Santo, apre questi tracciati.

E queste cose le diciamo fratelli e sorelle come discepoli e scolari dell’umiltà dello Spirito Santo, il tono delle mie parole, guai se vi sembrasse quello di un invasato, che avendo, per così dire, scoperto la verità la vuole imporre all’umanità intera.

Non è questa la via dello Spirito Santo, il metodo dello Spirito Santo, che ha un’altra modalità che è un tutt’uno con l’amore, che in fondo inizia a rivelarsi in questa dinamica che fa della nostra storia il talamo della sponsalità amorosa di Dio verso il suo popolo, per l’appunto da un roveto ardente, da lì inizia questa storia dialogica che trasforma questi nostri piccoli scenari terreni e terragni nell’orizzonte di una storiografia della salvezza che è la grande vicenda dell’esodo, culminante in una liberazione dall’idolo resa possibile, sperimentabile e trasmissibile attraverso il dono di quella legge che per l’appunto Israele celebrava nel giorno di Pentecoste, scritta su pietra.

Ma quando quella legge diventava un sasso col quale lapidare la donna scoperta nel peccato da parte delle nostre presunzioni sempre disponibili ad autoassolversi, ecco che il Signore la nuova legge la scrive sulla sabbia con la quale è impossibile lapidare chi pecca, dimenticandoci del nostro peccato e questa sabbia fratelli e sorelle diventa- in un picco vertiginoso di amore, la cui origine nessuno sa e verso dove vada nessuno sa, solo sapendo che ci conduce ad una verità tutta intera -diventa quella sabbia un soffio intangibile, fratelli e sorelle. Cogliete la potenza di questa decostruzione con la quale la rivelazione in Cristo ci racconta di un Dio che si spoglia progressivamente , si denuda, fino a mostrare il suo cuore per ispirarci dinamiche di amore che lo Spirito Santo propizia con il suo metodo, che l’allora teologo Joseph Ratzinger ha codificato in un modo splendido e ormai miliare si direbbe, da padre della Chiesa quale è, cioè la grande umiltà dello Spirito Santo il cui servizio essere, diceva allora Ratzinger, dimentico di sé stesso, perché il suo compito è ricordare il Padre e il Figlio, la loro forza amante e amata, in quella passività misteriosa che è l’evento pasquale vissuto dal Signore Gesù come ricezione della parola del Padre che accolta, lo libera dalle strettoie della morte e del sepolcro. Per questo il Signore Gesù chiede anche a noi di accogliere, di obbedire alla sua parola, non è una obbedienza per così dire formale, esteriore, direi quasi militaresca, esecutiva. Qui, attraverso questo lessico, dobbiamo cogliere davvero la forza penetrante della parola di carne che cerca di essere ospitata con la forza umile dello Spirito Santo che ci circoncide il cuore perché, come abbiamo cantato, lo Spirito Santo sia ospite della nostra interiorità, perché davvero il Padre e il Figlio prendano dimora nella nostra interiorità e rimangano con noi per sempre.

Ecco tutto questo segnala le straordinarie potenzialità della nostra vita in Cristo e come l’evento pasquale, attraverso il vento dello Spirito Santo che non è più la durezza della pietra con i suoi rischi e nemmeno la sabbia che va negli occhi e irrita lo sguardo, diventa l’amore che sa intenerire ciò che è duro e rafforzare ciò che è troppo fragile e renderci partecipi di un mistero che finalmente ci fa gridare un esperanto dell’amore con il quale comprenderci tutti, senza annullare le differenze, ma restituendoci alla consapevolezza che unica è l’origine dell’intera famiglia umana e unico senza eccezioni è l’orizzonte e l’approdo della vicenda dell’intera famiglia umana che la Chiesa, attraverso le dodici porte della sua Gerusalemme celeste, porte sempre aperte, vuole raggiungere col nostro umile concorso, in una missionarietà che ricordi al mondo intero da dove veniamo e verso chi andiamo. Amen!

Trascrizione a cura di Grazia Collini

Fotografia di Mike Blake, scattata a Los Angeles nel 2019

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