Omelie

«Per una “internazionale” della salvezza». Omelia del padre abate Bernardo per la XXV Domenica del Tempo Ordinario

Domenica 22 settembre 2019 – XXV domenica del Tempo Ordinario

 

Dal libro del profeta Amos
Il Signore mi disse:
«Ascoltate questo,
voi che calpestate il povero
e sterminate gli umili del paese,
voi che dite: “Quando sarà passato il novilunio
e si potrà vendere il grano?
E il sabato, perché si possa smerciare il frumento,
diminuendo l’efa e aumentando il siclo
e usando bilance false,
per comprare con denaro gli indigenti
e il povero per un paio di sandali?
Venderemo anche lo scarto del grano”».
Il Signore lo giura per il vanto di Giacobbe:
«Certo, non dimenticherò mai tutte le loro opere».

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo a Timòteo
Figlio mio, raccomando, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio. Questa è cosa bella e gradita al cospetto di Dio, nostro salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità.
Uno solo, infatti, è Dio e uno solo anche il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti. Questa testimonianza egli l’ha data nei tempi stabiliti, e di essa io sono stato fatto messaggero e apostolo – dico la verità, non mentisco –, maestro dei pagani nella fede e nella verità.
Voglio dunque che in ogni luogo gli uomini preghino, alzando al cielo mani pure, senza collera e senza contese.

Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù diceva ai discepoli:
«Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”.
L’amministratore disse tra sé: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua”.
Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: “Tu quanto devi al mio padrone?”. Quello rispose: “Cento barili d’olio”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta”. Poi disse a un altro: “Tu quanto devi?”. Rispose: “Cento misure di grano”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”.
Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce.
Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne.
Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?
Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza».

Omelia:

Fratelli e sorelle, cerchiamo attraverso la nostra umile e filiale preghiera che lo sguardo del Signore possa permettere una vita dignitosa e tranquilla in ogni spazio del pianeta.

Per noi è quasi scontata una prospettiva di questo tipo, ma credetemi questa visione che oggi si direbbe con una terminologia del nostro tempo invece globale, planetaria, è una visione davvero nuova, inedita, perché il mondo antico se pensa al pianeta, ovviamente conosciuto nelle proporzioni che le competenze e le possibilità scientifiche del tempo permettevano, era sempre una visione inevitabilmente di dominio, di forza, di potere, non era certo quella la cultura dei diritti umani, tanto meno delle nazioni unite, tanto meno della possibilità di immaginare soltanto un mondo senza contese e senza lotte, e se non altro per questa impossibilità di conoscerci fino in fondo da un punto di vista psicologico, iniziando dalla propria persona, ma soprattutto da un punto di vista commerciale, politico, sociale, culturale, tutto era in un regime di necessario sospetto e diffidenza.

Per cui vorrei che si cogliesse davvero con grande gratitudine al Signore l’ispirazione davvero spirituale con la quale egli si è fatto strada nel cuore dell’Apostolo per pensare forse per la prima volta, il mondo come uno spazio internazionale ove ci fosse una cittadinanza qualificata e qualificabile non con la forza delle armi ma assolutamente con l’umile pratica della preghiera, dell’affidamento, in una prospettiva che coglie appunto una internazionalità universale, nella prospettiva che l’appartenenza a Cristo dovrebbe risvegliare nei nostri cuori, chi siamo noi più degli altri se effettivamente ci riconosciamo dignitosi, non per quello che abbiamo, non per quello che evidentemente abbiamo conquistato, possiamo e dobbiamo, mettiamo pure anche fra parentesi l’ambiguità, certo salutare, importante, decisiva per la nostra modernità, ma così ambigua come la cosiddetta cultura e civiltà dei diritti, che sappiamo valgono finché alla fine non ci disturbano troppo, altrimenti li mettiamo serenamente da parte.

Qui la dignità e la consistenza di ogni persona, nella prospettiva del Vangelo del Signore Gesù, è quella  che è un po’ il cuore di tutta questa parola oggi, anche difficile, e cioè la prospettiva dell’essere stati salvati ed essere stati salvati senza merito, senza punteggi, ma per quello che Paolo riconosce come, fratelli e sorelle, un’universale disegno di salvezza, questa parola decisiva che ci fa chiamare, ahimè mai abbastanza volte, il Signore Gesù con questa parola bellissima, il Salvatore, che risveglia in noi la consapevolezza della gratuità della nostra salvezza, fratelli e sorelle, attraverso l’accoglienza di quel dono misterioso e pieno di grazia che è la fede, la cui trasmissione, che è il grande compito che Paolo avverte con una inquietudine esistenziale senza fine, egli sa delicatissima, fragilissima, e lo vediamo oggi in cui il numero delle persone persuase dalla bellezza del Vangelo, ahimè almeno nel nostro occidente, si assottigliano e Paolo proprio in questa consapevolezza umanissima, misteriosissima della fragilità della fede, sente la necessità di pregare e di far pregare perché i confini, i crinali di questo mondo si attenuino, perché il mondo conosca un contagio, un’epidemia di amore, di fede, di speranza, che restituisca

finalmente a tutti, in qualsiasi emisfero si trovino, la grande, liberante consapevolezza del Vangelo che è la consapevolezza che ha liberato Paolo, che ha salvato Paolo, che ha trasfigurato la sua vita, quella per l’appunto di sentirsi perdonato, senza averne alcun diritto, cioè la consapevolezza bellissima e fortissima che ci fa essere qui, fratelli e sorelle, in una festa di gratuità, una festa per la quale effettivamente ci dovremmo un pochino sentire partecipi di questa misteriosa scaltrezza di cui parla oggi il Vangelo, dimostrandoci una volta di più, sia detto anche questo per inciso, che il Vangelo, nonostante tutti i nostri tentativi, non può essere ridotto a codice di morale, di convivenza, e di socialità dei diritti, perché il Vangelo come vedete stamani è un testo molto più trasversale, è un Vangelo che annuncia una liberazione per la quale non può bastare la cultura dei diritti, della convivenza, della socialità, bellissime parole, bellissime istanze, ci mancherebbe!

Ma il Vangelo è attuale oggi, ma lo era anche quando nessuno mai aveva pensato di formulare la storia del mondo in una prospettiva di diritti, semmai di rapporti di forza, di sfruttamento, nel migliore dei casi di difesa che per quel tempo, e ahimè talvolta ancora oggi, l’unica modalità di difenderci è attaccarci, è far guerra.

Il Vangelo nasce in questa temperie culturale, non in un salotto del ‘700 francese, parlando e sorseggiando diritti, convivenze e buona educazione.

Il Vangelo si afferma profeticamente come un testo nel quale riconoscere una scaltrezza liberante nella quale e per la quale siamo invitati dallo Spirito Santo davvero a profittare, uso proprio questa parola, a profittare, a guadagnare una grazia che il Signore fa apparire e non apparire ai nostri sensi e alla nostra intelligenza, svelandola e nello stesso tempo rivelandola perché ci vuole uomini e donne svegli, fratelli e sorelle, San Benedetto nella Regola ha una espressione bellissima per colui chiamato dall’Abate a formare i giovani monaci “lucrare animas”, lucrare, sentite questa parola? Lucro! Guadagnare delle anime, perché il Vangelo si situa nella consapevole, realistica visione di una umanità che nessuna buona educazione, nessun progresso, lasciatemelo dire, riesce a migliorare.

Gesù ci conosce nella nostra brutale umanità, nella nostra istintiva sopravvivenza, agisce lì, dove cioè si cuoce la vita, facendoci diventare anche coloro che, pur di dover vivere, divorano senza troppi problemi l’altro. A questa brutalità parla oggi il Profeta Amos, cercando ovviamente di sollevare lo sguardo perché quei rapporti di forza e inevitabilmente di sfruttamento, non siano l’esclusiva unica chiave di lettura del nostro essere a questo mondo, perché sono rapporti parziali, ma non in una generica visione del bello platonico, ma nella consapevolezza che anche il più ricco degli sfruttatori è in sé stesso e in rapporto al mistero della vita un povero, un nullatenente, noi siamo dei nullatenenti, fratelli e sorelle!

E il nostro cuore chiede oggi davvero questa consapevolezza di guarigione che è stata espressa in modo mirabile dal versetto dell’Alleluja, cioè “la nostra ricchezza è la povertà di Cristo”.

Capite che meravigliosa dialettica di estremi, di opposti?

Come le forze in gioco siano di una magnitudo tale per la quale non si tratta di percorsi lineari, fratelli e sorelle, perché è della nostra condizione umana, in una situazione di presunto benessere, quasi la necessità di costruirci dei confini che ci tutelino, ci proteggano, ci difendano, è dell’uomo questo!

Ma il Vangelo ci offre uno sguardo realistico, dunque anche etico, sociale e politico che mette a nudo la parzialità di questa visione che squalifica il vivere e il sopravvivere e soprattutto, di fronte al grande mistero della vita, quello che in Cristo ci fa essere figli della luce, chiamati cioè anche ad una scaltrezza illuminante, necessariamente deve avventurarsi in prospettive che sono quelle che davvero danno ricchezza, che niente e nessuno può sottrarre al nostro cuore e che nessuna sostanza di questo mondo riesce a dare perché noi, fratelli e sorelle, con buona pace di chi pensa il contrario, non siamo fatti della sostanza di questo mondo, il Vangelo usa una espressione un po’ ambigua, quasi gnostica, figli della luce, che vorrà dire?

Mica siamo figli di comete che sono passate così velocemente vicino alla terra, come il volo di una cicogna ma, con questa immagine, effettivamente ci ricordiamo di avere un potenziale di infinito, di illuminazione, di sapienza, fratelli e sorelle, che dispone in una prospettiva davvero globale, planetaria, a riconoscere la provvisorietà, la contingenza delle cose di questo mondo, il che non significa, in modo automatico disprezzarle e ritenerci già fatti come filosofi che possono vivere con due spiccioli, il Vangelo non ha nemmeno questa prospettiva semplificante, che possono aver avuto nobili scuole filosofiche, gli stoici, i cinici, che in effetti –ve lo ricordate forse tutti da qualche ricordo liceale, Diogene che vive in una botte- il Vangelo nemmeno questo ci chiede, perché ha un realismo meraviglioso fratelli e sorelle, sa che non ci può, e diciamo pure non ci deve bastare una botte, ricordatevi sempre che nel Vangelo è beatitudine la povertà, non la miseria, quindi il Signore, e questa Basilica lo dimostra, ci chiede di essere costruttori di bellezza, prosecutori della sapienza creativa del Signore, ma di farlo in una prospettiva che riconosca l’assoluto non in quello che abbiamo, non in quello che facciamo, nei rapporti che costruiamo, ma anzitutto nella riscoperta che pur con queste istintive forze che nel nostro cuore hanno magnitudine squassante, la grande scoperta, è il sentirci comunque amati, desiderati, cercati, perdonati, salvati dall’amore di Dio, questa è la grande scaltrezza, fratelli e sorelle, che il Vangelo oggi ci invita a riscoprire perché questa gratuità passi anche attraverso di noi in relazioni che siano –come in fondo questo Vangelo dimostra- di liberazione.

Bellissimo no? E’ uno sconto oggettivamente disonesto che il Vangelo apprezza, io i miei amministratori me li sceglierei un po’ meglio, però effettivamente la carica sovversiva di questa pagina è in funzione di una liberazione del nostro cuore, resa possibile dalla sovrabbondanza della grazia del Signore che sciala, fratelli e sorelle, sciala, è follia il suo amore nei nostri riguardi, è anche lui un amministratore assolutamente disattento al suo patrimonio di regalità, di sovranità, di dignità, e Gesù è la povertà che ci fa ricchi, in questa logica di scambio che è del tutto illogico, per fortuna, per grazia, per speranza per le nostre vite.

E aggiungo che nella consapevolezza della delicatezza, fragilità, di questo pur necessario contagio di fede, io vorrei, un po’ presuntuosamente, retoricamente, ma lo faccio veramente col cuore anche perché ho nel cuore questa immagine così straordinaria, da un lato c’è l’obbligo morale, artistico, storico, di dover restaurare e ricostruire le chiese di Norcia, ma poche ore fa in quella piazza e vedere la statua, peraltro neanche bellissima, di San Benedetto che è lì integra, statica, massiccia, con quella mano alzata a indicare nello stesso tempo il cielo e quello che resta della Cattedrale di Norcia, uno scheletro rivestito di tubulari, che però segnala davvero questa  dissoluzione dello Spirito verso la quale va incontro una umanità che, assestandosi esclusivamente nella dialettica dei diritti e nel migliore dei casi dei doveri, perde di vista il respiro della gratuità, il respiro dell’essere stati generati, in una vita che non ci possiamo dare da soli, e quindi è un continuo scavo che depaupera, impoverisce, reprime, condiziona.

E allora questa mano che ho visto stanotte davanti all’involucro di quella chiesa bellissima, che esiste e non esiste più, è un segno che riverso nei vostri cuori perché siate anche voi nelle vostre vite, nelle vostre strade, nelle vostre professioni, nelle vostre amministrazioni, spero un po’ più oneste di quelle che oggi il Vangelo ci propone, siate un segno che interroga, non per opprimere, non per condizionare, ma per liberare quella luce della quale siamo figli, a dirci cioè che veniamo dall’Eterno e dall’Infinito e che l’Eterno e l’Infinito sono l’unica vera patria proposta a questo nostro mondo così tentato di serrarsi e chiudersi negli angusti confini del nostro provvisorio. Amen!

Trascrizione a cura di Grazia Collini

Nell’immagine una «Mappa» di Alighiero Boetti

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