Omelie

«Per un quotidiano Natale di luce incisiva, irradiante, decifrante». Omelia del padre abate Bernardo per la II Domenica del Tempo di Natale

5 gennaio 2020 – II domenica dopo Natale

 

Dal libro del Siràcide
La sapienza fa il proprio elogio,
in Dio trova il proprio vanto,
in mezzo al suo popolo proclama la sua gloria.
Nell’assemblea dell’Altissimo apre la bocca,
dinanzi alle sue schiere proclama la sua gloria,
in mezzo al suo popolo viene esaltata,
nella santa assemblea viene ammirata,
nella moltitudine degli eletti trova la sua lode
e tra i benedetti è benedetta, mentre dice:
«Allora il creatore dell’universo mi diede un ordine,
colui che mi ha creato mi fece piantare la tenda
e mi disse: “Fissa la tenda in Giacobbe
e prendi eredità in Israele,
affonda le tue radici tra i miei eletti” .
Prima dei secoli, fin dal principio, egli mi ha creato,
per tutta l’eternità non verrò meno.
Nella tenda santa davanti a lui ho officiato
e così mi sono stabilita in Sion.
Nella città che egli ama mi ha fatto abitare
e in Gerusalemme è il mio potere.
Ho posto le radici in mezzo a un popolo glorioso,
nella porzione del Signore è la mia eredità,
nell’assemblea dei santi ho preso dimora».

 

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni
Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo,
che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo.
In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo
per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità,
predestinandoci a essere per lui figli adottivi
mediante Gesù Cristo,
secondo il disegno d’amore della sua volontà,
a lode dello splendore della sua grazia,
di cui ci ha gratificati nel Figlio amato.
Perciò anch’io [Paolo], avendo avuto notizia della vostra fede nel Signore Gesù e dell’amore che avete verso tutti i santi, continuamente rendo grazie per voi ricordandovi nelle mie preghiere, affinché il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui; illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi.

 

Dal Vangelo secondo Giovanni
In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
Egli era, in principio, presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di lui
e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.
In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini;
la luce splende nelle tenebre
e le tenebre non l’hanno vinta.
Venne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone
per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce,
ma doveva dare testimonianza alla luce.
Veniva nel mondo la luce vera,
quella che illumina ogni uomo.
Era nel mondo
e il mondo è stato fatto per mezzo di lui;
eppure il mondo non lo ha riconosciuto.
Venne fra i suoi,
e i suoi non lo hanno accolto.
A quanti però lo hanno accolto
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
i quali, non da sangue
né da volere di carne
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.
E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi abbiamo contemplato la sua gloria,
gloria come del Figlio unigenito
che viene dal Padre,
pieno di grazia e di verità.
Giovanni gli dà testimonianza e proclama:
«Era di lui che io dissi:
Colui che viene dopo di me
è avanti a me,
perché era prima di me».
Dalla sua pienezza
noi tutti abbiamo ricevuto:
grazia su grazia.
Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè,
la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
Dio, nessuno lo ha mai visto:
il Figlio unigenito, che è Dio
ed è nel seno del Padre,
è lui che lo ha rivelato

 

Omelia:

Ecco fratelli e sorelle, la possibilità come nebbiosamente dicevo all’inizio di questa celebrazione eucaristica di tornare, soprattutto grazie alla rinnovata presenza del Prologo di San Giovanni, la ritrovata possibilità di tornare a meditare sul cuore del mistero natalizio, pochi giorni dopo la stessa solennità, mi persuade nel sottolineare ancora una volta questo carattere liturgico della celebrazione natalizia che ho volutamente sottolineato nel cuore stesso del Natale, e che ripropongo a voi scorgendo la specificità del mistero del Natale, nel suo essere celebrato dalla Chiesa, offrendole e offrendoci la possibilità cioè, non tanto e non solo di raccordare il nostro tempo presente a quel giorno, a quella notte, in cui il Signore Gesù è venuto alla luce –certo anche questo, non esiste celebrazione liturgica che non abbia in sé celebrazione liturgica che non abbia in sé un’indole mnemonica, cioè non esiste liturgia che non sia memoriale, attuazione nel presente di un evento pregnante di Spirito, anzi così pregnante di Spirito da non avere la forza di potersi riproporre al nostro e nel nostro presente, con una efficacia incomparabile- però l’evento natalizio in realtà deve, per così dire, permanere nel nostro cuore, nella nostra consapevolezza come un dato di fatto che, inauguratosi in quella notte, è di fatto costantemente disponibile all’intelligenza della nostra fede, perché effettivamente, come ci ricorda soprattutto la grande tradizione orientale, col Natale non celebriamo la venuta del Signore Gesù in mezzo a noi! Poderosa questa intuizione!

Perché il Signore Gesù, lo avete ascoltato dal prologo di Giovanni, è in ogni cosa, giacché ogni cosa è stata creata per mezzo di Lui e in vista di Lui.

Non c’è una distanza temporale o spaziale che Cristo debba colmare per raggiungerci, ma l’evento natalizio ci permette di celebrare qualcosa in realtà di assai necessario per il nostro incerto cammino di fede, fratelli e sorelle, e la tradizione orientale giustamente sottolinea che più che la venuta, nel Natale noi celebriamo lo svelamento di questa struttura cristica della realtà stessa, in modo ovviamente tutto speciale nella persona umana che non può essere pensata senza la verità, senza la grazia, senza l’amore, aggiungerei senza la bellezza di Cristo Gesù.

Questa dimensione rivelativa che il Natale ci invita a celebrare ogni giorno dell’anno, ogni istante della nostra vita, fratelli e sorelle,  verso  qualsiasi dettaglio di questa creazione, ha implicazioni fondamentali, voi lo capite benissimo per ridisegnare, per così dire, ben altro atlante, ben altra mappa della nostra storia, dei nostri spazi, delle nostre vicende, della nostra consapevolezza interiore che, alla luce di queste fortissime e pregnanti parole di Paolo da un lato e di Giovanni dall’altro, ma anche di questa bellissima intuizione quasi poetica che avete ascoltato da Sapienza, chi è la Sapienza, la Sapienza riletta dalla grande tradizione della Chiesa, altro non è che Cristo che avete ascoltato si radica nella nostra realtà, mette le radici nella città santa, nei nostri cuori.

Io resto veramente stupito da questo, davvero, coraggio mistico con il quale questi autori  sacri si sono fatti carico di  raccontarci la forza incontenibile di questo svelamento con cui l’amore di Dio supplica l’attenzione della nostra intelligenza e del nostro cuore perché si riscoprano più che visitati, inabitati, dall’amore suo che nell’unigenito Figlio raggiunge una vetta di adesione alla nostra umanità abissale, per questo avete ascoltato come nel Prologo di Giovanni, che ha questa forma mirabilmente concentrica, è un inno, un poema meraviglioso, ha un suo ritornello tutto giocato in questa dimensione per l’appunto rivelativa della luce, come una spirale. Cosa ci sta dentro una spirale? La nostra realtà, il nostro cuore, così distratto pur essendo raggiunto da questa luce che danza intorno ai nostri occhi, alla nostra vita, supplicando di essere accolta, fratelli e sorelle, per darci, niente di meno che il potere di diventare figli di Dio.

E noi distratti da ben altre variopinte e cangianti luci non ci accorgiamo di questa luce che è la luce originaria, cioè la luce che dà origine a tutte le cose, la cui pregnanza sovrintende a tutto l’atto creativo di Dio.

Per questo è fondamentale fare del Natale davvero, fratelli e sorelle, la lente di decifrazione di tutto quello che esiste, e noi -devo dirlo- nella migliore delle ipotesi, e nella migliore delle nostre prospettive pastorali torniamo a raccontarci del Natale, certo, è evidente, la venuta del Signore Gesù, la sua nascita in mezzo a noi- ma secondo me mai abbastanza insistiamo  su questa portata -io devo dire questa parola – ontologica, cioè che ha a che fare con la sostanza di tutto quello che esiste che altra vocazione non ha. se non di compiersi, adempiersi, in Cristo stesso che non a caso il nostro mosaico qualifica nell’autoconsapevolezza apocalittica :Io sono l’alfa e l’omega, il principio e la fine.

Questa espressione del Signore Gesù che Giovanni intuisce nella sua visione, che è una visione prospettica, che brucia la storia, brucia gli spazi e lo pone già a contatto con zenit di tutto, non sono espressioni vagamente consolatorie, quasi che Cristo fosse una cornice, l’inizio e la fine, e dentro ci sta questa nostra realtà. No! No!

Principio e fine in un senso fortissimo, incisivo, irradiante, trasfigurante.

Questa è la buona notizia che secondo me la Chiesa deve dire al mondo, e lo deve dire con insistenza, con forza, con coraggio, con dedizione, con pazienza. Non voglio dire che tutto il resto non importa ma tante volte davvero noi preti ci dedichiamo a cose inessenziali rispetto a questa consapevolezza che è decisiva per restituire alla nostra condizione umana semplicemente queste due parole fondamentali, che nel ritornello giovanneo tornano come espressione di una grazia e verità irrinunciabili se vogliamo veramente pensarci nella luce di Cristo.

Questo non significa che la Chiesa non debba ovviamente spendere e spendersi per la pace, la giustizia, il progresso di ogni, direi situazione umana, ma questo suo spendersi deriva da questa consapevolezza altissima della condizione umana, inabitata da una verità e da una grazia che è costata quello che è costata a Dio.

Perché anche questo fratelli e sorelle troppe volte dimentichiamo nel quadretto, nel bozzetto oleografico del Natale, con tutte le lucine colorate, ci dimentichiamo davvero la profondissima, sconcertante, umiliazione che Dio accetta, in Cristo Gesù, pur di svelarci questo mistero.

Cioè, avete capito chi è la Sapienza, avete capito chi è il Logos?

Cioè non è un figliolo qualsiasi, sta di fronte, verso, nel cuore, nel seno del Padre, nell’alterità c’è però una inerenza formidabile fra il Figlio e il Padre e questa energia di amore che rende questa alterità, per così dire, sconfinante l’una nell’altra, si lacera nell’incarnazione e nella conseguente umiliazione che il Signore Gesù accetta, per svelarci questo mistero di inerenza fra Lui e il Padre e renderci consapevoli che la nostra vita, la nostra storia, i nostri spazi, sono inclusi in questa relazione strettissima, Padre, Figlio, con l’energia dello Spirito Santo.

E questo è meraviglioso, fratelli e sorelle, e stamani lo devo cantare, gradare, sento di doverlo fare perché non trovo altra consistenza nella mia povera vita di peccatore, di uomo debole, semplice, come lo siamo in definitiva tutti, quale altra consistenza abbiamo se non sentirci amati da un amore così che ci rende appunto, se lo accogliamo, figli nel Figlio.

E anche qui noi preti abbiamo questo vizio, giusto, importante, per carità, amatevi, vogliatevi bene, fate, fate, fate, senza ricordare che se prima di fare non ci lasciamo fare da Dio, da questo amore performativo, il nostro amore inevitabilmente ha il fiato corto, episodico, è psicologico. A monte c’è questa grazia qua, a monte c’è questa verità qua e noi siamo gli eletti, Paolo è consapevole di  questo, siamo gli eletti, raggiunti da questa buona notizia, per questo ce lo dobbiamo dire con forza, con passione, soprattutto in questi giorni santi in cui la gente per grazia di Dio e nonostante il freddo, ama andare in chiesa, perché intuisce che almeno in questo periodo dell’anno, di freddo, di buio, di smarrimento, c’è bisogno di ritrovare una radice calda, una linfa vitale per i nostri giorni.

E non ve la comunico io, fratelli e sorelle, ve la dona la Chiesa, nella sua umanità e nella sua divinità, nella sua santità e nella sua fragilità, perché è un vaso di terracotta, che però contiene un tesoro inaudito.

E concludo proprio condividendo con voi la bellezza anche di questa preghiera: Paolo che continuamente rende grazie per la nostra fede, -ho ricevuto notizia della vostra fede- Paolo non è che si compiaccia perché i suoi fans agiscono, organizzano etc etc , fondano, costituiscono, la buona notizia che raggiunge il cuore il Paolo e che gli ispira una preghiera che in qualche misura sia la possibilità di nuovi inizi, di nuovi traguardi, di nuove progressione in questa esperienza di sovraconoscenza del mistero, è la buona notizia della fede, questo è il punto decisivo fratelli e sorelle, fede intesa come accoglienza della parola, della luce, della verità, della grazia, cioè un uomo e una donna che hanno un cuore tenero, poroso, che si lascia lacerare, modellare, da questo farsi di Dio alla nostra misura, per sollevarci alla sua misura. Amen!

 

Trascrizione a cura di Grazia Collini

La fotografia è di Mariangela Montanari

 

Condividi sui social