«Non interrare, ma seminare». Omelia del padre abate Bernardo per la XXXIII Domenica del Tempo Ordinario

«Non interrare, ma seminare». Omelia del padre abate Bernardo per la XXXIII Domenica del Tempo Ordinario

Omelie e meditazioni

«Non interrare, ma seminare»

19 novembre 2017 – XXXIII Domenica del Tempo Ordinario (A)

Dal libro dei Proverbi

Una donna forte chi potrà trovarla?
Ben superiore alle perle è il suo valore.
In lei confida il cuore del marito
e non verrà a mancargli il profitto.
Gli dà felicità e non dispiacere
per tutti i giorni della sua vita.
Si procura lana e lino
e li lavora volentieri con le mani.
Stende la sua mano alla conocchia
e le sue dita tengono il fuso.
Apre le sue palme al misero,
stende la mano al povero.
Illusorio è il fascino e fugace la bellezza,
ma la donna che teme Dio è da lodare.
Siatele riconoscenti per il frutto delle sue mani
e le sue opere la lodino alle porte della città.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicési
Riguardo ai tempi e ai momenti, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriva; infatti sapete bene che il giorno del Signore verrà come un ladro di notte. E quando la gente dirà: «C’è pace e sicurezza!», allora d’improvviso la rovina li colpirà, come le doglie una donna incinta; e non potranno sfuggire.
Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre, cosicché quel giorno possa sorprendervi come un ladro. Infatti siete tutti figli della luce e figli del giorno; noi non apparteniamo alla notte, né alle tenebre.
Non dormiamo dunque come gli altri, ma vigiliamo e siamo sobri.

Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì.
Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.
Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro.
Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”.
Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”».

Omelia:

Fratelli e sorelle si impone, ascoltando questa parola, una riflessione sul tempo, quanto mai opportuna e necessaria per prepararci a questo consueto, ma mai scontato, appuntamento col crinale che segnala un nuovo anno liturgico, preparazione di quell’altro passaggio, per tutti più familiare ed evidente, ma in realtà da un punto di vista essenziale e simbolico assai meno fecondo e cioè il passaggio del nuovo anno civile.

Dunque un’altra ciclicità che si inaugura fra due settimane con la prima domenica d’Avvento, dunque un’altra esperienza di apparente rinnovamento del tempo in forza di quei calendari che sostituiscono, anche nei tempi della Chiesa, i vecchi strumenti che ci sono stati necessari per misurare le varie stagioni liturgiche nell’anno che appunto volge al termine, così come anche voi, nelle vostre case, a fine dicembre vi preparate a dotarvi di nuovi strumenti per il nuovo anno.

Dove ci porta questa ciclicità? Corrisponde davvero ad una novità essenziale, per usare un termine filosofico, ontologica, una novità che davvero fa corpo col nostro essere nel momento in cui entriamo in un nuovo anno o forse questa non è che una impalcatura illusoria, con la quale pensiamo che si possa, in una certa misura, rinnovare questa nostra linfa che ci chiede di attraversare il tempo per custodire questa nostra vita, ma in realtà dovendo piuttosto fare i conti con minuti che di fatto impoveriscono le nostre energie, debilitano il nostro fisico e in forza di tanti accadimenti, che sono più o meno generalmente la storia delle vicende umane, fiaccano la speranza e aumentano la disillusione?

Il ritratto sapienziale della donna, propostoci come prima lettura dal libro dei Proverbi, è un ritratto che vorrei che fosse riletto non, per così dire, incollandolo ad una esclusiva identità di genere, mi piace riconoscere in questa pagina non solo l’altissimo profilo che la cultura biblica dà e assegna alla donna, che per quello che abbiamo ascoltato è tutt’altro che una sorta di prosecuzione ancillare della priorità dell’uomo, una sorta di matrice necessaria giusto per la procreazione ma, voi intuite, che queste bellissime raccomandazione e nello stesso tempo questo bellissimo ritratto della donna sapiente dicono che visione alta abbia l’antropologia biblica della donna, ma è certo che è un ritratto che in realtà, almeno oggi, ci serve per qualificare la consapevolezza che l’umano in genere deve avere di se stesso. E in modo particolare mi colpisce tantissimo questa sottolineatura per cui la donna saggia “apre le sue mani al misero, stende la mano al povero, riconosce la fugacità e l’illusorietà del fascino e della bellezza”.

E nello stesso tempo il testo ci invita ad una dimensione riconoscente, non per la bellezza della donna, ma per quello che le sue mani operano e fruttificano e già entriamo nel lessico del Vangelo, fruttificare, operare, agire, accogliere, trasformare, con questa importante notazione: la consapevolezza sapiente che fascino e bellezza non sono dati assoluti, ma sono sottoposti più di ogni altra cosa al tempo.

E anche qui, attenzione a non moralizzare troppo questa notazione, non è che si voglia, per così dire, semplicemente demonizzare la bellezza perché è un dato contingente, mi sembra che il testo ci aiuti a riconoscere l’importanza di ancorare il nostro cuore, la nostra intelligenza a ciò che di fatto si sottrae a questa erosione del tempo e d’altra parte vivere il tempo e qualificare il tempo, non con ciò che di fatto subisce la sua azione distruttiva, ma al contrario usa il tempo per trasformare la nostra vita in semina e dunque in fruttificazione.

Dunque è un approccio, fratelli e sorelle, direi di epica, quasi epica intelligenza che il testo ci raccomanda per solcare le onde del tempo, e non in una prospettiva direi classica, quella del ritorno, Ulisse che pieno di nostalgia ritorna alla sua isola natale, rovesciando, per così dire, di fatto illusoriamente l’orologio. No!

Qui la scrittura ci chiede, fratelli e sorelle, un gesto di grande apertura sul futuro, non a caso Paolo ci raccomanda vigilanza, non ci stordisce e non ci spaurisce proponendoci dunque un attaccamento a noi stessi e al nostro passato per l’appunto nostalgico. No, Paolo ci ricorda che il tempo ci verrà improvvisamente sottratto col ritorno del Signore, quando e come nessuno lo sa, probabilmente di notte, quando siamo meno attenti, più assopiti, quando le cose perdono la loro consistenza cromatica, perdono il loro significato profondo e dunque tutto precipita nel caos, però Paolo aggiunge che noi siamo fatti di luce, in forza della nostra adesione a Cristo e, come si diceva all’inizio di questa celebrazione, chiedendo luce per i nostri occhi, ecco che anche nel cuore della notte noi sappiamo riconoscere, con fede e fiducia -è il dono della grazia- la vera consistenza delle cose, non assolutizzando fascino e bellezza, perché sappiamo  che, nel loro portato simbolico, il tempo le sgonfia, le deforma, le impoverisce, ma un’altra cosa il tempo non fa, ma addirittura propizia e cioè questa cura, questa responsabilità, questo agire fruttificante con il quale non possiamo più dire, fratelli e sorelle, in una sorta di drammatica scorciatoia che, come dire, abbrutisce la nostra dignità filiale: “sei un uomo duro, ecco ciò che è tuo”.

No! Fratelli e sorelle oggi la parola ci fa dire in relazione al Signore un bellissimo, un bellissimo, “noi”.

E nello stesso tempo ci invita a riconoscere nel mistero della creazione l’esito, non di un cuore duro che scaraventa, getterebbe direbbe il filosofo, l’uomo nella vita gli capiti quello che gli capiti. No!

Noi veniamo da un cuore tenero, misericordioso, paterno, e anche materno per certi versi, è in forza di questa tenerezza amorosa che siamo invitati a riconoscere questa creazione nostra, sua, ma anche nostra, e dunque a viverla come una grande avventura di responsabilità, di giusto uso, direbbe Agostino, non la fruizione che sarà propria della beatitudine eterna, quando saremo faccia a faccia con Dio ed una cosa sola, ma l’uso sì, quello sì, lo possiamo e lo dobbiamo fare delle cose, per esercitare questa dimensione, anche nel nostro cuore, nella nostra intelligenza creativa, trasformante che investe nel tempo riconoscendone, da un lato certamente la sua forza erosiva, ma dall’altro anche la sua dimensione essenzialmente di dono, di grazia, nella quale il Signore ci chiede di spenderci senza riserve, ognuno coi suoi doni, chi ha cinque usi cinque, chi ha due usi due, chi ha uno usi uno, senza seppellirlo e seppellirsi sottoterra.

Capite dunque in quale prospettiva autenticamente escatologica, la parola può sembrare strana ma significa davvero questo orizzonte estremo del tempo, andrà riletta questa pagina che banalmente e immediatamente potrebbe sembrare appunto un inno ad una sorta di imprenditorialità quasi senza scrupoli, ma non è questo naturalmente, è una profonda e raffinata riflessione sul tempo per l’appunto, sulla capacità che ci è chiesta di saperlo riconoscere come un diaframma fragile, ma assolutamente necessario, che si muove con noi, mosso dal vento dello Spirito per darci spazio di creatività e di responsabilità in questa nostra storia.

Ma è un diaframma, fratelli e sorelle! Nessuna pretesa di assolutizzarlo, la lama, per così dire, del fuoco dello Spirito lo potrà e lo vorrà squarciare in un attimo, per riproporci e ripresentarci al cospetto dell’assoluta presenza di Dio che, essendo amore amante e persistente, non può che venire da quella eternità con la quale oggi ci è chiesto di provare, nella prossimità di questo crinale temporale del capodanno della Chiesa, di rimisurare i nostri orologi, di ricaricarli, non escludendo un altro tempo relativo all’eternità appunto, che noi dimentichiamo, fratelli e sorelle, in un delirio di onnipotenza, assolutizzando questi nostri minuti in un delirio, perché anche questo è un delirio, di disillusione e di disperazione, non assegnando valore alcuno agli istanti che ci sono dati e riconoscendo nel tempo soltanto una plaga informe dove per sbaglio siamo finiti.

Dunque ci è chiesto tantissimo come credenti nel Vangelo di Gesù Cristo, per sporcarci le mani, anche manipolando in senso buono, lavorando, per meglio dire, la terra secondo quel comandamento iniziale con cui si inaugura per Genesi la vicenda dell’uomo e della donna, custodendo cioè quel giardino, coltivandolo, fuor di metafora è davvero l’assumere questa nostra realtà come spazio teologale dove si fa esperienza di Dio, dove si fa esperienza della grazia, dove si fa esperienza del mistero.

Senza paura, una sorta di intrepida e lucida intelligenza che, sapendo la fragilità del tutto, la bellezza fugace di cui è consapevole la donna saggia di Proverbi, nello stesso tempo porta luce anche laddove sono le tenebre e con quella luce pur fioca è capace di edificare giorno e notte, con l’aiuto di Dio, quel Regno nel quale vorremmo inclusa tutta quell’umanità dispersa, disillusa, o piuttosto superba e prepotente che con angoscia custodiamo nella nostra memoria e nella nostra preghiera. Amen

Trascrizione a cura di Grazia Collini

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