Omelie

«Non c’è tempo da perdere». Omelia del padre abate Bernardo per la Festa del Battesimo del Signore

Domenica 8 gennaio 2023

Festa del Battesimo del Signore

 

Dal libro del profeta Isaìa
Così dice il Signore:
«Ecco il mio servo che io sostengo,
il mio eletto di cui mi compiaccio.
Ho posto il mio spirito su di lui;
egli porterà il diritto alle nazioni.
Non griderà né alzerà il tono,
non farà udire in piazza la sua voce,
non spezzerà una canna incrinata,
non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta;
proclamerà il diritto con verità.
Non verrà meno e non si abbatterà,
finché non avrà stabilito il diritto sulla terra,
e le isole attendono il suo insegnamento.
Io, il Signore, ti ho chiamato per la giustizia
e ti ho preso per mano;
ti ho formato e ti ho stabilito
come alleanza del popolo
e luce delle nazioni,
perché tu apra gli occhi ai ciechi
e faccia uscire dal carcere i prigionieri,
dalla reclusione coloro che abitano nelle tenebre».

 

Dagli Atti degli Apostoli
In quei giorni, Pietro prese la parola e disse: «In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga.
Questa è la Parola che egli ha inviato ai figli d’Israele, annunciando la pace per mezzo di Gesù Cristo: questi è il Signore di tutti.
Voi sapete ciò che è accaduto in tutta la Giudea, cominciando dalla Galilea, dopo il battesimo predicato da Giovanni; cioè come Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nàzaret, il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui».

 

Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù dalla Galilea venne al Giordano da Giovanni, per farsi battezzare da lui.
Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: «Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?». Ma Gesù gli rispose: «Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia». Allora egli lo lasciò fare.
Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono per lui i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba e venire sopra di lui. Ed ecco una voce dal cielo che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento».

 

Omelia:

Cari fratelli e sorelle, in questo scorcio di tempo di Natale, la liturgia sembra darci una scossa, una singolare accelerazione, proponendo alla intelligenza della nostra fede, al nostro sguardo celebrante, il mistero di un Gesù già adulto. Lo abbiamo appena lasciato nella mangiatoia di Betlemme fra il fango e il letame di quella nascita così avventurosa e lo ritroviamo in una forte e singolare consapevolezza di sé stesso. Ci piace subire questa accelerazione di tempo, forse si tradisce qualcosa dell’andamento più cronologicamente rispettoso di una narrazione che proceda per gradi, ma sentiamo fratelli e sorelle come questa immagine di un Gesù adulto, consapevole, che si immerge in un altro fango, non più quello di Betlemme, dove era stato deposto, ma nel fango del Giordano, segnala che non possiamo perdere tempo. Ce lo ha detto, devo dirlo in una splendida testimonianza umana, lo dico subito, esclusivamente umana, almeno per quello ho potuto ascoltare in quel breve tratto di intervista, ma mi ha molto colpito stamani questo consapevole appello a non sprecare tempo che Gianluca Vialli aveva assunto nella consapevolezza della sua malattia, non c’è più tempo per sciocchezze, non c’è più tempo per trascurare l’essenziale, le relazioni, dire a chi amo “ti amo”, prendermi cura della mia famiglia, assumere un senso forte di responsabilità, fare della mia vita una luce di giustizia, queste in sintesi le parole del calciatore, ed ecco fratelli e sorelle che è da  questa testimonianza umana che intendo ribadire con forza questo primo grande insegnamento della liturgia, dobbiamo crescere in fretta, fratelli e sorelle, in sapienza e in grazia, come Gesù inizia a fare perdendosi allo sguardo dei suoi genitori nel tempio, non per giocare a nascondino ma per  mostrare loro che lo avrebbero voluto trattenere con sé in una sorta di educazione anch’essa rispettosa di una cronologia non solo narrativa ma davvero pedagogica che per Lui non c’era tempo da perdere. Nemmeno per noi, fratelli e sorelle. E oggi questa consapevolezza cresce accostando, ancora una volta, attraverso il dono della parola liturgica, cosa è stata la grotta di Betlemme per noi, esporre i nostri sensi, la nostra intelligenza, il nostro cuore, a questa luce radiosa che promana dall’anfratto di Betlemme, Dio Padre parla attraverso la luce del Figlio, l’evidenza verace che sconfigge o per lo meno attenua e ridimensiona l’oscurità della menzogna, della finzione, attraverso una parola silenziosa, ma eloquentissima, perché lì brilla la verità dell’amore che in quanto amato è capace di diventare amante, svelando così in profondità il senso stesso del nostro esserci.

Non potevamo che arrestarci di fronte a tanto splendore, come i pastori, non a caso i primi convocati sono persone semplicissime, che riescono a distinguere molto bene, a cogliere, intuire molto bene, la portata del messaggio natalizio, senza alcun bisogno di teoresi, di teologia, di speculazione, la luce basta per dirci fratelli e sorelle che non veniamo dalle tenebre e non siamo destinati alle tenebre, non occorre essere filosofi per apprezzare cosa comporti nell’oscurità una sorgente di luce che senti nello stesso tempo credibile, affidabile, capace di tepore, senza abbagliarci. Senza abbagliarci. Perché la luce di Betlemme non abbaglia, non è lo smalto dell’idolo ma è la luce che promanando dal mistero dell’interiorità sa filtrarsi quanto deve per rispettare la fatica delle nostre pupille e lasciarsi riconoscere come sorgente di autenticità.

Ma il tempo scorre fratelli e sorelle, e noi dobbiamo acquisire una coscienza di responsabilità in ordine al mondo, alla storia, a tutto quello che chiama a responsabilità la nostra adesione alla luce del Signore Gesù, sentiamo fratelli e sorelle che sulle nostre fragili spalle, del nostro debole cuore, della nostra balbettante parola si concentra,  insiste il peso della gloria del Padre celeste, dove questa gloria non è affatto la gloria degli idoli, la gloria di chi si compiace di sé stesso, ma al contrario è la gloria di colui che riversa il suo compiacimento sull’altro che è Gesù, sul quale discende lo Spirito, il compiacimento, la luce del Padre celeste perché Egli apprezza i suoi gesti ed è esattamente questo appello ai gesti di Cristo, e quindi alla parola di Cristo che dà compimento a questo nostro itinerario formativo natalizio che con urgenza la liturgia propone alle nostre distrazioni, alle nostre fatiche, all’idea sottile ma persuasiva che, terminati i giorni di Natale, riponendo presepi e addobbi vari, tutta la grande pagina del Natale possa essere riavvolta nella cartapesta, riconsegnata in qualche ripostiglio ed eventualmente recuperata l’anno dopo. No, fratelli e sorelle, no!

La luce viene dalla parola creatrice di Dio e la luce si dissolve nella parola performativa del Verbo incarnato che è il Signore Gesù e questa luce che si fa gesto inevitabilmente per lo strettissimo contatto mediante l’ascolto e l’Eucaristia dei nostri corpi al Verbo incarnato del Signore Gesù, non può che suscitare in noi la libera responsabilità di essere anche noi risonanza gestuale, fattuale, storica, dell’azione del Signore Gesù, anzitutto questo suo –lo dicevo all’inizio della celebrazione- accodarsi fra gli ultimi, ultimo fra gli ultimi. Questa intuizione che è suprema filosofia è l’umiltà, consapevolezza di essere humus, fango, dove il Signore Gesù si confonde fin dalla nascita e adesso liberamente, consapevolmente, con la sua età adulta nel fango del Giordano, sprofondando in quel limo assieme agli altri scartati di Israele. Quale straordinaria consapevolezza fratelli e sorelle, di una storia anche sociale che si inaugura attraverso la verità teologica della luce parola Gesù Cristo. Una storia sociale che la Chiesa nel corso dei secoli ha cercato di attuare con le sue fragilità ma anche con tutte le risorse che la santità di Dio attraverso lo Spirito riversa su di essa.

Storie di relazioni giuste, cioè belle, armoniose, veraci, rispettose del primato di Dio e che estendono la sua gloria laddove c’è bisogno di sentirsi profondamente amati, storie di comunione con situazioni di disperazione, di povertà, psicologica, fisica, materiale, storie che interpellano il nostro cuore fratelli e sorelle e lo risvegliano dall’altra grande sottile tentazione, di emettere noi condanne a morte, spezzando, come faceva l’antico re pagano, la canna incrinata, spengendo nei suoi rituali giuridici il lucignolo fumigante per sentenziare che sia morte l’esito di quello sventurato, laddove invece tutta la grande orchestrazione natalizia con le sue immagini di luci, di germogli che spuntano su un tronco, di coralità universali intorno a questa luce, segnala come ci ha detto consapevolmente l’Apostolo, che si inaugura un tempo di salvezza per tutti senza esclusione, una salvezza che passa attraverso la nostra disponibilità ad essere anche noi sotto lo Spirito del Padre celeste, dentro l’orizzonte del suo compiacimento che non servirà certamente per sentirci migliori degli altri, ma servirà proprio per essere scossi, vorrei quasi dire deformati dalla consapevolezza di essere amati dal Padre, essere il suo compiacimento, nella misura in cui conformiamo la nostra vita al Cristo non possiamo non subire una deformazione che pone in tensione il nostro istintivo ripiegarci in noi stessi, il nostro istintivo commisurarci e parametrarci alle dimensioni dei nostri perimetri, delle nostre certezze, non mi stanco di dirla questa tentazione qua, così apparentemente rassicurante soprattutto in tempi come i nostri di inquietudine sociale, culturale, materiale, spirituale, in cui anche la Chiesa, anche la Chiesa, corre il rischio di essere tentata dalla divisione, dalla separazione, come se il distinguo, con la sua accattivante proposta riduttiva, fosse la misura di una autocertificazione che mi pone con le mie forze, la mia sensibilità, la mia storia, nella verità, a mia immagine e somiglianza.

Gravissima questa tentazione e grandiosa la risposta silenziosa del nostro Papa Francesco, grandiosa! Perché è esattamente in questa linea qui, guai a chi divide la Chiesa, guai a che tenta di metterci l’uno contro l’altro, esacerbando e intensificando le sfumature di una articolazione che per grazia di comunione, nella Chiesa, è e deve essere sinfonia di sensibilità diverse, coese dall’unità dello Spirito Santo in questa missione di cui la portata inclusiva adesso ascoltata negli Atti degli Apostoli, è evidente e inappellabile e necessariamente da adottare se vogliamo anche noi vivere in questa perenne luce del Natale, fratelli e sorelle, che segnala la possibilità di un rinnovamento, di una rigenerazione della nostra persona fisica, anzitutto, e in questa luce, attraverso la quale riceviamo l’amore del Padre contribuire molto concretamente fratelli e sorelle, a fronte delle grandi sfide culturali, sociali, economiche, politiche che la storia impone ai nostri cuori per essere noi, non altri, noi, il raggio della luce che scende dall’alto e che ricorda all’umanità contemporanea che senza Spirito, senza Spirito, non solo il nostro corpo, ma anche la nostra anima sono destinati a restare prigionieri di calcolo e di certezze inevitabilmente fallimentari ed illusorie, perché le chiudono in una prospettiva autoreferenziale laddove il vento dello Spirito di cui lo stesso Signore Gesù ha bisogno attraverso il suo mettersi in preghiera, attraverso il suo affidarsi niente di meno che al Battista, segnala come la vera completezza della nostra identità è essere raggiunti e trasfigurati dall’alterità.

Ne abbiamo fratelli e sorelle per fare di questa velocità liturgica un tempo che imprime alla nostra testimonianza un’eccedenza di grazia; riponete, riponiamo pure i nostri presepi ma resti acceso nel nostro cuore quel fuoco che ha trasformato il fango e il letame di Betlemme e il limo del fiume Giordano nell’inizio dell’inizio di una nuovissima storia che riguarda non solo noi ma l’umanità tutta intera. Amen!

 

Trascrizione a cura di Grazia Collini

La fotografia è di Hermann Traub

 

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