Omelie

«Nascosti, per svelare luce». Omelia del padre abate Bernardo per la mattina di Pasqua

«Nascosti, per svelare luce». Omelia per la mattina di Pasqua

1 aprile 2018 – Domenica di Pasqua (B) 

 

Dagli Atti degli Apostoli
In quei giorni, Pietro prese la parola e disse: «Voi sapete ciò che è accaduto in tutta la Giudea, cominciando dalla Galilea, dopo il battesimo predicato da Giovanni; cioè come Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nàzaret, il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui.
E noi siamo testimoni di tutte le cose da lui compiute nella regione dei Giudei e in Gerusalemme. Essi lo uccisero appendendolo a una croce, ma Dio lo ha risuscitato al terzo giorno e volle che si manifestasse, non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti.
E ci ha ordinato di annunciare al popolo e di testimoniare che egli è il giudice dei vivi e dei morti, costituito da Dio. A lui tutti i profeti danno questa testimonianza: chiunque crede in lui riceve il perdono dei peccati per mezzo del suo nome».

 

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossési

Fratelli, se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra.
Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio! Quando Cristo, vostra vita, sarà manifestato, allora anche voi apparirete con lui nella gloria.

 

Dal Vangelo secondo Giovanni
Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro.
Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».
Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò.
Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte.
Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.

 

Omelia:

Fratelli e sorelle, risulta quasi paradossale l’invito rivolto da Paolo ai Colossesi in un giorno così intensamente luminoso, dischiuso ad ogni nostra speranza e desiderio che, nella risurrezione trovano un irraggiamento senza più confini, paradossale che l’Apostolo Paolo ci raccomandi un singolare e misterioso nascondimento, con Cristo, in Dio.

Mi domando tante volte cose radicalmente significhi vivere nascosti in Cristo, non è certo un nascondersi per paura, anzi, domenica prossima chi tornerà -io spero di ritrovarvi tanti anche domenica prossima, la Messa è gratuita non solo il giorno di Pasqua, ma anche le altre domeniche- voi ascolterete un Vangelo in cui si celebra un altro frutto prezioso della Pasqua: i discepoli impauriti, chiusi in casa, ricevono la visita del Risorto che, passando attraverso le pareti, libera dall’angoscia e dalla paura i suoi per renderli, con la forza dello Spirito Santo, intrepidi testimoni. Dunque non è un nascondersi per paura, tanto meno per amare l’oscurità, per proteggerci, per cercare indebite intimità, tutte individualistiche col Signore, non è questo, noi siamo figli della luce, appassionati di luce, orientati verso la luce, nutriti dalla luce e d’altro canto, fratelli e sorelle se, come ieri notte, siamo andati nel cuore delle tenebre, della notte, per celebrare l’inizio della Pasqua, è perché proprio l’oscurità ci insegna quanto è desiderabile la luce, di quanto bisogno noi abbiamo per restituire forma e significato alle nostre persone, alle nostre storie, e in definitiva alle cose di tutto questo nostro mondo e di questa creazione.

Dunque certamente non è questo il nascondersi e l’oscurità di cui parla Paolo e allora, cosa potrà essere?

Immaginare il corpo del Signore Gesù come uno spazio in cui trovare rifugio per la nostra esistenza, ecco io credo che alla luce di questa fortissima espressione paolina che, non dimentichiamocelo, segnala anche un tempo diverso, qualificato, perché questo nascondersi non è definitivo, non è perpetuo, ma conoscerà uno svelamento cosmico, Paolo è molto chiaro, restituendoci fratelli e sorelle una percezione del tempo che troppe volte noi dimentichiamo, assestando la misura dei nostri giorni, solo e soltanto, con la scansione oggettivamente disperata dei nostri calendari, perché i nostri calendari aggiungono ai nostri giorno solo tempo che ci consuma e ci invecchia e non ci conduce da nessuna parte.

Qual è l’altro tempo di cui la Pasqua è singolare epicentro ed emissione? E’ il tempo che si conclude, dice con grande chiarezza Paolo, nella manifestazione e nell’apparizione della gloria piena e definitiva del Padre, una glorificazione che passerà attraverso il Figlio e che dunque troverà come ultimi destinatari noi, che in quel Figlio abbiamo trovato dimora, nascondimento.

Allora forse in questa prospettiva temporale comprendiamo come nascondersi in Cristo, e credetemi non voglio fare sottile e inutile teologia, voglio restituire ai vostri cuori fratelli e sorelle, per l’amore che porto a ciascuno di voi che amate San Miniato, una dimensione spaziale e temporale più ampia, più solida, più, come dire, confortante di quella a cui abitualmente sottoponiamo inevitabilmente con ansia, angoscia e stress il nostro quotidiano.

Un tempo che si conclude nella manifestazione della gloria del Padre, il quale, essendo creatore ha tutto l’amoroso interesse che nessun frammento della sua creazione sia estraneo all’espandersi progressivo della sua presenza e della sua gloria, significa anche recuperare uno spazio di qualità diversa che possiamo, con una sorta di geografia mistica -perché no?- collocare nel corpo stesso del Signore Gesù, ecco la nostra geografia affidabile, fratelli e sorelle, è proprio questa, è il corpo del Signore Gesù, un corpo non a caso risorto e qui noi iniziamo a intuire le ragione, per così dire, concettuali, ma soprattutto amorose, affettive, sentimentali per cui, come si proclama negli Atti degli Apostoli, era impossibile che il Padre tenesse il Figlio unigenito chiuso nel sepolcro della morte, essendo il Figlio destinatario dell’eterno amore del Padre.

Comprendete che in questa dinamica pasquale, con uno sguardo di fede, è pure possibile recuperare una sua intrinseca logica, noi non stiamo dietro a favole o a illusioni, ma ad una raffinatissima elaborazione, anche intellettuale, anche concettuale, dove tuttavia ovviamente il filo conduttore non è l’astrattezza ideologica di un pensiero che non potrebbe mai salvarci, perché nessuna ideologia salva l’uomo, salva l’amore ed è proprio l’amore del Padre che si fa strada nel corpo del Figlio fino a trasformarlo, dilatandolo all’inverosimile, in questa rinnovata geografia dove tutto di noi è invitato a trovare finalmente dimora.

Certamente ora sì, nascosti, in questa dinamica dove nessuna parte di noi può e deve restare fuori, pena la perdita di questo senso di destinazione gloriosa, non solo della vita del Figlio, che noi oggi celebriamo con questo cero pasquale nel cuore del cuore della nostra chiesa, ma il destino di tutti noi deve stare completamente immerso in questa dinamica per l’appunto pasquale di luce, di amore amante ed amato, che deflagra nell’insondabile evento pasquale.

Quando il 26 aprile, il giorno prima del millenario di questa Basilica, finalmente strapperemo questo insopportabile telo, necessario per coprire i lavori di restauro del bellissimo ciborio michelozziano, il cui marmo irraggia una luce quasi inguardabile, da quanto è bella, torneremo a vedere anche da qui il grande Cristo gravido. Io vi prego fratelli e sorelle oggi no, perché terminata la Messa, vi ho già fatto far tardi per la vostra mensa che vi auguro piena di bontà di bellezza e di calore umano familiare e fraterna, ma la prossima volta che tornate a San Miniato e potrebbe essere il 27 aprile per celebrare con noi mille anni di questo luogo che contiene lo spazio di Cristo, voi scoprirete che il nostro Pantocrator è gravido, fratelli e sorelle, artisti orientali non hanno avuto paura di una antropologia audace che affermasse questo dato che oggi Paolo ci dice, dobbiamo e possiamo vivere nascosti nel corpo del Signore Gesù.

E questo nascondimento si traduce in una attesa di tempo paragonabile a quello della donna gestante, delle madri, le madri qui presenti bene sanno cosa significa certo di dolore, certo di sofferenza, ma anche e soprattutto di gioia e beatitudine essere grembo di una vita che nasce, cioè di una alterità che si fa strada nel nostro tempo.

Ecco fratelli e sorelle, noi siamo invitati ad essere vita nuova, nel grembo di Cristo e con questa prospettiva antropologica noi salutiamo una affermazione sulla quale tante volte qui a San Miniato insistiamo, nella luce del grande umanesimo che ci ha costruito questi luoghi bellissimi: tornare a credere nel Dio di Gesù Cristo significa tornare a credere nell’umano, nella prospettiva di una misura di una qualità e di una prospettiva per la nostra pur fragile condizione umana.

Che la luce inestinguibile della Pasqua, apparsa nella profondità tenebrosa di quest’ultima notte, irradi questa prospettiva di sapienza, di consolazione e di speranza nella notte anche più oscura dei vostri giorni. Amen

 

Trascrizione a cura di Grazia Collini

La fotografia è stata scattata nel cantiere del restauro del Ciborio michelozziano in Basilica durante l’inverno 2018

 

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