Omelie

«L’umiltà della vera luce». Tre omelie del padre abate Bernardo per le feste del Natale

24 DICEMBRE 2021 – NATALE DEL SIGNORE

 

Dal Vangelo secondo Luca

1 In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. 2 Questo primo censimento fu fatto quando era governatore della Siria Quirinio. 3 Andavano tutti a farsi registrare, ciascuno nella sua città. 4 Anche Giuseppe, che era della casa e della famiglia di Davide, dalla città di Nazaret e dalla Galilea salì in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme, 5 per farsi registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta. 6 Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. 7 Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’albergo.
8 C’erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge. 9 Un angelo del Signore si presentò davanti a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande spavento, 10 ma l’angelo disse loro: «Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: 11 oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore. 12 Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia». 13 E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste che lodava Dio e diceva:
14 «Gloria a Dio nel più alto dei cieli
e pace in terra agli uomini che egli ama».
15 Appena gli angeli si furono allontanati per tornare al cielo, i pastori dicevano fra loro: «Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere». 16 Andarono dunque senz’indugio e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, che giaceva nella mangiatoia. 17 E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. 18 Tutti quelli che udirono, si stupirono delle cose che i pastori dicevano. 19 Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore.
20 I pastori poi se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro.

OMELIA

Fratelli e sorelle ci sorprende la possibilità, accordata dal Vangelo appena proclamato, di una gioia che appartiene a tutto il popolo, ci piace tantissimo questa dimensione radicalmente inclusiva del Vangelo con il quale stasera si annunzia la nascita del Signore Gesù, il figlio unigenito del Padre Celeste, da cui scaturisce il tempo, dal quale avanza la progettualità degli spazi che noi abitiamo e che siamo chiamati ad esplorare, dal quale soffia il vento di quello Spirito che fa potente ingresso nella storia attraverso  l’umile rantolo con il quale si conclude la vicenda terrena di quel Signore Gesù che ancora una volta accogliamo nel segno dell’umanissima debolezza di un neonato.

Una vicenda dunque che raccorda in modo mirabile, quasi ineffabile, tutta la pregnanza dell’energia divina con tutta la nostra fragilità umana.

Una gioia che appartiene a tutto il popolo, un popolo che il Profeta Isaia mostra, non troppo diversamente dal nostro presente, avvezzo alle tenebre, siamo tutti diventati fratelli e sorelle, per così dire, scolari e discepoli delle tenebre, per questo sentiamo profondamente provvidenziale la buona notizia destinata all’intero popolo di una luce che inizia ad avvolgere dei pastori che, come voi, abitano la notte attraversandola in una vigilanza che risveglia, nonostante il torpore e la stanchezza, il senso di quella domanda necessaria per interpretare l’oscurità.

E anche questo è un aspetto che affascina della Natività del Signore Gesù, non una nascita meridiana, non una nascita nella capitale, ma al contrario un irrompere della pregnanza divina subcontrario, laddove cioè non ci aspetteremmo questo manifestarsi della pienezza divina, ai margini di un impero e nel cuore della notte, e ci sentiamo dunque incoraggiati da una notizia che scaturisce da una condizione che sentiamo tutta nostra, abitando la notte e una notte esistenziale che in realtà dura anche nelle ore diurne, abitando questi margini frastagliati di una storia presente assai difficile e inquietante, fratelli e sorelle, anzi devo dirvi che queste ultimissime notizie di una proliferazione dei contagi quasi incontrollata e incontrollabile in una variante di varianti che sembrano forse meno pericolose ma segnalano un moltiplicarsi di connessioni, che non sono più quelle dei nostri telefoni, dei nostri computer ma di una dimensione squalificante della nostra struttura corporea, cioè la sua esposizione al contagio sembra quasi dirci la non abitabilità dei nostri corpi e dunque in definitiva della nostra vita, una vita dunque ancora più esposta alla minaccia di una disgregazione, una vita esposta al rischio della relazione, una condizione che sembra propiziare il quasi necessario rinchiudersi nelle prospettive anguste, ma rassicuranti, delle nostre piccole individualità.

Ma noi stasera fratelli e sorelle, abbiamo ascoltato la buona notizia destinata all’intero popolo, come se questa universalità natalizia obblighi ad una interrogazione di questa oscurità che abbia una risposta diversa dalla tentazione di ripararci, dalla tentazione di vivere questa nostra vita nel piano inclinato della rassegnazione, nella tentazione di ritenere ormai tutto esposto ad una accidentalità che gradualmente logora la possibilità, non solo di una risposta alta, ma anche di una formulazione esigente del perché della nostra vita.

Per questo fratelli e sorelle in nome del Signore e anche a nome dei miei fratelli, sento di dovervi e potervi accogliere con grande gioia in questo spazio architettonico e liturgico, che ci dona un’esperienza del tempo tutta particolare, un’esperienza del tempo che corrisponde per certi versi alle linee geometriche che caratterizzano questa Basilica, come se qui fossimo in uno spazio segnato da astrazioni, necessarie come lo sono in quei laboratori dove gli esperimenti possono accadere con frutto se si danno in ben determinate condizioni, ragionate bene a tavolino, illuminate dalla fatica della disciplina e certo ravvivate e colte dalla cordialità intelligente dell’intuizione.

Direi che non è troppo diverso l’ambiente nel quale qui ci troviamo fratelli e sorelle, e l’esito fruttuoso di questa sorta di sperimentazione che la dinamica liturgica propizia, garantita dall’invocazione certamente esaudita, perché due o tre raccolti, generano per grazia il mistero della presenza del Signore Gesù nel cuore della nostra storia, e il frutto prezioso di quel respiro che è lo Spirito Santo, il frutto, fratelli e sorelle di questo laboratorio è quanto abbiamo più volte cantato ed ascoltato stasera, un ritornello che torneremo ad ascoltare con intensità in questi giorni che si riassume in questa formulazione che è il cuore del Natale: Oggi è nato per noi il Salvatore.

Mi piace tantissimo sottolineare con voi la paradossalità di questa pregnanza permanente del tempo, che diventa in questo speciale laboratorio, un unico oggi dal principio alla fine, senza escludere minuto alcuno della nostra esistenza, che qui si compendia fratelli e sorelle, in una intensità che è garantita dall’intuizione che tutto quello che noi siamo, tutto quello che noi vediamo, tutto quello che noi cerchiamo, ma vorrei anche dire tutto quello che noi soffriamo, tutto quello che noi riceviamo per amore, è oggetto di una intuizione che la disponibilità della fede riesce a cogliere come dono e mistero e come tali aprono ad una interpretazione qualificante della nostra realtà che qui fra di noi stanotte in questa luce finalmente brilla nel suo grande messaggio che è la fecondità di un ritrovato futuro che l’amore di Dio nascente in ogni istante di questa nostra contorta storia, offre al popolo tutto intero, senza esclusione alcuna, nella gratuità propria dell’amore vero che interloquisce e intende interloquire con tutti e tutto di noi, una esperienza di pregnanza, di fecondità, fratelli e sorelle, che restituisce alla nostra consapevolezza la configurazione uterina del nostro cuore, cioè la sua capacità autentica, accogliendo l’amore che nasce per noi, di diventare a sua volta generativo di amore, così come quel respiro che ci è donato dallo Spirito trasforma i nostri polmoni, il nostro stesso respiro nella possibilità di articolare parole che diventano finalmente canto, poesia, profezia, aspirazione, se necessario denuncia e indignazione che riportino il popolo tutto intero, senza esclusione, alle ragioni profonde di una gioia che si sintetizza nella consapevolezza di un oggi permanente nel quale nasce il Salvatore per tutti noi, riporta alla grande consapevolezza della nostra vera vocazione, l’essere testimoni di una gioia, fratelli e sorelle, che ci appartiene perché donata dall’amore di Dio e con l’esperienza della gioia e della luce, la consapevolezza più forte, più tenace che nonostante la proliferazione dei contagi, nonostante la difficilissima abitabilità dei nostri corpi, delle nostre relazione, delle nostre città e le altre grandi questioni che segnalano la difficoltà sociale, culturale, politica, economica del nostro tempo, noi sentiamo, e questo laboratorio ce lo ricorda, che la nostra vita è chiamata anzitutto ad essere beata corporeità, cioè la possibilità di abitare questa nostra realtà organica fratelli e sorelle, con la quale scopro il primo grande miracolo se mi metto in ascolto, come bene sa e fa la madre che attende il proprio figlio, quel battito di cuore, quella pulsazione, quel movimento che segnala la possibilità di una cinetica con la quale si esprime, si accoglie, si riconosce la vita anzitutto, e con essa la cinetica dello Spirito cioè quella dinamica fratelli e sorelle, della quale noi non possiamo essere l’inizio, ma soltanto coloro che riconoscono di ricevere quell’energia che possiamo trasmettere, nonostante la proliferazione dei contagi, attraverso la beatitudine di una stretta di mano, di un abbraccio, di uno sguardo, di un ascolto, di una parola, di un dialogo, di una attenzione, di una profezia, di una speranza, di cui noi fratelli e sorelle, dobbiamo essere, dobbiamo essere, dobbiamo essere i primi ardenti e vigilanti testimoni, altrimenti questo “oggi è nato per noi” suonerebbe solo e soltanto come una fiabesca archeologia che noi scaviamo nei giorni di Natale per darci un po’ di tiepida consolazione, per mettere in atto dinamiche che ridurrebbero la forza inclusiva di un Vangelo destinato a tutto il popolo, ad un mito, un mito per pochi privilegiati che hanno la possibilità di crederci alle fiabe perché hanno in fondo una dimensione tranquilla dell’esistenza, per la quale si è disponibili a lasciarci incantare dal tono anche fiabesco del Vangelo.

Ed è proprio per questo che la buona notizia della nascita del Signore Gesù incide anzitutto nella vita sofferta e difficile di pastori che devono abitare la notte per prendersi cura del loro gregge, dal quale viene il sostentamento della loro esistenza.

Non c’è per loro tempo e possibilità di ascoltare  fiabe ma solo e soltanto di interpretare quella dura realtà, che è la dura realtà del nostro oggi fratelli e sorelle, a meno che non ci vogliamo lasciare sedurre da variopinte giostre, da colori cangianti, dalla riduzione del nostro consorzio civile a paese dei balocchi. Per questa prospettiva possono bastare le fiabe, i miti, per riscaldarci davanti al fuoco con novelle rassicuranti. Non è questa la austera, sobria, geometrica scuola del laboratorio liturgico a cui per ispirazione dello Spirito intendete partecipare, perché non ci interessano i miti, a noi interessa la realtà, la dura oggettività della realtà, lì incide la forza del Vangelo del Signore Gesù, lì nasce la novità del Vangelo del Signore Gesù, in quell’estremo humus nasce il Signore Gesù, in quella notte nasce il Signore Gesù, in quella diaspora nasce il Signore Gesù e riconosciamo così i tratti che appartengono alla verità della nostra condizione storica, e il frutto prezioso fratelli e sorelle del permanere in questo laboratorio e del riconoscere che questo oggi ha una pregnanza permanente, è la beata corporeità con la quale torniamo stanotte a sentirci amati, nonostante la proliferazione dei contagi, a sentire l’eccedenza di infinito che sfonda le pareti ristrette della nostra individualità, dei corti circuiti delle nostre piccole e presuntuose certezze e nello stesso tempo a diventare fratelli e sorelle vedette di un futuro che scaturisce da un’intuizione che il Natale dona alla nostra intelligenza se smettiamo di viverlo come archeologia mitologica. Amati senza fine dalla gratuità di un Dio che quasi si arrende alla nostra umanità, nascendo nella forma paradossale dell’infanzia, potremo riconoscere uscendo dalla liturgia, sfondando le griglie geometriche di San Miniato, che tutta la realtà, tutto il tempo è oggetto di un amore incondizionato di quel Dio che si è fatto carne duemila anni fa e dunque questa realtà sofferta e scalfita dall’amore del Signore è una realtà che porta nel suo mistero, nelle sue fibre una promessa di futuro, una gestazione permanente, una attesa inesausta di novità di cui scorgiamo l’aurora stanotte, ma che sta a noi portare sempre più tenacemente e per così dire, diffusamente, nella penombra metropolitana del nostro tempo. L’eclisse si diceva davvero, nella natività, quasi con l’espressione di un travaglio della creazione.

Noi questo travaglio fratelli e sorelle lo vogliamo vivere fino in fondo perché sentiamo che il privilegio immeritato di essere  disponibili con il dono della fede ad accogliere quale verità oggettiva e non mito, il Vangelo di Gesù Cristo, comporta questa tensione estroversa che rende tutti noi, fratelli e sorelle, strumento, riverbero, tramite, di una luce che dopo aver avvolto i pastori è impaziente di avvolgere tutta la storia, tutta la famiglia umana, tutti i tempi, lasciandoci intuire quel futuro di grazia e di beatitudine che è l’altro grande articolo della nostra fede a meno che non vogliamo accontentarci di pensare, altra complementarietà di una fede fragile, questo nostro Dio come un’entità triangolare, remota, assoluta, trascendente, compiuta nella sua perfezione, ma di fatto tragicamente estranea ai circuiti vitali e organici della nostra vita, del nostro stare insieme, del potere e dovere progettare un consorzio civile, sociale, politico, economico che sia specchio della Gerusalemme del cielo, che sia la possibilità di vedere nel volto del Bambino Gesù non soltanto il riflesso, la somiglianza l’immagine del Padre, ma la nostra immagine e somiglianza.

Si coglie così fratelli e sorelle, e si conclude, l’importanza di questa celebrazione notturna, una celebrazione che obbliga, anche grazie alla stanchezza e all’eloquenza della stanchezza e della veglia ad una sorta di strabismo con il quale accorgerci di rifrazioni che visioni monoculari, sempre semplificanti, finalmente sono sostituite da una capacità di lettura dell’insieme, del passato, del presente, del futuro, della prossimità e di chi è remoto in questa capacità unitiva che mi sembra sia il grande frutto del Natale, una parola piena, articolata, dinamica, ma anche teneramente definitiva sull’umano.

Eccome se ne abbiamo bisogno fratelli e sorelle, con un moltiplicarsi di antropologie spesso segnate da logiche che fanno dell’uomo un concentrato di consumo e di profitto abbiamo bisogno, tremendamente bisogno, di una visione dell’umano segnato da libertà, gratuità, in una prospettiva in cui la parola dignità è espressione di una potenzialità di creatività che sentiamo essere la grande missione dei nostri giorni.

Siano benedette le nuove generazioni, siano benedette e accompagnate da una prossimità tutta speciale che auguriamo loro del bambino e del ragazzo Gesù. Mi piace tantissimo questo ulteriore paradosso del Vangelo, un Dio uomo Gesù Cristo che cresce nell’esperienza del tempo.

Come vorrei che questo dato dinamico del suo mistero umano e divino ispirasse noi, i grandi, nel grande servizio di padri e madri che aprono al futuro i nostri figli e d’altra parte i nostri figli, nel contemplarsi attraverso la crescita del Signore Gesù, abbiano più capacità di credere al futuro, più capacità di credere ai loro talenti, più capacità di sentirsi coinvolti in una orchestrazione cosmica e sinfonica che fa della loro potenzialità un contributo irrinunciabile, perché questa nostra storia non torni banalmente all’inizio, quell’inizio che oggi saremmo tentati di cogliere in una celebrazione archeologica del Natale, ma in quella prospettiva futura, ulteriore, addirittura inimmaginabile, che solo e soltanto uomini e donne come voi, amanti e avvezzi all’oscurità del tempo presente, sanno finalmente presagire, come luce profetica di bellezza, di significato e di grazia. Amen!

6 gennaio 2022 – Epifania del Signore

 

Dal libro del profeta Isaìa
Àlzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce,
la gloria del Signore brilla sopra di te.
Poiché, ecco, la tenebra ricopre la terra,
nebbia fitta avvolge i popoli;
ma su di te risplende il Signore,
la sua gloria appare su di te.
Cammineranno le genti alla tua luce,
i re allo splendore del tuo sorgere.
Alza gli occhi intorno e guarda:
tutti costoro si sono radunati, vengono a te.
I tuoi figli vengono da lontano,
le tue figlie sono portate in braccio.
Allora guarderai e sarai raggiante,
palpiterà e si dilaterà il tuo cuore,
perché l’abbondanza del mare si riverserà su di te,
verrà a te la ricchezza delle genti.
Uno stuolo di cammelli ti invaderà,
dromedari di Màdian e di Efa,
tutti verranno da Saba, portando oro e incenso
e proclamando le glorie del Signore.

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni
Fratelli, penso che abbiate sentito parlare del ministero della grazia di Dio, a me affidato a vostro favore: per rivelazione mi è stato fatto conoscere il mistero.
Esso non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come ora è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito: che le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo.

Dal Vangelo secondo Matteo
Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele”».
Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo».
Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.

Omelia Messa del mattino

Fratelli e sorelle grazie di cuore per la vostra disponibilità con cui intendete perseverare nel mettere a fuoco l’entità del dono che ci è stato fatto con la rivelazione, mediante la quale il Padre invisibile si rende nel Figlio visibile, comunicandoci gli arcani del suo mistero che si riassume in una parola, la sua prossimità con la nostra vita per donarci un’autentica esperienza di salvezza.

Riscoprire l’esigenza di sentirsi salvati credo sia la sapiente molla che lo Spirito ha innescato nei vostri cuori, istruendovi nella perseveranza con la quale decifrare tutto intero il mistero del Natale, portandovi quassù in questo giorno grigio perché non ci è bastato contemplare la sua nascita, vogliamo cogliere stamani insieme la qualità speciale della salvezza inaugurata con la nascita del Signore Gesù, una qualità davvero universale che restituisce all’intera umanità il diritto e la possibilità di sentirsi coinvolti in questo dialogo di luce, di amore, di consapevolezza che il Padre intende stabilire con ciascuna delle persone viventi, a qualsiasi tempo e latitudine appartengano.

Una prospettiva quella dell’universalità oltremodo significativa e attuale in un tempo come questo segnato dalla grande tentazione del particolarismo,  dalla grande tentazione di una difesa dei nostri diritti individuali, fossero anche quelli della salute, del mantenimento delle nostre garanzie di libertà che se inscritte solo e soltanto nei perimetri della nostra individualità, finirebbero per trasformare la nostra socialità, inevitabilmente, se non in guerra aperta, quanto meno in una tensione incessante, senza che nessuno possa capire come regolare questa pluralità di diritti nell’assolutezza di quelli individuali.

Per questo giunge, fratelli e sorelle, come un apporto decisivo per la ridefinizione di questa universalità in Cristo, quanto Paolo ha comunicato agli Efesini: “Tutte le genti –cioè l’umanità intera- è chiamata in Cristo Gesù a condividere la stessa identità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo”.

Sono parole che ristorano fratelli e sorelle quanto resta viva come sete di universalità del nostro cuore, pur frazionato tra  legittimazioni dell’una contro l’altra parte, indebolito dall’affermazione di quella cultura o piuttosto quell’altra e più ancora segnato da questa mentalità abortiva con la quale ci ostiniamo a mantenere l’esistenza che abbiamo, senza aprirci alla fecondità del tempo visitato dallo Spirito Santo, diventando come Erode, che cerca di mantenere, come abbiamo ben ascoltato, il potere che egli ha, rendendo indisponibile il suo cuore alla novità rappresentata da quella che invece mette in moto il passo remoto e lontano dei Magi, una nascita!

Perché il segno dei segni del Natale, fratelli e sorelle, non ce lo dimentichiamo mai, è un bambino avvolto in fasce, niente di più che un bambino avvolto in fasce, a dirci come illuminato dall’amore del Padre Celeste questa nostra terra, questo nostro tempo può e deve tornare ad essere fecondo di novità.

Una parola quella della fecondità sulla quale abbiamo voluto appuntare la nostra attenzione, ne sentiamo il bisogno, ne sentiamo l’esigenza, oggi in una prospettiva radicalmente universale fratelli e sorelle, perché dobbiamo darci appuntamento come credenti in Cristo nella prospettiva, così ricca di possibilità di introspezione, di fare del nostro cuore, della nostra intelligenza, il luogo ineludibile dell’accoglienza del Figlio di Dio, Gesù Cristo: “a quanti lo hanno accolto –ci ha addestrato San Giovanni nel suo Prologo- il Padre ha dato potere di diventare figli di Dio”.

Cioè questo momento di radicale interiorità che abbiamo per così dire vissuto insieme nella notte di Natale, ma non è finita qui fratelli e sorelle, verremmo meno a quella dimensione estroversa , missionaria, inclusiva della Chiesa, la Chiesa del Natale di Gesù Cristo, mi piace pensarla e qualificarla così oggi con voi: la Chiesa del Natale di Gesù Cristo che ci rende tutti dei potenziali Magi, uomini e donne inquiete, in ricerca, in cammino, a ricordarci questa dimensione investigativa  che deve suscitare l’approccio profondo alla realtà che ci circonda, fino a rendere eloquente anche il movimento di una stella, il naturalissimo movimento di una stella, fratelli e sorelle, a dirci che dobbiamo interrogare tutto, vagliare tutto, discernere tutto e ancora, l’assimilazione ai Magi, arricchita dalla mirabile profezia di Isaia, ci rende davvero fratelli e sorelle, coloro che si mettono in cammino rivestiti di luce perché viene la luce, la gloria del Signore brilla sulle nostre facce, sui nostri volti, sulla nostra vita.

Una prospettiva questa oltremodo importante, non possiamo pensare di tenere tutto per noi il dono che il Signore ci ha fatto col Santo Natale, non possiamo pensare di rinchiudere, come ha fatto Erode, il privilegio della rivelazione accordato attraverso la grazia della nostra fede, in una gestione intima, riservata, particolaristica di un dono che ha come orizzonte e bersaglio l’umanità intera.

Ecco dunque che ci sentiamo anche noi invitati a diventare fratelli e sorelle, questa immagine bellissima che il Profeta Isaia ci invita a guardare:

“Alza gli occhi intorno e guarda:
tutti costoro si sono radunati, vengono a te.
I tuoi figli vengono da lontano,
le tue figlie sono portate in braccio”.

Mi piace questa immagine corale, un’immagine che vorrei quasi adattare con qualche sforzo alla nostra consapevolezza cittadina fratelli e sorelle, popolo di Dio che abita la città, popolo che trascina nell’oscurità delle nostre strade la stella cometa, che riconsegna alla città la sua prospettiva  dinamica di ulteriorità, di speranza, di movimento, chi altri può fare questo se non coloro che hanno riscoperto nel Santo Natale la gratuità di una visita con cui il Padre ha scelto la nostra fragile e sterile e friabile umanità come luogo in cui annunciare e far sperimentare al mondo intero l’inesausta fecondità della sua misericordia, del suo amore della sua pace.

Siamo noi fratelli e sorelle coloro che sono chiamati e destinati a diventare da grembo sterile a cuore uterino nel cui travaglio sta la possibilità di una novità a tutto tondo per il logorio  della nostra storia presente.

Questi toni appassionati fratelli e sorelle, corrispondono alla gravità della sfida  che ci attende, una sfida che non possiamo delegare solo e soltanto alle immunità medicali con le quali, per grazia di Dio, stiamo cercando di difenderci dal virus, abbiamo bisogno fratelli e sorelle di scoprire la articolazione di una sfida che attraversa il profondo del nostro cuore, la sua tentazione ad esporsi ad un senso di  disillusione, di rassegnazione che proprio in questi giorni stanchi del Natale ricevono la visita gratuita della luce, se sappiamo sintonizzarci con i moti discreti, profondi, notturni dell’amore del Signore.

Registriamo dunque in modo completamento nuovo, accordiamo in modo assolutamente nuovo, concertiamo in modo inedito tutte le facoltà percettive della nostra struttura personale, spirito, anima e corpo per accorgerci del metodo umile con il quale il Signore visita questa nostra sterilità e la trasfigura dal di dentro, per questa prospettiva di salvezza universale, di coralità, di cittadinanza, di popolo, che sono tutti sinonimi che scaturiscono da quello che Paolo dice agli Efesini e a ciascuno di noi, siamo unico corpo col Signore, siamo destinatari di una eredità comune, diventiamo tutti figli nel Figlio.

Ci deve attraversare questa passione interpersonale, ci deve destare questa inquietudine relazionale, ci deve per così dire destare questo orizzonte di altissima politica con la quale tornare ad abitare la città in una prospettiva che la voglia trasfigurare in un orizzonte che restauri,  per così dire la grande tradizione umanistica nella quale abbiamo il privilegio di imparare a respirare, a guardare, a gustare, a misurare le cose e le relazioni.

Una missione si potrebbe dire tutta fiorentina e che l’Epifania restituisce alla nostra consapevolezza, non è forse un caso che è proprio nella tradizione di questa città, ahimè interrotta dalla pandemia, quella cavalcata dei Magi, con quei doni che parlano all’integrità di un mistero umano e divino che questi giorni di Natale  insegnano a riscoprire come cerniera possibile dell’intimità dei nostri cuori e delle potenzialità del nostro stare insieme.

Ecco tutta questa luce fratelli e sorelle, queste ultime propaggini del tempo di Natale offre alla nostra consapevolezza, all’ardore della nostra missione, alla intensità della nostra intelligenza e alla palpitazione dei nostri cuori. Che tutto questo ci restituisca un profondissimo senso di novità e di disponibilità a quello che la nascita porta con sé, l’irrompere di qualcuno che non possiamo ancora conoscere, ma di cui possiamo fidarci, perché frutto di promessa affidabile di cui ha oltremodo bisogno il languore  di questo tempo presente.

Amen.

Omelia Messa Vespertina

Fratelli e sorelle carissimi, anzitutto ancora una volta grazie di cuore per la testimonianza che dimostrate di perseveranza nel voler decifrare fino in fondo il mistero del Natale. Sono parole queste che scaturiscono dal profondo del mio cuore nel sentire con voi e per voi una esperienza viva di quella Chiesa che non vuole rassegnarsi alla penombra e all’oscurità dilagante e che d’altra parte non cerca di vaccinare questa oscurità con accorgimenti tecnologici che in realtà paiono solo esteriormente saturare l’inquietudine e l’insoddisfazione che insieme vogliamo riconoscere, come autentico indizio della eccedenza dell’umano, rispetto a tutto quello che noi troviamo nella nostra natura e nella nostra storia.

E d’altra parte fratelli e sorelle la vostra perseveranza nella decifrazione più profonda del Natale, vi aiuta a scorgere, e ci aiuta a scorgere, come natura e storia non siano in realtà alternative al mistero dell’amore di Dio e conseguentemente alternative o addirittura in opposizione alla nostra vita, ai nostri desideri, alle nostre attese, alle nostre speranze.

E’ indicativo fratelli e sorelle come i Re Magi provino una grandissima gioia, rifletto stasera con voi, non tanto nel contemplare il bambino avvolto in fasce, vera meta del loro cammino di ricerca e approdo della loro inquietudine, ma provano una grandissima gioia nello scorgere, sopra il luogo dove è nato il Bambino, la stella ed è esattamente questa gioia che scaturisce da un evento naturale a donarci la consapevolezza che natura e storia sono, e possono essere, doni del Signore , necessari per restituire alla nostra vita tutto quell’alone eccedente di mistero, di pienezza, di infinito, di eternità che scandisco con forza come lessico irrinunciabile di una spiritualità per il tempo presente,  la grande vaccinazione necessaria, oltre a quella medicinale, per attrezzare il nostro cuore a sfide ancora più gravi del Covid stesso, sfide che mettono in gioco energie distruttive, disgreganti, che smorzano il respiro dei nostri giorni i quali per conseguenza hanno necessità di abitare le estreme propaggini della notte e i ritmi esasperati della discoteca, per dare forza, ritmo, percussione, ad una vita che nelle ore diurne difficilmente consegna loro un messaggio alto, credibile, per il quale spendersi e donarsi.

E allora fratelli e sorelle, nella consapevolezza che il nostro linguaggio,  ahimè ce lo ricordava qualche ora fa con grande lucidità Papa Francesco, perde terreno, per numerose ragioni ma perde terreno nel cuore della gente, soprattutto nel pensiero, nella sensibilità dei nostri giovani.

Noi che siamo qui, fratelli e sorelle, noi che ci sentiamo, anagrafe a parte tutti giovani, colmi di energia spirituale che vince l’usura del tempo, abbiamo bisogno come i Magi di gioire contemplando la stella e dunque recuperando quello che questa gioia segnala, la possibilità cioè di interpretare realtà, natura, storia in una prospettiva altamente simbolica, nel senso pieno di questa parola, una parola preziosissima alla consapevolezza spirituale, culturale, del nostro, mio e vostro essere Chiesa, symballein in greco, metto insieme, da cui simbolo. Questa inquieta e insonne attitudine della nostra intelligenza che respinge la tentazione disgregante e quindi diabolica di vedere separate da una irrecuperabile e insanabile dicotomia terra-cielo, umano-divino, finitezza ed eternità.

Noi invece siamo qui per ritrovare, con la luce del Santo Natale, la cerniera dinamica e simbolica per cui anche noi possiamo, contemplando un evento astrale, fratelli e sorelle, cioè fuori di metafora contemplando anche la natura, anche la storia, i segni, la traccia, gli indizi, la possibilità autentica e feconda in forza della quale Dio abita la nostra storia, è davvero l’Emmanuele nato per noi e con noi, il Dio che cammina nella nostra storia, questo ci interessa come peculiarità del Vangelo del Signore Gesù, come tratto qualificante di ciò in cui crediamo e che dunque siamo chiamati a testimoniare, a noi stessi e quindi agli altri, la possibilità cioè –torno a dirlo con forza- di leggere la realtà come riverbero, oggettivo ed espressivo, della sapienza creativa di un Dio che pone altro da sé perché sia specchio di sé, certo, altro da sé, e dunque inevitabilmente segnato dalla parzialità, dalla inadeguatezza, dalla finitezza di ciò che Dio non è, ma pur sempre riflesso del suo amore, espressione della sua sapienza, spazio e sfida di una avventura consegnata alla nostra libertà, alla nostra volontà, alla nostra intelligenza che, attraverso quella cerniera ricucia  la distanza, allenti il divario, e con la forza della grazia che scende dall’alto, restituisca alla nostra consapevolezza umana tutta la bellezza e la dignità che solo da coLui che l’ha creata possono venire, il resto resta fratelli  sorelle, un artificio cosmetico, nel migliore dei casi estetico, nella più nobile delle spinte interiori etico, ma resta sempre qualcosa che non dice di questo nucleo solido, dinamico e divino, tutto impastato di infinità, come dice l’amata poetessa Mariangela Gualtieri e che rappresenta questa intima parentela filiale tra noi e il nostro Creatore, Lui che ci adotta come figli secondo quello che Paolo ci ha detto rivolgendosi agli Efesini, spalancando in una prospettiva autenticamente universale il grande significato del Natale, perché il destinatario del Natale è l’umano in quanto tale, per questo accorrono da Oriente dei Magi, che con la rivelazione biblica nulla hanno a che spartire e che tuttavia sono interpellati dalla natura e dalla storia, cioè dalla stella, per avvicinarsi, loro come noi, all’incontro con la sorgente della luce, della verità e della loro stessa consapevolezza umana fratelli e sorelle.

Capite che splendore siamo chiamati a contemplare e a intuire fratelli e sorelle? Capite perché ci deve interrogare il perché tutta questa bellezza non scaldi più i cuori dei nostri giovani, dov’è che falliamo? Dov’è che si attenua, si depotenzia la forza persuasiva del nostro linguaggio, del nostro comunicare, del nostro pensare, del nostro creare, del nostro condividere?

Isaia ha un’immagine splendida in piena connessione con questa altissima prospettiva illuminante del Santo Natale, lo avete ascoltato:

“Àlzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce,
la gloria del Signore brilla sopra di te.
Poiché, ecco, la tenebra ricopre la terra,
nebbia fitta avvolge i popoli;
ma su di te risplende il Signore,
la sua gloria appare su di te.”

Parole meravigliose fratelli e sorelle, che estendono a tutti noi l’esperienza dei Magi, quella stella non brilla soltanto al loro sguardo che significativamente è uno sguardo che osa guardare verso l’alto, fratelli e sorelle, i Magi sono esemplari perché oltre a studiare chini  sui libri, a un certo punto alzano lo sguardo verso l’alto, perché solo dall’alto arriva l’ispirazione che trasforma le cose che sappiamo, le cose che impariamo, le cose che studiamo in realtà abbracciabile, amabile, desiderabile, dinamica, questo dobbiamo insegnare ai nostri figli i quali spesso a scuola hanno soltanto l’esperienza ristretta, libresca appunto, di una sapienza che se non insegna ai nostri giovani a guardare il cielo, potrà anche finire la didattica a distanza, ma continua a fallire il bersaglio, perché il grande significato dell’Epifania, me ne convinco anno dopo anno sempre di più, non è soltanto, oso dire, il divino che appare all’umano, ma è anche l’umano che appare al divino, come risposta consapevole fratelli e sorelle, con la quale sentiamo in noi una forza che ci rende capaci –torno a dirlo con forza- di alzare lo sguardo verso l’alto, che è un grande esercizio di speranza , un grande esercizio di intelligenza , di inquietudine, di insoddisfazione, un grande esercizio col quale, più volte l’ho detto in questi giorni di Natale, anche un po’ in polemica –uscirà credo domani l’altro su La Nazione la mia risposta a questo coro cittadino di pro e contro le luminarie di Natale proiettate sulla nostra facciata e che ho fatto smettere, ho fatto smettere perché scusate, ma si può vedere questa facciata, con tutto quello che sa esprimere silenziosamente, trasformata in un ramo di albero di Natale con mille luci che cambiano ogni due o tre secondi? Siamo a questo punto di decifrazione del Natale, noi, voi compresi, popolo di San Miniato, con forza diciamo di no, con forza diciamo di no.

Ci basta il chiarore della luce per sentire la nostra intelligenza e il nostro cuore risvegliato a questo tipo di decifrazione che alza lo sguardo fratelli e sorelle, osa alzare lo sguardo su questa oscurità dilagante, per sentire che dentro di noi ha piena cittadinanza l’inquietudine che ha smosso secoli fa i Magi e che deve continuare a smuovere il nostro cuore, la nostra intelligenza, la nostra sete di verità e di bellezza.

Una prospettiva lo dicevo che trasforma tutti noi fratelli e sorelle, in altrettanti Magi, le parole di Isaia segnalano che sulla nostra fronte brilla e deve brillare la luce della cometa, deve trasformare la nostra parola, il nostro approssimarci, il nostro domandare, il nostro relazionarci nella possibilità oggettiva di risvegliare nell’altro la domanda delle domande, l’inquietudine delle inquietudini, sperare,  aver fede, aver fiducia, amare sono tratti che qualificano irrinunciabilmente la pienezza dell’umano.

Tutte queste prospettive fratelli e sorelle mi sembra che ci riportino con grande forza alla bellezza di sintesi di questi giorni di festa, una bellezza che consegno con grande forza alla lucidità e alla intelligenza di ciascuno di voi, perché il contenuto di questa luce annuncia quanto questa nostra contemporaneità fatica o addirittura rifiuta di accogliere e di accettare, e che ancora una volta si compendia nel segno dei segni indicato dagli angeli ai pastori e poi ai  Magi, niente altro di diverso, niente altro di più che un bambino avvolto in fasce, fratelli e sorelle, niente di arcano, niente di mirabolante, un bambino avvolto in fasce che è una grande comunicazione che svela l’intima e irrinunciabile natura di fecondità della nostra storia, dei nostri spazi, della nostra stessa carne umana che spesso diventa sterile perché noi per primi siamo diventati uomini e donne abortivi, capaci cioè di soffocare il nuovo che si fa strada, il germoglio che sfida la terra, e in questa dimensione abortiva un bambino che nasce per noi, è la grande rivoluzione con la quale il Vangelo chiede di cambiare radicalmente prospettiva riconoscendo quello che gli altri non riconoscono più e facendo dei nostri corpi sterili e vizzi, l’annuncio di una fecondità inesausta, e ancora una volta qui il dato anagrafico non significa più niente, è una parola che vale per tutti noi, in modo particolare, lo dico in conclusione, per i nonni e le nonne che sono qui presenti, per i genitori anche ovviamente, ma in modo particolare mi rivolgo fratelli e sorelle ai nonni e alle nonne, custodi di una stagionatura di vita che può essere davvero preziosa, come quell’ambra che conserva tesori di secoli trascorsi e che mostrata ai vostri nipoti, potrà diventare ragione di uno stupore che li apra, finalmente li apra ad un futuro preparato dalla vostra attesa, dalla vostra pazienza, dalla vostra tenacia, dalla vostra perseveranza fratelli e sorelle, la sfida è veramente estrema, ha ragione il Santo Padre, come Chiesa, come popolo di Dio, come umanità, se perdiamo di vista, e l’Epifania stanotte ci dona questa consapevolezza sotto forma di stella, se perdiamo la consapevolezza di questa fecondità, oltre ogni disperazione e disillusione, per questa intera famiglia umana, tornare a parlare di universalità, di futuro, di speranza, diventerà sempre più arduo e difficile. Amen

Domenica 16 gennaio 2022 – II domenica del tempo ordinario ©

 

Dal libro del profeta Isaìa
Per amore di Sion non tacerò,
per amore di Gerusalemme non mi concederò riposo,
finché non sorga come aurora la sua giustizia
e la sua salvezza non risplenda come lampada.
Allora le genti vedranno la tua giustizia,
tutti i re la tua gloria;
sarai chiamata con un nome nuovo,
che la bocca del Signore indicherà.
Sarai una magnifica corona nella mano del Signore,
un diadema regale nella palma del tuo Dio.
Nessuno ti chiamerà più Abbandonata,
né la tua terra sarà più detta Devastata,
ma sarai chiamata Mia Gioia
e la tua terra Sposata,
perché il Signore troverà in te la sua delizia
e la tua terra avrà uno sposo.
Sì, come un giovane sposa una vergine,
così ti sposeranno i tuoi figli;
come gioisce lo sposo per la sposa,
così il tuo Dio gioirà per te.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi
Fratelli, vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti.
A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune: a uno infatti, per mezzo dello Spirito, viene dato il linguaggio di sapienza; a un altro invece, dallo stesso Spirito, il linguaggio di conoscenza; a uno, nello stesso Spirito, la fede; a un altro, nell’unico Spirito, il dono delle guarigioni; a uno il potere dei miracoli; a un altro il dono della profezia; a un altro il dono di discernere gli spiriti; a un altro la varietà delle lingue; a un altro l’interpretazione delle lingue.
Ma tutte queste cose le opera l’unico e medesimo Spirito, distribuendole a ciascuno come vuole.

Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli.
Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela».
Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono.
Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora».
Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.

Omelia

Fratelli e sorelle, non è che l’inizio dei segni quello che ci è stato raccontato dal Vangelo di Giovanni adesso proclamato, esso è l’abbozzo, l’incipit del segno complessivo e definitivo con il quale il Signore Gesù rivela in pienezza sé stesso, l’ora estrema verso la quale è orientata tutta la sua esistenza, compimento che permetterà fino in fondo di mostrare per chi sia venuto il Signore Gesù.

È questa la sua gloria, la gloria che potremmo quasi filosoficamente individuare come la coincidenza degli opposti, perché è l’ora estrema di fronte alla quale ritroveremo Maria, ma silenziosa,  la madre obbediente che ci esorta con queste sue uniche parole annotate dal Vangelo ad un ascolto operoso che traduca in gesti tutto l’insegnamento del Signore Gesù. In quell’ora estrema la gloria consisterà nel suo consegnarsi alla morte perché nel vuoto e nell’oscurità di quel momento risplenda la luce del Padre e il nostro fallimento, il nostro peccato, il nostro non averlo accolto -Prologo di Giovanni proclamato a Natale- rifiutando di diventare figli di Dio, diventa una espansione irrefrenabile di grazia mediante il rantolo estremo del Signore Gesù, che in Giovanni è la Pentecoste, il dono dello Spirito, la possibilità, come ci ha detto Paolo rivolgendosi ai Corinzi, di una compenetrazione dell’amore che viene dal cielo nell’intimità personale di ciascuno dei credenti , lo Spirito che attraversa ogni distanza, spaziale e temporale per entrare nell’intimo delle nostre vite, apportandoci la pluralità dei carismi che il Padre ha scelto per noi.

Questa compenetrazione fratelli e sorelle può essere espressa simbolicamente e metaforicamente per dare a voi anche tutto il gusto di una comprensione immaginifica, è davvero l’accesso del cielo del Padre nell’abisso, nel crepaccio della nostra terrosità che si frantuma, come si frantuma secondo il racconto sinottico alla morte del Signore Gesù, con terremoti, sismi, che permettono a quelle fratture di assorbire, per così dire, fino in fondo la possibilità data dalla gloria del Padre attraverso lo svuotarsi del Figlio nell’intimo delle nostre vite, nell’intimo della nostra storia, fratelli e sorelle.

Il cielo che permea la nostra terra, il cielo sorgente dello Spirito del Padre che entra nelle viscere della nostra terrosità, del nostro fallimento, della nostra inadeguatezza, in una prospettiva fratelli e sorelle, complessiva. Non mi stanco di dirlo, complessiva, una visione che viene espressa dalla prima lettura, dove ci è chiesto fratelli e sorelle, non diversamente da Isaia, di essere  testimoni insonni che non si danno pace finchè non vedono Gerusalemme trasfigurata in luce, in bellezza, tutta sponsale, che il Padre le accorda per essere sponsalità irresistibile di fronte alla quale tutti desiderano fidanzarsi con questa bellezza, con questa sponsalità, con questa presenza di luce.

Quindi la riflessione scava nell’intimo fratelli e sorelle, ma come sempre accade non è intimismo, non è soggettivismo, non è individualismo, ma al contrario raduna i destini dell’intera famiglia umana, raduna la prospettiva che ci accomuna come uomini e donne tentati, il Natale ci ha addestrato alla grande tentazione abortiva, con la quale condanniamo a sterilità ciò che è stato generato dall’amore del Padre per essere fertilità, fecondità. E qui fratelli e sorelle la grande tentazione potremmo qualificarla per fare nostre categorie della nostra socialità, non, sia ben chiaro, per permetterci facili e sostanzialmente infruttuosi moralismi, ma per cogliere fino in fondo la profonda inerenza di questa parola con le sfide culturali, sociali, di ogni tempo essendo una parola che noi riceviamo dal cielo, attraverso lo Spirito Santo, e lo Spirito Santo ci permette oggi, io credo, di cogliere, di mettere in luce, l’altra grande tentazione che ci riporta ancora una volta alla tragedia della nostra contemporaneità, questo nostro assestarci in una solitudine individualistica, disperata e disperante, ed è appunto quella che potremmo qualificare in questa prospettiva come una tentazione divorzista, pensare cioè alla inevitabile inconsistenza, inevitabile non durabilità dei legami di alleanza che invece il Signore sceglie attraverso l’ispirazione dello Spirito accordata ai suoi profeti, come immagine di un amore che sfida il tempo, sfida lo spazio, ingaggia la libertà per essere davvero alleanza che dura nel tempo, si trasforma nel tempo, assume le responsabilità del tempo, variandosi, senza però modificarsi nella sua sostanza e nella sua oblazione d’amore.

Ne abbiamo credo abbastanza per cogliere tutta la bellezza e la complessità della sfida per così dire posta in essere dalla nostra, e direi qui davvero paternamente, vostra ammirevole disponibilità a perseverare in questo esigente laboratorio dell’ascolto rappresentato dalla liturgia, un laboratorio ormai davvero fratelli e sorelle, eluso dai più, anche questo lo diciamo senza cedere alla tentazione deprecabile dei conteggi con la quale troppe volte anche una certa Chiesa misura in modo muscolare la sua forza, la sua potenza, la sua capacità di resistere nella storia. Non è un criterio evangelico, la prova muscolare da sforzo, il conteggio, la statistica, le previsioni. Siamo quello che siamo. L’essenziale fratelli e sorelle è esserci con la gratuità, la libertà, la consapevolezza, la responsabilità con cui il Profeta Baruc immagina quello che voi siete adesso, stelle che rispondono all’invito del Creatore con una disponibilità che si riassume in una parola che vi fa essere qui stamani: Eccomi! Eccoci.

Pronti a tutto, pronti e pronte a tutto, questo noi siamo fratelli e sorelle.

Non escluso anche la eventuale, anzi molto probabile, pesantezza del predicatore, pronti a tutto, ma è proprio questa disponibilità a lasciarsi destrutturare e poi riconfigurare dalla pregnanza di quello che noi contempliamo, ascoltiamo, viviamo insieme, a dire tantissimo alla nostra umanità, questo mi interessa tantissimo, fratelli e sorelle, perché poi ciò che voi, traboccando come il vino buono nuovo, voi potete consegnare quale ebrezza, gioia, colore a questo nostro mondo grigio che crede di non aver bisogno di questo laboratorio che invece ci riporta a questa essenziale sapienza che riconosce un limite dentro di noi, che riconosce l’urgenza prima di parlare di ascoltare, vorrei quasi dire, prima di preparare da mangiare, come molti di voi fanno e alcuni dei nostri fratelli che non vedete per questo stamani. Abbiamo bisogno di essere nutriti per primi, e questa prospettiva dell’anteriorità è celebrata fratelli e sorelle, da questa pregnanza amorosa che inaugura, qui e ora, la gloria del Padre che sceglie la nostra creaturalità per mostrarsi attraverso il Signore Gesù, in una articolata pedagogia che abbiamo, attraverso tanti simboli, contemplato nelle feste che ci hanno preceduto e che oggi hanno un’estrema propaggine già incuneata nell’ordinarietà del tempo che si è inaugurato domenica scorsa, dopo le feste natalizie, dopo il tempo di Natale e che ha a cuore davvero l’essenziale della creaturalità di un Dio amore: manifestarsi.

Come si fa a essere amore senza desiderare di raggiungere l’amato, così fa Dio in Cristo, svelandosi, come parola prima, come luce nella notte di Betlemme, come appello all’umanità in quanto tale, raggiunta attraverso la cometa, invitandola a sollevare lo sguardo verso l’alto alla ricerca della dinamica di una luce che riconduce alla sorgente della luce-amore che è il Signore Gesù in una prospettiva che diventa poi la possibilità sapiente di sentire questa nostra realtà non adulterata e idolatrata in forza di una sua supposta eternità, sulla quale posso esercitare il mio arbitrio, uso e abuso, ma come dono temporaneo, ma non per questo condannato alla consunzione, ecco la rigenerazione cosmica, che il Signore Gesù propizia immergendosi nel Giordano lasciando che attraverso di Lui torni ad aleggiare sulla massa informe degli inizi, quella ruah, quello Spirito, quell’alito con cui il Padre inizia a dar forma separando gli elementi cosmici.

E oggi fratelli e sorelle, questa prospettiva da cosmica si fa, con gli avvertimenti di prima che includono anche la dimensione politica del nostro essere qui, politica in senso altissimo, è la dimensione di un intimo attraversato, attraversabile dallo Spirito perché in Cristo Gesù ha avvertito Natanaele nei pochi versetti che precedono il racconto di oggi, il cielo è squarciato, questo ci interessa sommamente, voi bene lo sapete che frequentate sapientemente la Porta del Cielo per attraversarla ogni domenica, sentendovi doverosamente e giustamente a casa quaggiù, perché sapete che la nostra terra non è terra senza cielo, la nostra vita non è vita senza cielo, le nostre angustie non sono angustie senza il desiderio del cielo e questa prospettiva è celebrata oggi dall’irrompere traboccante del vino che gorgoglia fratelli e sorelle, nell’intimo della nostra corporeità.

Che meravigliosa immagine! Sconcertante, per chi ancora si ostina a fare della rivelazione di Dio un’esperienza di un amore moralistico, leguleico, di fronte al quale possiamo e dobbiamo conteggiarci per pensare di consistere in qualcosa e magari meritarci tutto quello che invece riceviamo per ebrezza, per gratuità, per profusione di amore, questa è la festa assoluta dell’eccedenza della qualità sulla quantità e lodevolmente la nuova traduzione della CEI non dice più: non c’è più vino. Non c’è vino. Non c’è proprio vino! E quello che immette il Signore è una novità di qualità, tutta inedita, mai vista prima, che trova, sia chiaro, una forma nelle antiche giare di pietra, la pietra sulla quale era stata colpita la legge, ma qui c’è qualcosa di radicalmente  nuovo, il cielo irrompe come gloria che il Signore Gesù trascina dal cuore del Padre, mediante lo Spirito, nell’intimo delle nostre vite.

E qui i guadagni fratelli e sorelle, davvero sono innumerevoli, e torno a dirlo, mi piace insistere sulla dimensione politica non perché siamo in campagna elettorale, anzi, il Presidente della Repubblica non lo eleggiamo noi quindi non sono oggetto di sospetti da questo punto di vista, la mia visione di polis è la visione che anche voi sapientemente imparate ad amare salendo quassù, condividendo lo sguardo lapiriano su Firenze che intuisce in questa bellezza esattamente l’appello al fidanzamento con una socialità di qualità, per il mondo intero, per tutte le genti, e che non si risolva nella concentrazione immediata scontata banale del profitto, del risultato, ma abbia lo sguardo lungo, profetico, della prospettiva, della gratuità, della libertà, dell’universalità, Gerusalemme per tutte le genti.

Questa è una visione bellissima, altissima, che allenta i confini che allenta i muri e quelle tentazioni che giustamente l’amico e profeta David Maria richiamava nella nostra coscienza europea e non solo di cittadini di Europa, di cittadini del mondo, tanto più forte è questa visione universale quanto più disponibili siamo ad abitare l’intimo dei crepacci del nostro cuore, nella loro arsura, nella loro sterilità, nella loro tentazione di chiudersi in sé stesso per quel divorzismo di cui parlavamo all’inizio. Quanto più dissetati, liberati, trasfigurati dall’ebrezza di un vino nuovo che il Signore riserva alla fine del banchetto per educarci alla fine dei tempi, per questa prospettiva lunga, lungimirante di cui abbiamo così profondamente bisogno se non altro, fratelli e sorelle, per fare spazio ai nostri giovani, uno spazio di qualità che non gira su sé stesso, ma apre rettilinei, tortuoso quanto si vuole, ma che abbiano tutto il sapore della sorpresa, dell’avventura, non importa se devono attraversare magari anche ad alta velocità, curve e tornanti, questa è la vita che abbiamo vissuto noi o per lo meno speriamo di aver vissuto noi, certamente la qualità di vita che vogliamo consegnare all’intelligenza, alla libertà, al discernimento dei nostri figli, affronteranno questa strada nella misura in cui la nostra capacità di amarli ha questa forza di libertà che sa essere sé stessa accettando la sfida del cambiamento, la dinamica dell’alleanza di cui parlavamo prima.

Ecco fratelli e sorelle, credo la bellezza anzitutto di questi contenuti, diciamo così, ma soprattutto di questo appuntamento che il Signore ci dà stamani all’ora estrema, è importantissimo questo, non essere schiavi delle nostre previsioni, dei nostri minuti, ma sapere che questo non significa neanche procedere a casaccio in un futuro fluido e indeterminato. Oggi riceviamo una forma, che non è quella restringente delle giare di pietra, ma quella liberante di una ebrezza che si inaugura lasciandoci attraversare da un vino che sceglie la nostra carne, la nostra corporeità, per essere giara vivente e se quell’acqua serviva per purificazioni esteriori, adesso quest’intimità visitata dallo Spirito renderà nell’amore ricevuto noi capaci di purificare tutto quello che tocchiamo, guardiamo, ascoltiamo, amiamo.

Questa prospettiva è decisiva per fare della nostra testimonianza evangelica un fermento appassionato e appassionante e tutto quello che noi tocchiamo, faremo, guardiamo, gustiamo, cuciniamo fra qualche ora, a celebrare una purezza con la quale finalmente la luce dell’amore del Padre attraversa ogni nostra opacità, ogni opacità della storia per portare, con lo splendore delle pupille del Bambino di Betlemme, a tutti noi la possibilità di una novità mai vista prima, da cui ripartire per scrivere pagine diverse di questa nostra storia. Amen.

Trascrizione a cura di Grazia Collini

La fotografia è di Mariangela Montanari

Condividi sui social