Omelie

«L’umile, accorata, imperdibile magnificenza del Signore». Omelia del padre abate Bernardo per la XXVIII Domenica del Tempo Ordinario


11 ottobre 2020 – XXVIII Domenica del Tempo Ordinario

Dal libro del profeta Isaìa
Preparerà il Signore degli eserciti
per tutti i popoli, su questo monte,
un banchetto di grasse vivande,
un banchetto di vini eccellenti,
di cibi succulenti, di vini raffinati.
Egli strapperà su questo monte
il velo che copriva la faccia di tutti i popoli
e la coltre distesa su tutte le nazioni.
Eliminerà la morte per sempre.
Il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto,
l’ignominia del suo popolo
farà scomparire da tutta la terra,
poiché il Signore ha parlato.
E si dirà in quel giorno: «Ecco il nostro Dio;
in lui abbiamo sperato perché ci salvasse.
Questi è il Signore in cui abbiamo sperato;
rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza,
poiché la mano del Signore si poserà su questo monte».

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippési
Fratelli, so vivere nella povertà come so vivere nell’abbondanza; sono allenato a tutto e per tutto, alla sazietà e alla fame, all’abbondanza e all’indigenza. Tutto posso in colui che mi dà la forza. Avete fatto bene tuttavia a prendere parte alle mie tribolazioni.
Il mio Dio, a sua volta, colmerà ogni vostro bisogno secondo la sua ricchezza con magnificenza, in Cristo Gesù.
Al Dio e Padre nostro sia gloria nei secoli dei secoli. Amen.

Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù, riprese a parlare con parabole [ai capi dei sacerdoti e ai farisei] e disse:
«Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire.
Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: Dite agli invitati: “Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”. Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città.
Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali.
Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”. Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”.
Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti»

Omelia:
Fratelli e sorelle, vorrei iniziare questa meditazione con voi da questa bellissima immagine che offre San Paolo alla nostra indigenza di speranza, di fede, di amore in questo particolare momento storico:
“Il mio Dio, a sua volta, colmerà ogni vostro bisogno secondo la sua ricchezza con magnificenza, in Cristo Gesù”.
Un Dio che colma ogni nostro bisogno, un Dio addirittura magnificente, una grandiosità di agire, di sentire, di condividere che per l’appunto fa schiudere, non a caso il Magnificat, al cuore della Beata Vergine Maria quando ella è di fatto pregna di questa sua grandezza e amore di cuore, col dono dell’incarnazione.
Ma sentiamo che ognuno di noi è sollecitato a ritrovare nel proprio cuore una singolare sintonia con questa qualità davvero importante del nostro Dio, con questa capacità che lui ha di venire incontro a ogni nostro bisogno, secondo la sua ricchezza, con magnificenza in Cristo Gesù.
Dove il Signore Gesù è il luogo di incontro fra la nostra umanità assetata, e Gesù ha patito la sete sulla croce anche per questo, e d’altra parte Gesù Cristo è la pienezza dell’amore divino nel quale si riversa davvero questa grandezza di Dio, questo suo eccedere nell’amore, perché ognuno di noi possa davvero sperimentare nella propria personale storia un bisogno intercettato dallo sguardo di Dio, trasfigurato, alimentato, distinto.
L’unico vero dramma che Matteo ripropone, come già in queste ultime domeniche, al nostro cuore, alla nostra intelligenza, alla nostra fede è se veramente ci riconosciamo uomini e donne del bisogno, una capacità importante di distanza dai nostri bisogni, dalle nostre necessità che è un tutt’uno anche con quella disciplina ascetica della vita spirituale, uso queste parole forti della tradizione monastica a voi presenti in Basilica, direi così presto per essere domenica, vincendo sia la perturbazione metereologica sia anche questa paura che in modo sempre più forte ritorna a impossessarsi del nostro cuore in relazione alla diffusione del contagio, e voi tuttavia siete qui, siete qui perché riconoscete con Paolo che siete in grado di vivere nella povertà come nell’abbondanza, siete allenati a tutto e per tutto, a sazietà, fame, abbondanza e indigenza.
Non perché siate come certi maestri dell’antica filosofia in una situazione di radicale distacco, quella indifferenza stoica per la quale e secondo la quale il nocciolo della vita si pone in una sorta di adesione fatalistica alla realtà in quanto tale, non è questa la vostra forza, la vostra forza risiede ancora una volta nella persona del Signore Gesù, nella persona del Signore Gesù.
Tutta questa dinamica di invito, di accoglienza, di proposta, direi che si possa riassumere nella consapevolezza che la nostra vita, pur esposta alla ordinarietà del quotidiano, è già nel Regno di Dio, questo è il vero domicilio delle nostre esistenze, il Regno di Dio.
E nel Regno di Dio, questo domicilio di elezione, abbiamo il privilegio di una singolare familiarità concorporea col Signore Gesù, quindi l’approdo, l’esito di questi appelli domenicali che il Vangelo di Matteo attraverso le varie immagini, la vigna, l’invito a nozze, ci offrono è davvero accogliere il Signore Gesù ma anche costituirci in Lui, attraverso di Lui, in vista di lui per una esistenza organica qualificata mediante lo Spirito da una familiarità, inerenza, comunione, prossimità, partecipazione, non bastano le parole per dire come davvero, con la forza dell’ascolto della sua parola e il nutrimento eucaristico, tutto di noi si configuri in lui .
La conseguenza di questa ritrovata fortissima, feconda, inestinguibile e nello stesso tempo però mai trascurabile prossimità col Signore Gesù, è l’espressione paolina “tutto posso in colui che mi dà la forza”, dove si coglie evidentemente che al protagonismo ascetico della grande stagione filosofica antica si sostituisce l’iniziativa di Dio, la sua forza, la sua capacità attrattiva e rigenerativa che, in Cristo, ci pone in una dimensione si direbbe di libertà da quei condizionamenti polari che Paolo si sente di aver superato, e di poter superare, in forza di questo privilegiato domicilio nella forza a lui conferita dal Padre in Cristo.
Non sono giochi di parole, fratelli e sorelle, non sono prospettive offerte alla nostra capacità immaginativa, sintattica, alla nostra curiosità spirituale, sono passaggi implicati dal nostro battesimo, sono dinamiche per così dire pertinenti alla vostra esistenza sacramentale, per cui è mio dovere nel magistero settimanale della domenica sottolineare e la parola di Dio ce ne ha dato l’occasione, questa grazia, una grazia meravigliosa sulla quale e nella quale mi piacerebbe che il nostro cuore sentisse la possibilità di approdare a una pace che, anche se perturbata dalle nostre dinamiche psicologiche, dagli eventi storici che viviamo, dai condizionamenti metereologici, relazionali però è una pace oggettivamente data da questa possibilità concreta di partecipazione alla vita di Cristo.
E questa adesione forte, esistenziale al Signore Gesù, resa possibile contro ogni monoteismo e contro ogni utilitarismo dall’articolazione trinitaria inafferrabile, incomprensibile, indecifrabile del mistero del Dio uno e trino, è appunto la dinamica nella quale si direbbe, gettare la nostra esistenza , poterla gettare, e gettando le nostre esistenze in questa dinamica trinitaria, inafferrabile tanto è per così dire velocissimo il suo movimento, quanto inarrestabile la sua forza trasformante, noi sentiamo un appello irrinunciabile di cui Paolo fa questa sintesi che ancora una volta vi leggo: “Il mio Dio, a sua volta, colmerà ogni vostro bisogno secondo la sua ricchezza con magnificenza, in Cristo Gesù”.
E ci dice questo come risposta provvidenziale che Dio fa alla disponibilità della cerchia paolina a partecipare alle sue tribolazioni che sono tribolazioni che Paolo non può collocare in un qualsiasi luogo che non sia ancora una volta Cristo, perché in Cristo si direbbe c’è spazio per tutto, non è una certa idea di divino cui si giunge congedandoci e superando le fatiche della storia, come in un certo senso può essere il percorso di purificazione dai condizionamenti oggettivi della nostra vita nel modello del nirvana buddista, cioè tutta quella capacità che noi abbiamo di levarci di dosso come se fossero veli di cipolla quegli attaccamenti, quelle implicazioni, quelle passioni che ci legano al nostro essere responsabili della storia che Dio ci affida. Non è questa la prospettiva del Dio uno e trino perché la salvezza non è dalla storia ma accade nella storia e il Cristo crocifisso e risorto è il domicilio delle nostre tribolazioni così come delle nostre consolazioni. Non so se cogliete questo specifico di grande qualità esistenziale perché corrisponde quindi a una possibilità di approdo integrale della nostra persona umana a questa offerta che ci viene fatta, altrettanto integrale dal Dio uno e trino.
Per cui Paolo dopo averci detto, così, con grande chiarezza questa sua libertà dalla povertà e dalla ricchezza, dalla sazietà e dalla fame, dall’abbondanza e dalla indigenza, colloca la radice di questa libertà nell’ascolto pieno di fede e di fiducia della parola che il Signore gli pronuncia, ci pronuncia per suscitare, corroborare, la sua fede.
Quindi è un dialogo, un ascolto, una storia che è la nostra storia fratelli e sorelle, importantissima da viversi, una esperienza progressiva nel tempo, sempre il testo ai Filippesi conosce quella sintesi meravigliosa che un predicatore non vede l’ora di commentare alla sua gente, essere acciuffati da Cristo, protesi nello stesso tempo verso di Lui, perché Gesù afferra ma non chiude, non serra, lascia liberi di ulteriori conformazioni.
Questa bellissima dinamica fratelli e sorelle, appunto conosce questa consapevolezza che è la grande consapevolezza della fede di cui noi sentiamo oggi, stamattina più forte che mai l’esigenza, personale familiare, comunitaria e storica, un Dio promettente che colmerà ogni nostro bisogno secondo la sua ricchezza con Magnificenza in Cristo Gesù.
E la proposta è così articolata nei vari segmenti trinitari sui quali mi sembra domenica scorsa aver annoiato i fedeli delle 11,30, stamani tocca a voi, ma mi piace sottolineare le articolazioni trinitarie perché più si va avanti nel cammino di fede in Cristo e più scopriamo veramente questa rivelazione trinitaria che è il massimo a cui poteva aspirare la nostra intelligenza, la nostra fede, la nostra libertà perché apre degli spazi, apre delle prospettive, apre delle stagioni, c’è una –perdonatemi- una geografia della grazia che apre dei bellissimi perimetri mai chiusi e allora, attraverso questa premessa presuntuosamente teologica forse comprendiamo meglio questo Vangelo, così strano… alle volte Matteo resta un pò, con tutto il rispetto, un ebreo osservante quindi ha sempre un po’ questo stile paradossale, questo stile destinato a rimarcare, costi quello costi, il privilegio, la responsabilità dell’elezione che è la grande cifra esistenziale con cui Israele è stato creato, cercato, desiderato dal Signore, con tutto il dramma dell’elezione perché il dramma dell’elezione è dramma nella misura in cui la storia ce la smentisce questa elezione, pensate alla grande vicenda della diaspora e della soppressione del popolo di Israele nonostante o forse in forza dell’elezione. E allora ecco, questa festa per il figlio che si sposa, con chi non si sa, viene forse da pensare che davvero la vera sposa del figlio per il quale il padre organizza la festa -è una interpretazione della sonnolenza di stamani- potrebbe essere forse davvero tutti gli invitati, ciascuno di noi, noi siamo gli sposi di questo figlio e questa densità simbolica, metaforica nuziale è tradizionale nell’antico testamento, perché quando Dio vuole far capire quanto ama il suo popolo sceglie questa metafora, umanissima e divinissima dell’alleanza, dell’alleanza sponsale, fatta anche di tradimenti e di verginità riconquistate, pensate un po’ alla libertà per esempio di un Osea, ecco questa prospettiva fratelli e sorelle, per arrivare al succo e finalmente alla conclusione di questa strampalata meditazione, è sentirci investiti dalla forza di questo invito, perché è un invito che non ascoltato ci lascerebbe in questa dimensione di dispersione, di non verità, di non origine, di non compimento, di non adempimento, la nostra condizione umana sarebbe destrutturata al suo interno, mancando di farsi riflesso speculare e sponsale della sua verità, che è una verità trinitaria, e lo dico proprio riconoscendo alla nostra persona, alla scuola di Agostino, questa tensione tra unità e articolazione: “Memoria, volontà, intelletto” dice Agostino nella sua raffinata teologia. Bellissimo! Memoria, volontà, intelletto.
Perché siamo riflesso della Santissima Trinità
Come possiamo estraniarci con indifferenza autosufficiente a questo appello ad essere semplicemente quello che noi siamo, perché questa dimensione trinitaria –ora uso una espressione un po’ filosofica che chissà quante volte Benedetto mi imiterà, ma la voglio usare- è una struttura ontica, cioè ha a che fare con la verità del nostro essere, ontologia, noi siamo questo, non altro. Per questo le reazioni così, drammatiche, incomprensibili sul piano letterale perché qualcuno ha altro da fare e può avere altro da fare, i campi, gli affari, addirittura la reazione rabbiosa di chi addirittura uccide coloro che invitano e c’è tutto il dramma del martirio alluso dalla pagina di Matteo, perché di questa verità noi dobbiamo essere testimoni disponibili ad essere uccisi, come succede a San Miniato, la cui festa si avvicina, nella consapevolezza che la libertà e la fede non sono qualità accidentali della nostra vita per cui per salvare la vita rinunci alla libertà, no, paradossalmente la libertà e la fede sono la vita, senza le quali la nostra vita si dissolve.
Allora, anche se ci sembra tutto molto complesso, lontano, teologico, poco consistente con il nostro quotidiano in realtà in questa pagina di Vangelo e anche in questo tratto simbolico, ma proprio perché simbolico, concretissimo e realissimo della veste, ci sta tutto il dramma di una elezione che sta a noi trasformare in una sorta di nudità che portiamo sotto strati di fibre raffinatissime da un punto di vista tecnologico scientifico per proteggerci dal freddo che però ci rendono un po’ impermeabili a questo coraggio di vestirsi di questa spoliazione di cui è simbolo paradossale la veste bianca, perché è la verità di quello che noi autenticamente siamo rivestiti di Cristo, è il gesto che si fa ai battezzati, rivestirli di un abito bianco, un camice bianco, che simboleggia qualcosa che sostituisce quelle tuniche in pelle che il Padre aveva dato all’uomo e alla donna peccatori e che diventa invece quell’abito di pelle impermeabile, la luce, la trasparenza, la verità di Cristo. Quindi capite bene che c’è una dinamica di spoliazione, c’è una dinamica di fede, di speranza, di coraggio in quello che oggi il Vangelo ci invita, non tanto a fare ma ad essere, e la conseguenza è la qualità esistenziale di questa magnificenza di Dio in Cristo che è espressa da Isaia, una magnificenza succulenta, gustosa, culinaria, perché se noi abbiamo il coraggio di questo invito ad essere la struttura ontica che siamo, l’esito non è filosofico, ma è gioioso, il banchetto senza fine su quel monte nel quale, in Cristo, il Padre asciugherà ogni nostra lacrima, prospettiva che ci obbliga e che però ci invita anche a perseverare nella salita settimanale di questa collina, anche in tempo di Covid, anche in tempo di pioggia. Amen!

Trascrizione a cura di Grazia Collini

La fotografia è di Gianni Berengo Gardin

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