Omelie

«Interrogati da chi verrà dopo di noi». Omelia del padre abate Bernardo per la XVIII Domenica del Tempo Ordinario

4 agosto 2019 – XVIII Domenica del Tempo Ordinario

Dal libro del Qoèlet
Vanità delle vanità, dice Qoèlet,
vanità delle vanità: tutto è vanità.
Chi ha lavorato con sapienza, con scienza e con successo dovrà poi lasciare la sua parte a un altro che non vi ha per nulla faticato. Anche questo è vanità e un grande male.
Infatti, quale profitto viene all’uomo da tutta la sua fatica e dalle preoccupazioni del suo cuore, con cui si affanna sotto il sole? Tutti i suoi giorni non sono che dolori e fastidi penosi; neppure di notte il suo cuore riposa. Anche questo è vanità!

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossèsi
Fratelli, se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra.
Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio! Quando Cristo, vostra vita, sarà manifestato, allora anche voi apparirete con lui nella gloria.
Fate morire dunque ciò che appartiene alla terra: impurità, immoralità, passioni, desideri cattivi e quella cupidigia che è idolatria.
Non dite menzogne gli uni agli altri: vi siete svestiti dell’uomo vecchio con le sue azioni e avete rivestito il nuovo, che si rinnova per una piena conoscenza, ad immagine di Colui che lo ha creato.
Qui non vi è Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro, Scita, schiavo, libero, ma Cristo è tutto e in tutti.

Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?».
E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede».
Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? Farò così – disse –: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”. Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».

Omelia:

Fratelli e sorelle, non possiamo in nessun modo sorvolare la fortissima pregnanza della affermazione paolina che ravvisa la nostra esistenza nascosta con Cristo in Dio.

Sembra quasi stonare con i ripetuti appelli che da un secolo all’altro della storia, della vita della Chiesa chiamano l’intera compagine del popolo di Dio ad una radicale evangelizzazione e missionarietà e certamente questa espressione così misteriosa non dispensi, e non ci dispensi, dal proclamare anzitutto e soprattutto con la nostra vita, la beatitudine della novità pasquale della nostra esistenza, quando essa si radica fortemente nel Vangelo del Signore Gesù e tuttavia ci sembra così importante, così bello, così evocativo, direi quasi poetico, immaginarci e scoprirci oggi nascosti con Cristo in Dio, ove questo nascondimento ovviamente non ha niente di segreto, quasi che ci dovessimo sentire degli eletti, dei privilegiati che abbiamo acquisito per chissà quale competenza la possibilità di accedere ad una sorta di tabernacolo irraggiungibile da altri che ci pone in una dimensione di partecipazione del numinoso che ci distingua dagli altri; qui noi avvertiamo semmai il senso di un radicale, sofferto, inquietante radicamento nel mistero e nella volontà del Padre celeste, rivolti anche noi, pros ton theon come ci dice il Prologo del Vangelo di Giovanni con Cristo, col Verbo, verso Dio.

Una esperienza fratelli e sorelle che, restituita alla nostra quotidiana consapevolezza, riorienta tutto di noi dato che, come queste parole ci stanno oggi addestrando, ahimè numerose volte sono i frastagliati e dinamici confini delle mille e variopinte contingenze quotidiane a moltiplicare e inevitabilmente a disordinare il nostro prioritario orientamento che, in questo nascondimento con Cristo in Dio, oggi vogliamo riscoprire attratto, modellato, conformato in Cristo al cuore stesso del mistero che oggi ha il sapore di una sorgente inesauribile di significato, di senso per i nostri giorni consolidandone, per così dire, il loro rapido scorrere in una prospettiva, lo si diceva all’inizio di questa celebrazione, che ci fa riscoprire, nonostante tutto, il tratto avventuroso, mirabile, costruttivo e responsabilizzante che noi osiamo chiamare storia, di più, storia della salvezza affidata anche alle nostre fragili idee, prospettive e desideri.

Ci sentiamo partecipi e immersi, non in una presuntuosa competenza maggiorata da chissà quali nostre virtuose realizzazioni, ma toccati da una grazia che semmai intercetta quell’infanzia del nostro cuore, quella piccolezza della nostra umana consistenza che proprio per questo non cessa di desiderare prospettive più alte, consistenze più solide, destinazioni più universali, responsabilità intergenerazionali su cui oggi questo Vangelo oggi ci richiama fortemente, fratelli e sorelle, non tanto il possedere egoistico da cui peraltro sgorga la necessità di fare del Signore Gesù una sorta di giudice assai contingente, per una questione di eredità, di divisione del patrimonio, ma un Signore Gesù che ci ricorda questo arricchirsi davanti a Dio, una prospettiva per l’appunto universale che ci permette di scorrere lungo l’asse dello spazio e del tempo, tenendo finalmente come punto di riferimento, come misura, come criterio, il bene comune, la moltitudine di ogni dove, ma anche di ogni tempo, cioè quelli che verranno dopo di noi.

Si capirà benissimo la fecondità di una prospettiva di questo tipo, non solo in rapporto alla crescita, per grazia e per mistero, di questo nostro pros ton theon, di questo nostro disporci verso Dio, appunto arricchirci davanti a Lui, modulare i nostri pensieri, i nostri desideri, mediante e grazie a una misura infinita che non possiamo che riscoprire riorientandoci davanti all’assolutamente assoluto, ma nello stesso tempo tutto questo si traduce in una attenzione, parola che il Signore Gesù richiama oggi alle nostre orecchie, ai nostri cuori “fare attenzione”, fratelli e sorelle, perché altri verranno dopo di noi, perché tutto quello che noi possediamo e il più delle volte per possedere, deformiamo, per far stare nei ristretti magazzini dei nostri interessi, dei nostri profitti, dei nostri tornaconti, tutto questo lascia una eredità pesantissima alle generazioni che verranno.

Ecco allora come da queste parole scaturisce una duplice lungimiranza, la lungimiranza pros ton theon che ripeto con forza fratelli e sorelle, perché se siamo qui, siamo qui perché avvertiamo il desiderio, l’istanza, la necessità di radicare in questa misura infinita che il nostro cuore, talvolta saltuariamente, riscopre come aspirazione e destinazione più autentica del suo esserci, un pros ton theon che dilata a dismisura il nostro rapporto con quel cielo che per la sua sconfinata vastità sembra solo e soltanto essere il magazzino conveniente per quel tipo di ricchezza che oggi il Vangelo propone, non quella dell’avere ma quella dell’essere e aggiungerei dell’esserci come esercizio di responsabilità, di custodia, di attenzione di condivisione, ma c’è anche l’altra lungimiranza che scaturisce, che possiamo dire assolutamente è quella verso l’umano in quanto tale, in questa prospettiva che l’incarnazione del Signore Gesù ci fa contemplare come una ellisse da due fuochi imprescindibili che non possiamo polarizzare l’uno a scapito dell’altro, questa è la lectio difficilior che il Vangelo propone alla nostra intelligenza e alla nostra sequela, lo ripeto, non si tratta di un’astrazione quasi neoplatonica e neognostica con cui e da cui divorziare dalla realtà in quanto tale ma, riscoprendo la misura dell’infinito nei nostri cuori, ecco che tutto acquisisce nel rapporto con le cose di questo mondo un gradiente, un valore radicalmente diverso che ci chiama a responsabilità e a attenzione nella consapevolezza sapienziale. Qoèlet ce lo ha detto, che tutto è vanità, fratelli e sorelle, dove questa parola in ebraico è detta quasi facendo sibilare il soffio di una inconsistenza che nessuna mano può fermare, come nessuna mano può trattenere il vento, lo può fermare, così è della ricchezza quando la assolutizziamo indebitamente e crediamo di risolvere il problema, come ci illumina il Vangelo, costruendo magazzini più ampi e in questa presunta sicurezza, in questa assurda polizza assicurativa, come abbiamo letto, alienarci dalla realtà, ritenerci noi perché abbiamo un essere assoluto. Capite quale gigantesca mistificante idolatria di noi stessi? Capite che cattivo umanesimo?

Capite come questa parola esorti tutti e direi soprattutto chi ha custodia della polis ad una responsabilità nei gesti, ad uno stile di civiltà, di educazione, di rispetto, di discrezione, di misura che troppe volte non vediamo nelle cronache della nostra triste politica italiana. Va detto con chiarezza e lo dico volentieri, perché oggi ricordiamo una figura politica, al di là dei colori, non si tratta di colori, si tratta di un appello universale alla luce di questa parola, fratelli e sorelle, non mi cucite valutazioni che non do, non voglio scivolare nel contingente, il mio discorso ha la pretesa di essere, lasciatemelo dire una volta tanto, alto, perché la posta in gioco è altissima, non è tanto la nostra certezza di sopravvivenza ma è il bene, il buono, il giusto e il vero per chi verrà dopo di noi, per chi sfoglierà le pagine dei nostri quotidiani di questi giorni. Sapranno riconoscerci i tratti di una storia e in un orizzonte credente ci interpelleranno e ci chiederanno a distanza, magari davanti alle nostre tombe, siamo stati o non siamo stati collaboratori, pur avendo accanto al nostro nome una croce nella nostra lapide, di una storia di salvezza, di una storia di giustizia, di una storia di bellezza? O ci siamo tappati gli occhi, le orecchie, e abbiamo ritenuto misura quello che misura non è e non ha.

Il quesito credo debba assillarci fratelli e sorelle e ripeto portarlo in un orizzonte che ha il respiro di questa parola , un orizzonte universale; il Signore Gesù non si lega a nessun colore, a nessuna ideologia, a nessun partito, a nessuna fazione, ci mancherebbe altro, ma proprio per questo mette nel nostro cuore un pungolo e richiama a una misura forte che nella nostra città ha il vantaggio nella nostra coscienza, ma anche ma alla fine per noi anche inquietante responsabilità, di una misura artistica da tutelare, da valorizzare, da reinventare, dove ancora una volta il responsabile della polis non potrà scegliere come esclusiva misura il profitto, ma un linguaggio universale che riporti l’uomo a sé stesso e noi, come testimoni del Vangelo di Cristo all’infinito che l’uomo ritrova in se stesso e all’infinito di quel pros ton theon , nascosti con Cristo nel mistero di Dio, fratelli e sorelle, come dire l’uomo ha una ecologia irriducibile, anche se non prescindibile, a quella di questa natura così maltrattata dalla nostra brama di possedere, ma una ecologia dello Spirito, una ecologia trinitaria, gli spazi infiniti della relazione di Dio come vero luogo di destinazione della nostra vita e del cosmo intero.

Ecco queste prospettive ce le diciamo per non leggere in un morale insostenibile, quasi risibile, un Vangelo di questo tipo, come se il Signore ci chiedesse, anzitutto a noi uomini di Chiesa, di essere poveri quando poveri non lo siamo, vorrei dire in questo nostro occidente europeo non lo possiamo essere dove semmai la povertà diventa vaccino a quella miseria che canta come beatitudine la povertà dello spirito di chi ha costruito queste pietre mille anni fa, nella umile, limpida e non per questo meno appassionata consapevolezza che nemmeno i loro figli, ma neanche i figli dei loro figli avrebbero mai visto compiuta questa Basilica, due secoli sono stati necessari, e questo non ha tolto un’oncia di entusiasmo, di passione, di gratuità, di libertà, di attenzione, di cura a chi ha iniziato a costruire San Miniato dalle fondamenta due secoli fa.

Che questa prospettiva, per l’appunto lungimirante, dove la ricchezza non può che essere a questo punto l’esserci davanti all’assoluto di Dio, torni ad ispirare potentemente i nostri cuori e il nostro agire dentro e fuori la polis. Amen!

Trascrizione a cura di Grazia Collini

Fotografia di Callaghan O’Hare (El Paso, Texas 2019)

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