«In quarantena, ma senza sotterrare i talenti della vita». Omelia del padre abate Bernardo per la XXXIII Domenica del Tempo Ordinario

«In quarantena, ma senza sotterrare i talenti della vita». Omelia del padre abate Bernardo per la XXXIII Domenica del Tempo Ordinario

Meditazioni

15 Novembre 2020 – XXXIII Domenica  del Tempo Ordinario

Dal libro dei Proverbi

Una donna forte chi potrà trovarla?
Ben superiore alle perle è il suo valore.
In lei confida il cuore del marito
e non verrà a mancargli il profitto.
Gli dà felicità e non dispiacere
per tutti i giorni della sua vita.
Si procura lana e lino
e li lavora volentieri con le mani.
Stende la sua mano alla conocchia
e le sue dita tengono il fuso.
Apre le sue palme al misero,
stende la mano al povero.
Illusorio è il fascino e fugace la bellezza,
ma la donna che teme Dio è da lodare.
Siatele riconoscenti per il frutto delle sue mani
e le sue opere la lodino alle porte della città.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicesi

Riguardo ai tempi e ai momenti, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriva; infatti sapete bene che il giorno del Signore verrà come un ladro di notte. E quando la gente dirà: «C’è pace e sicurezza!», allora d’improvviso la rovina li colpirà, come le doglie una donna incinta; e non potranno sfuggire.
Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre, cosicché quel giorno possa sorprendervi come un ladro. Infatti siete tutti figli della luce e figli del giorno; noi non apparteniamo alla notte, né alle tenebre.
Non dormiamo dunque come gli altri, ma vigiliamo e siamo sobri.

Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì.
Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.
Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro.
Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”.
Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”».

Omelia:

Cari fratelli e sorelle, verrebbe quasi da percepire necessaria l’adattabilità di questa parabola alla situazione presente che stiamo vivendo, in fondo proprio la forma parabolica ci permette una continua, incessante reinterpretazione di queste pagine evangeliche, la forma parabolica dice e non dice, apre cioè un contorno chiaroscurale a quello che il Signore Gesù vuole lasciarci intendere, un chiaroscuro prezioso che ci permette continui colpi di luce nel discernimento in cui il tempo presente, la situazione storica attuale, obbliga ad una specifica fruizione di questa stessa parola.

E dunque un colpo di coraggio questo, che potrebbe essere alla fine molto più comodo contentarsi di una interpretazione generica della stessa parabola, una indicazione facilmente avvertibile anche ad una prima lettura, l’impegno a far fruttificare i doni che abbiamo e non nasconderli sotto terra, ci troviamo tutti d’accordo così.

Però devo dirvi che, riascoltando questo Vangelo, sento che la nostra vita può assomigliare al rischio che corre l’esistenza di quel qualcuno che ha ricevuto secondo la propria possibilità un solo talento.

Perché anche questo dovrà subito esser detto, questo padrone consegna una quantità diversa di talenti a ciascuno dei suoi interlocutori in base alle sue capacità, quindi noi riceviamo tanto quanto corrisponde al nostro essere, alle nostre capacità, alla nostra creatività, il dono non solo svela i tratti di colui che ce lo porge, ma dice qualcosa anche di noi stessi, vorrei anzitutto farvi riflettere su questo aspetto, il dono rivelativo del cuore, dell’intelligenza di chi ci comunica sé stesso attraverso il dono che ci fa, ma il dono dice anche moltissimo di quello che noi siamo, nel cuore di colui che ce lo porge.

Il dono diventa così rivelativo di un mistero che traccia così una relazione di più profonda verità, qualità, inerenza e se come giustamente interpretava il grande Ireneo di Lione, in secoli molto lontani, dietro il talento noi dobbiamo ravvisare il simbolo della vita stessa, noi comprendiamo che il dono della vita, l’esserci, fratelli e sorelle, l’esserci, dice tantissimo di Dio che ci dona la sua stessa vita, il suo stesso esserci, ma dice anche tantissimo di quello che noi, grazie alla stessa vita, non solo siamo per Dio, ma possiamo e dobbiamo diventare per Dio.

In questa prospettiva comprendete perché sia davvero necessario far fruttare il talento, far fruttare la vita, perché è uno scambio dinamico, è una reciprocità in crescita, progressiva, inarrestabile.

E’ un Vangelo fratelli e sorelle di speranza, di fiducia, di costruzione, di rischio, di avventura e la gioia finale è sempre grande sia per colui che è partito dai cinque talenti, sia per colui che ne ha ricevuti due, non c’è differenza, la differenza invece tragica quando, per paura, colui che ha ricevuto un solo talento lo ha nascosto sottoterra.

Ecco, mi viene da adattare questa parabola alla situazione presente, come vi dicevo, il rischio sociale e culturale che stiamo attraversando, penso soprattutto alle ultime generazioni, al dono meraviglioso dei nostri ragazzi, è il rischio di far passare in loro l’idea che questa loro esistenza, segnata da questi mesi di pandemia, possa corrispondere a un solo talento, a una vita dimezzata, impoverita, defraudata,  ingannato, una vita da interpretare come non-dono ma esperienza di paura, di rischio, nel senso tragico che è leggibile nella necessità medicalmente comprensibile, igienicamente raccomandabile della mascherina, della purificazione, dell’igienizzazione, ma noi siamo volti che vogliono essere liberi, aperti, leggibili, via la maschera, via il gel, via la quarantena, via il rischio, via il nascondimento, via la paura.

Ecco che vorrei piegare questo Vangelo perché nessuno di noi si rinchiuda nelle nostre case, nelle proprie case, facendo un po’ come questo ultimo servo, limitandosi a una lettura del dono nel senso della paura, e come tale facendo che l’estremo orizzonte di quel dono da progressione dinamica ed infinita se pur rischiosa, diventi la parete chiusa, oscura delle nostre angosce, delle nostre apprensioni, condannandoci in prima persona ad una lettura squalificante della nostra vita, come se non fosse possibile o, per noi più grandi, non fosse più possibile, pensarla che come dono aperto all’infinito, con tutti i rischi del caso ma, insindacabilmente aperta all’infinito, quando invece adesso dobbiamo, per forza di cose nasconderci, difenderci, “sotterrarci”.

Per questo il vostro esser qui stasera, e devo dire anche in gran numero, è un segno di responsabile irresponsabilità, se così posso dire, che vi onora.

So che siete qui dopo aver fatto tutto quello che si deve fare per essere qui, senza mettere in pericolo sé stessi e gli altri, ma è un gesto coraggioso, lucido, profetico, è anche se si vuole una protesta, prima ancora contro il virus, cioè contro questa minaccia  alla nostra vita, ma è anche una protesta contro una ideologia della pace e della sicurezza che come avete ascoltato molto bene nella lettura paolina, sono le parole chiave che annunciano invece l’arrivo sconvolgente del giorno del Signore. Perché il Signore non è un Dio delle rassicurazioni, non è un Dio della quiete, della tranquillità, del tutto ordinato, misurato, prevedibile, niente di tutto questo.

Quando anzi dovremo pensare che il nostro stare insieme si debba condannare a questa quiescenza di una certa idea di pace, di una certa idea di sicurezza, questo pungolo escatologico dell’arrivo dal futuro del giorno del Signore viene davvero a incrinare le nostre certezze, a restituire la condizione di friabilità e di fragilità dei nostri giorni, delle nostre previsioni, delle nostre statistiche, delle nostre certezze.

Ma per fortuna! Così coniamo davvero come ripeto la dimensione dinamica, lievitante, fermentosa –non so se esiste, ormai ha fatto fortuna chi ha inventato petaloso, potrò farla io inventando fermentoso- del talento.

Il talento diversamente dal lievito deve circolare, ma la logica è la stessa, identica logica, il Regno è qualcosa che cresce su sé stesso, si trasforma, muore in sé stesso per rigenerarsi e chiede di fare altrettanto a ciascuno di noi. E’ inquietante tutto questo. Sì è inquietante, ma d’altra parte noi crediamo in un Dio che afferma la sua forza di amore nella morte crocifissa, e non lo fa perché è un Dio sadomaso, è  un Dio che include tutto in sé della nostra esistenza, per questo ci piace, per questo ci persuade, per questo noi attraversiamo così integralmente la sua parola, perché sa parlare di amore e di morte, di sangue e di speranza, di gioia e di tristezza e non lo fa attraverso caselle morali dove tutto torna, ma lo fa costringendoci davvero a tempeste in cui tutto si capovolge, ma alla fine in questo capovolgimento la grande grazia è sentirci tratti in salvo da un amore più grande delle nostre certezze e delle nostre previsioni, ci chiede questa grande crescita che trasforma la paura in questo intrepido investimento nel futuro.

Del resto avrete pure notato che il confronto con il quale Paolo parla delle doglie che arriveranno quando qualcuno vi racconta della pace, della sicurezza, sono i dolori di colei che è partoriente, quindi vedete come è nel nostro registro il Vangelo, un’idea che ogni dolore, ogni sofferenza, ce lo dice anche il grande Cristo coraggiosamente gravido nel nostro mosaico, è per una vita nuova, è per una trasformazione in crescita.

Per questo dovremo trascorrere questi giorni di quarantena, chissà se magari la prossima domenica vi sarà altrettanto possibile essere qui, ma non dimenticate che il vostro stare chiusi in casa mai deve configurarsi a quella staticità inerte, refrattaria dell’unico talento nascosto per paura di colui che riesce a mietere anche dove non si è seminato, perché questo il Vangelo ci insegna a divenire, questo il Vangelo ci insegna a crescere, diventare capaci come Dio di mietere anche dove non si è seminato, in altre parole a rendere possibile l’impossibile, questa è la forza pasquale che il Vangelo di Cristo ci insegna e ce lo dice oggi, stasera, all’inizio di questo tempo di quarantena, e ci riporta alla quaresima della scorsa primavera.

Ecco abbiate in voi la consapevolezza, la forza, la fantasia, il coraggio, l’originalità e la creatività di prepararvi ad un Natale pasquale in cui, anche grazie a questo sofferto nascondimento, diventerete capaci di mietere anche là dove non ci è stato possibile seminare.

E questo è l’augurio che facciamo con grande forza soprattutto ai giovani, questa loro esistenza che si affaccia all’assoluto, alla libertà di tutto e da tutti, tipica della loro giovane età eppure ferita da queste parole orribili come quarantena, lockdown, pandemia, chi ne ha di più ne metta, ma noi a loro auguriamo questa possibilità intrepida di credere al loro sogno, alla loro possibilità di raccogliere anche dove non si è, e dove non hanno potuto seminare.

Ecco, il nostro credere a Cristo ci porta a questa libertà, fratelli e sorelle, a questa libertà profetica di cui è prezioso segno, oso dire prezioso martirio, anche il vostro essere qui stasera. Amen!

Trascrizione a cura di Grazia Collini

La foto è è stata scattata a Giacarta il 26 aprile 2020 da Muhammad Adimaja

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