«Il mondo è divenuto così opaco o siamo noi che non abbiamo più volto?» L’interrogativo di Margherita Guidacci e una meditazione del padre abate Bernardo in tempo di pandemia

«Il mondo è divenuto così opaco o siamo noi che non abbiamo più volto?» L’interrogativo di Margherita Guidacci e una meditazione del padre abate Bernardo in tempo di pandemia

Meditazioni

«Allora Gesù, fissato lo sguardo su di lui, lo amò», questo accadde, secondo il Vangelo di Marco, all’uomo ricco in cerca di nuove risposte e anche noi, secoli dopo, siamo quasi raggiunti dalla luce sprigionata dalle pupille del Cristo, uno sguardo che fa della libertà e dell’invisibile la concreta esperienza dell’amore che interroga, che incoraggia e che seduce non per conquistare, ma per liberare. «Ubi amor, ibi oculus», dirà molto più tardi il mistico medioevale Riccardo di San Vittore per ricordarci come generati dall’amore siano solo gli occhi capaci di cura, di attenzione, di profonda empatia. Sono questi gli amorosi sguardi che dovrebbe averci insegnato, in questi interminabili mesi di sofferta pandemia, il necessario ricorso alle mascherine. Minacciati dal morbo, sballottati dalle onde delle incontrollabili espansioni e contrazioni del contagio, esposti alla fobia di respirare spore letali, la mascherina è ormai l’irrinunciabile diga che argina il rischio di morire e di far morire riducendo, però, la forza espressiva del nostro comunicare attraverso tutti quei dinamici dettagli muscolari che auspicabilmente fanno del nostro volto un libro aperto alle attese, alle speranze e alla sete di relazione dell’altra o dell’altro posto di fronte a me. Abbiamo quasi dimenticato cosa significhi potenziare il nostro ascolto osservando la danza più o meno ritmata delle altrui labbra, abbiamo quasi dimenticato cosa generi nel nostro cuore accarezzare con lo sguardo guance solcate da stille di sofferenza o di commozione, abbiamo quasi dimenticato cosa ci rappresenti il candore di un sorriso che sa trasformare i necessari strumenti della nostra masticazione nella luce di una simpatia che nasce o si rafforza e nella catartica risata che con la gioia accolta o donata attenua angoscia e tristezza. Di contro al bagliore fittizio perché riflesso dagli smalti artificiali di idoli sofisticati, di contro all’ombra oscura di vergogna nella quale si nasconde Adamo dopo il suo peccato segnalandoci così l’inizio della rottura di quella intima reciprocità di sguardi fra Dio e l’uomo, la bellezza pasquale che promana dal Vangelo rivela come l’incarnazione del Signore Gesù ci autorizzi ad immaginare l’integrità dei nostri volti come uno specchio capace di irradiare la luce che viene dall’alto in una dinamica di consolante e inarrestabile assimilazione della nostra fragile e malferma creaturalità all’assolutamente assoluto di Dio: «E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore». Così afferma l’autorevole parola di san Paolo ai Corinzi che riecheggia nell’audace e immaginifica intuizione di un misterioso autore dell’Oriente cristiano, lo pseudo Macario: «il cuore purificato arriva infatti a cogliere la presenza di Dio in ogni cosa perché la sua anima, resa degna di aver parte allo Spirito, fonte della sua luce, e illuminata dalla bellezza dell’ineffabile gloria del Signore… è divenuta tutta luce, tutta volto, tutta occhio; non vi è in essa parte alcuna che non sia ricolma degli occhi spirituali della luce, cioè non vi è in essa nulla di tenebroso, ma è trasformata tutta intera in luce e spirito ed è tutta colma di occhi; non ha alcuna parte posteriore o che stia a tergo, ma è volto in ogni lato, poiché su di essa è assisa l’ineffabile bellezza della luminosa gloria di Cristo». Ci permettiamo di condividere questi vertici della spiritualità antica per sprigionare ogni residua speranza riposta nel cuore di tutte e tutti, una speranza certo estenuata da mesi di reclusione, in cui essa pure si è scoperta ostaggio delle nostre mascherine, delle nostre distanze, delle nostre paure. Un cuore, un’anima, misteriosamente divenuta «tutta luce, tutta volto, tutta occhio» mi sembra la grande e lucida risposta che la nostra intelligenza, anche da angolature e interpretazioni culturali diverse, può escogitare per fare di questi nostri sguardi, sempre più soffocati da ingombranti dispositivi di immunità, un ritrovato spazio di libertà e di coraggio con cui propiziare un felice approdo all’indispensabile desiderio di esodo verso la promessa di terre ed esperienze finalmente sottratte ad ogni costrizione e paura. In forza della creatività fisiognomica innescata dal tanto che la maschera impedisce di verificare alla nostra memoria e alla nostra visione, la fantasia con cui molto spesso immaginiamo o ricordiamo volti ancora più belli della loro vera bellezza, potrà forse essere la risposta più vitale all’inquieta alternativa che la fede pensosa di Margherita Guidacci, chiaroveggente sibilla dalle sillabe illuminanti, aveva proposto, ormai diversi anni fa, alla nostra coscienza e alla sua decisione: Per noi nessuno specchio / fedele o deformante. / Non esistono pozze d’acqua tremula / né vetrine per un furtivo sguardo. // Sconfitto è il gnòthi seautón / dall’assoluta mancanza d’immagini. / Grigiore di muri, d’asfalto, / di nebbie compatte. // Tagliati fuori dalla conoscenza / solo dell’ignoranza ormai cerchiamo la chiave. / Il mondo è divenuto così opaco / o siamo noi che non abbiamo più volto?

padre Bernardo

La riflessione è stata pubblicata dal Corriere Fiorentino il 16 marzo 2021

La fotografia è  stata scattata in Kenya da Baz Ratner nel luglio 2020

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