«Giorni brevi di crinale, fra essere e non essere». Omelia del padre abate Bernardo per la III Domenica del Tempo Ordinario

«Giorni brevi di crinale, fra essere e non essere». Omelia del padre abate Bernardo per la III Domenica del Tempo Ordinario

Omelie e meditazioni

Fotografia di Mariangela Montanari

«Giorni brevi di crinale, fra essere e non essere». Omelia del padre abate Bernardo
Dal libro del profeta Giona Fu rivolta a Giona questa parola del Signore: «Àlzati, va’ a Nìnive, la grande città, e annuncia loro quanto ti dico». Giona si alzò e andò a Nìnive secondo la parola del Signore. Nìnive era una città molto grande, larga tre giornate di cammino. Giona cominciò a percorrere la città per un giorno di cammino e predicava: «Ancora quaranta giorni e Nìnive sarà distrutta». I cittadini di Nìnive credettero a Dio e bandirono un digiuno, vestirono il sacco, grandi e piccoli. Dio vide le loro opere, che cioè si erano convertiti dalla loro condotta malvagia, e Dio si ravvide riguardo al male che aveva minacciato di fare loro e non lo fece.
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi Questo vi dico, fratelli: il tempo si è fatto breve; d’ora innanzi, quelli che hanno moglie, vivano come se non l’avessero; quelli che piangono, come se non piangessero; quelli che gioiscono, come se non gioissero; quelli che comprano, come se non possedessero; quelli che usano i beni del mondo, come se non li usassero pienamente: passa infatti la figura di questo mondo!
Dal Vangelo secondo Marco Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo». Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini». E subito lasciarono le reti e lo seguirono. Andando un poco oltre, vide Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, mentre anch’essi nella barca riparavano le reti. E subito li chiamò. Ed essi lasciarono il loro padre Zebedèo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui.
Omelia:
Fratelli e sorelle, a noi così giustamente attaccati alla vita, a noi che il Signore ha dato il singolare, credo oggettivo privilegio, di vivere in una porzione del pianeta dove è fortissima l’eloquenza della storia, attraverso una memoria che raccoglie e classifica un patrimonio di bellezza che racconta di intrecci di culture, di civiltà, di possibilità nuove e inedite con cui il genio umano si è misurato per arricchire di nuove articolazioni e possibilità, l’idea stessa della bellezza, a noi tutto questo ha il singolare dono di renderci uomini e donne della storia, di una storia, di un tempo che stagiona le nostre esistenze, per disporle ad una creatività ancora oggi, nonostante tutto, mossa e rapida nel sapere intuire nuove possibilità con cui genialmente disegnare nuovi tracciati di futuro, arricchendo la consapevolezza di una storia che nel migliore dei casi mai vuole contrarsi in mera memoria, ma aprirsi, con una speranza il più possibile condivisibile a nuove possibilità dell’ingegno.
Eppure oggi il Vangelo, fratelli e sorelle, ci chiede per un attimo di astrarci da tutto quello che giustamente si chiama il patrimonio, quello cioè che è ereditato -il linguaggio non rende giustizia alla pur imprescindibile femminilità del nostro genio- che è ereditato dai padri, patrimonio appunto e ci chiede invece di avere una consapevolezza diversa del tempo, una consapevolezza in realtà scomoda e comoda allo stesso tempo, parlandoci di un tempo compiuto, di un regno nuovo inaugurato, ricordandoci che “passa la figura di questo mondo”.
La liturgia della parola di oggi ci chiede lo scomodo di congedarci da questo patrimonio, di guardarlo con una pupilla di relatività che non lo assolutizza; è vero che in effetti le mille incurie cui spesso, noi per primi, sottoponiamo quel patrimonio e gli innumerevoli accidenti che il tempo procura a quello stesso patrimonio, inevitabilmente addestra il nostro cuore a non assolutizzare quello che ci precede, fosse anche la bellezza che pare eterna dell’Anfiteatro Flavio o di altri mirabili monumenti che fanno così ricca e bella la nostra Italia. Ma “passa la figura di questo mondo”, dice con grande chiarezza Paolo, e nello stesso tempo il Signore Gesù non nasconde a coloro che si dispongono a seguirlo, come di fatto “il tempo si sia compiuto” e si entri in una dimensione nuova, non misurabile dagli annali con cui registriamo le cose belle e meno belle, con cui ci vantiamo in un dato giorno di aver conseguito quel risultato, quel successo, inaugurando quella o quell’altra costruzione della nostra ingegnosità.
“Il tempo è compiuto”, dice il Signore Gesù.
E questo può diventare in realtà, già l’ho detto, un versante di comodità, di deresponsabilizzazione in ordine, non solo alla custodia di quel patrimonio, che potremmo liquidare come compito inutile visto che “passa la figura di questo mondo” ma, essere una deresponsabilizzazione ancora più pericolosa e forviante, quella cioè di sollevarci dal grande scenario pur fragile della storia, dove in realtà sentiamo che la nostra intelligenza è chiamata e convocata insieme ad altre intelligenze per prenderci cura di questa nostra storia, per prenderci cura di questi nostri spazi, per assicurare alle generazioni che verranno possibilmente un futuro migliore del presente che viviamo.
E’ una inquietudine che non possiamo neppur sognare di dismettere dal nostro cuore, in nome di una pur necessaria ed evangelica consapevolezza di “come passi la figura di questo mondo” e di “come il tempo sia compiuto”.
Questo non può assolutamente togliere dal nostro cuore, dalla nostra intelligenza, il pungolo inquieto ed appassionante con cui vogliamo che questa nostra terra sia sempre di più abitabile, per noi e per coloro che verranno, dove naturalmente la declinazione ecologica delle mie parole, non va circoscritta esclusivamente ad una significazione di carattere ambientale, ma in un senso molto più esteso, vasto, abitabilità significa patire ogni ingiustizia, soffrire per ogni effettiva lesa maestà di quella dignità insopprimibile di ogni vivente, significa cioè soffrire per tutto quello che condiziona nel male la sopravvivenza alta, libera e qualificante della vita umana e possibilmente della vita di tutto il creato.
Eppure il Vangelo con chiarezza ci dice che “il tempo è compiuto”, Paolo ricorda come “passi la figura di questo mondo”.
Allora voi capite come la sequela che il Signore Gesù, guardando, osservando coloro che incontra -avete fatto caso a questi due verbi che hanno a che fare con la visione? Illumina i nostri occhi abbiamo cantato all’inizio di questa celebrazione- sia uno sguardo che proponga un percorso perché il Signore Gesù viene per essere seguito da qualcuno, viene perché effettivamente la presenza nella storia di un amore che qualifica la nostra umanità, che l’addestra, la sottopone, per così dire, ad una tensione in cui è effettivamente bandita ogni stasi, ogni quiescienza, ogni rassegnazione, ogni consuetudine data per scontata una volta per sempre, questo è il senso, come voi intendete bene della sequela del Signore Gesù, non si tratta di girare su e giù per la Galilea, osservando quello che il Signore fa, si tratta davvero di un percorso simbolico che riguarda la mia, la nostra esistenza dietro il Signore Gesù dove la geografia diventa effettivamente espressione simbolica di un percorso che tutti noi vogliamo e dobbiamo compiere.
E tuttavia il Vangelo ci dice che “il tempo è compiuto” e che “passa la figura di questo mondo”.
Come possiamo pensare di programmare una sequela laddove il tempo è finito, laddove lo spazio assume con consapevolezza nuova questa dimensione provvisoria, impalpabile, dinamicamente irrefrenabile?
Ecco, fratelli e sorelle, questo potremmo dire -almeno lo è per la mia piccola e povera meditazione domenicale- il problema che oggi il Vangelo ci pone ed è un problema per me estremamente affascinante, qui davvero ci sentiamo tutti pungolati dal Vangelo, perché la Messa e la Chiesa, diciamolo con grande chiarezza, per noi non è mai esperienza di quiescienza, non è mai rassicurazione, non veniamo in chiesa per firmare sull’altare una polizza di assicurazione, questo voi lo sapete bene, se no non vi scomodereste a venire in collina per venire alla Messa, non vi sottoporreste a lunghe liturgie e soprattutto a meditazioni un pò contorte che i monaci di San Miniato vi propongono, ma ce le proponiamo a vicenda, perché sentiamo con forza che la Chiesa, le Chiese, sono lo spazio prima che della risposta, della domanda, dell’inquietudine, dell’insofferenza, del non appagamento che altri idoli propongono con le loro rassicurazioni smaltate alla nostra intelligenza, perché prendiamo sul serio il problema della sofferenza, il problema della morte, il problema di tutto quello che minaccia il sopravvivere coeso, libero e spiegato del nostro cuore e dei suoi più alti desideri, e anzi, la tensione profetica del Vangelo ci allena a contemplare, certo la bellezza del patrimonio, ma a ricordarci con Gesù che del tempio di Gerusalemme non resta pietra su pietra e che dunque dobbiamo disporre la nostra attenzione soprattutto al futuro, a quello che verrà, per cui siamo davvero tutti noi, credo, delle insonni sentinelle appassionate di futuro.
E questa passione non basta a dispensarci dal timore del futuro, anche noi lo confessiamo, pur inscrivendo la nostra storia in un orizzonte di amore, questa è la grande differenza, noi non per questo ci sentiamo dispensati da un timore che alberga nel nostro cuore: dove andiamo? Dove ci porta il Signore Gesù? Che tipo di itinerario propone ai nostri passi? E’ un itinerario rassicurante? E’ un itinerario che afferma solo e soltanto la nostra esistenza o non vuole il Signore Gesù, dicendoci che “il tempo è compiuto” “che passa la scena di questo mondo”, non vuole forse portarci davvero al limite della nostra condizione umana, non vuole portarci in sentieri che rasenteranno e forse addirittura varcheranno i tenui confini dell’essere?
Ecco, io credo che questo è il Signore Gesù , un uomo che ci porta a scoprire la divinità proprio ai confini dell’essere e a indurci il coraggio per valicare quei confini, certo col rischio che si precipiti nel non-essere, come no? E’ ovvio questo. Ma siamo accesi da curiosità, da una nobile curiosità dello spirito, fidandoci dell’amore, noi siamo pronti a seguire il Signore anche laddove incontrerà e incontreremo con lui una scomoda e sconcertante dogana che lo conduce oltre il non-essere, è quella dogana che iniziamo a intravedere dopo il calore delle celebrazione natalizie; fin dal giorno di Epifania non ho mancato di ricordarvim di ricordarcim come tutto in realtà si faccia cuneo persistente e fosco verso il grande mistero che compie, esaurendolo, il Natale stesso e cioè il mistero pasquale e questo lo dico, sia chiaro, non per spaventare nessuno, fratelli e sorelle, ma per dirci tutti insieme coraggio, seguiamo il Signore Gesù, non temiamo di giungere con lui alla dogana dove finisce l’essere e inizia il non-essere e dove effettivamente, con la consapevolezza che questo tempo non basta per contenere tutto l’essere, tutto questo spazio e la figura di questo mondo non basta per contenere tutto questo essere, allora dobbiamo fidarci del Signore Gesù, provare a valicare con lui non sappiamo come, non sappiamo quando, non sappiamo dove, perché questo pure il Signore Gesù dice, venite e vedrete, lo avete ascoltato domenica scorsa, non presenta come un tour operator il programma del viaggio, quale sia la mattina libera per gli acquisti, quale museo vedremo, quale chiesa visiteremo, no!
Il Signore Gesù non fa così, fratelli e sorelle, ci invita ad un percorso nebbioso, in penombra, davvero nell’ombra del nostro essere, ma questo riscalda i cuori, fratelli e sorelle, vuol dire che per Dio noi siamo persone libere e intelligenti, non siamo dei fantocci, non siamo dei burattini, per questo dovremmo espungere con grande attenzione e cura la parola fato, la parola destino, non sono parole evangeliche, sono parole che raccontano di una soggezione dell’uomo ad un primato che gli sta lontano, che non è amore, perché l’amore, se non libera, non è amore!
Per noi invece è importantissima proprio la parola sequela, la libertà di stare o non stare dietro le orme del Signore Gesù ed è anche un segno dell’amore la scelta della libertà che Dio stesso per primo fa, fra essere e non-essere, creando, ponendo altro davanti a sé, correndo il rischio che accadesse quello che di fatto è accaduto, cioè che l’uomo volgesse le spalle, nella sua libertà, a colui che lo ha generato.
Ma questa è davvero, fratelli e sorelle, l’etica reale, non mitologica della vicenda umana e noi ci vogliamo stare in questo gioco, anche se comporta, implica, come non può non comportare sofferenza distanza, paura, spesso il dramma del male che è un tutt’uno con la libertà, perché effettivamente se il male fosse solo e soltanto esito di un fato, di un destino, inevitabilmente scagionerebbe la nostra intelligenza, ma torneremmo ad essere solo e soltanto creature che si muovono per un istinto che non sollecita la nostra intelligenza, semplicemente la obbliga a fare quello che banalmente dobbiamo fare e non possiamo fare diversamente. Invece no!
La nostra è una grande avventura di libertà, inquietante, ma affascinante, ci vogliamo stare, fratelli e sorelle nella consapevolezza che è un crinale strettissimo dove far passare tutto il nostro essere, la profondità del nostro cuore, le innumerevoli varianti della nostra intelligenza, con la sua genialità e con la sua straordinaria mediocrità, ma vogliamo starci in questo crinale, stretti fra uno spazio in cui effettivamente “passa la scena di questo mondo” e stretti sull’altro versante da “un tempo che ormai è compiuto”.
Lo intuite, è un filo più che un crinale.
E tuttavia Gesù ci chiede di percorrere quel filo e nessuna autostrada rassicurante.
Che lo Spirito Santo, vento di luce, dia a tutti noi la forza, l’umiltà, la tenacia, l’intraprendenza di percorrere questo crinale ovunque ci porti, valicando anche il non-essere perché più forte del non-essere è l’amore di Dio.
Amen
Trascrizione a cura di Grazia Armonica Collini
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