Omelie

«Fra rami festanti di ulivi, orfani di risposte, ma allievi di Passione». Omelia del padre abate Bernardo per la Domenica delle Palme

Domenica 2 aprile 2023 – Domenica delle Palme

 

Dal libro del profeta Isaìa
Il Signore Dio mi ha dato una lingua da discepolo,
perché io sappia indirizzare
una parola allo sfiduciato.

Ogni mattina fa attento il mio orecchio
perché io ascolti come i discepoli.
Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio
e io non ho opposto resistenza,
non mi sono tirato indietro.

Ho presentato il mio dorso ai flagellatori,
le mie guance a coloro che mi strappavano la barba;
non ho sottratto la faccia
agli insulti e agli sputi.

Il Signore Dio mi assiste,
per questo non resto svergognato,
per questo rendo la mia faccia dura come pietra,
sapendo di non restare confuso.

 

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippési
Cristo Gesù,
pur essendo nella condizione di Dio,
non ritenne un privilegio
l’essere come Dio,
ma svuotò se stesso
assumendo una condizione di servo,
diventando simile agli uomini.
Dall’aspetto riconosciuto come uomo,
umiliò se stesso
facendosi obbediente fino alla morte
e a una morte di croce.

Per questo Dio lo esaltò
e gli donò il nome
che è al di sopra di ogni nome,
perché nel nome di Gesù
ogni ginocchio si pieghi
nei cieli, sulla terra e sotto terra,
e ogni lingua proclami:
«Gesù Cristo è Signore!»,
a gloria di Dio Padre.

 

Lettura della Passione di nostro Signore Gesù Cristo secondo Matteo

 

Omelia

 

Fratelli e sorelle, stupisce come la folla di Gerusalemme sia attraversata da una domanda e nello stesso tempo da una possibile risposta, la città presa da agitazione si domanda chi sia costui, colui che entra in essa, agitando i cuori, suscitando speranze, entusiasmo, passione, alimentando un tipico meccanismo della nostra psicologia, che dalle tenebre delle sue angosce e paure è portata a proiettare ogni aspirazione, talvolta ogni ambizione, nel volto rassicurante di colui che ci pare il carismatico messia che la provvidenza o il caso ci dona per delegargli la fatica del vivere, il travaglio del cambiamento, la possibilità dell’inedito.

Ed è così che la stessa folla risponde “questi è il Profeta Gesù da Nazareth di Galilea”.

Una risposta vera, ma di fatto insufficiente a qualificare chi sia veramente Gesù. E a pensarci bene anche l’affermazione culminante con cui si è chiusa questa proclamazione, seconda del Vangelo in questa liturgia, capace di riconoscere in Gesù il Figlio di Dio è comunque espressione che parte da una angolatura, da una prospettiva ancora umana, ancora incapace di cogliere fino in fondo la pregnanza, l’eccedenza, direi l’inqualificabilità dell’uomo Dio Gesù Cristo, offrendoci così un metro con il quale accostarci in realtà ad ogni persona, ad ogni vicenda umana che non può non interrogarci circa la sua più autentica e profonda sostanzialità, preservandoci da risposte sbrigative, affrettate, capaci di essere gemellabili con lo stesso meccanismo di proiezione, di esaltazione, o spesso al contrario di rimozione.

Come siamo superficiali fratelli e sorelle nell’incontro con l’altro!

Ben venga dunque soprattutto in questo tempo storico il lento procedere di questi giorni della settimana santa, ci si rallegra enormemente della vostra consistente presenza in questa liturgia, nonostante l’orario, nonostante la difficoltà a raggiungere la collina, ed è rincuorati da questa vostra partecipazione che, per sentimenti di prossimità e di amicizia, con viva cordialità osiamo suggerirvi di permanere in questa prospettiva di mistero, di domanda, di inquietudine, di crinale fra esaltazione e rimozione, proiezione e delusione, i sentimenti che attraversano Gerusalemme nei giorni della passione, morte e resurrezione del Signore Gesù, i sentimenti che in realtà costituiscono l’emotività inquieta, instabile, manipolabile di ogni città in ogni epoca, sentimenti che sono, nella loro parziale misurabilità e certa manipolabilità, appannaggio dei sondaggisti, di coloro che sono incaricati di prendere la temperatura, l’emotività, la direzione di questa nostra insoddisfazione.

Voi invece, fratelli e sorelle, non intendete affatto consegnare i vostri umori ai sondaggisti, e nemmeno dare troppa autorevolezza ai vostri umori, siete alla ricerca di una sorgente profonda che sta nel cuore della civitas, della nostra Gerusalemme, intesa come  specchio terrestre della città altissima nel suo scoprirsi ancora una volta, per misericordia divina, attraversata dalla parola profetica che scuote, che inquieta, che genera tumulto, che apre le nostre prospettive al giudizio, al discernimento, alla valutazione, ad una presa di posizione.

È bellissimo come questa settimana ci chieda di prendere posizione, scegliere da che parte stare e starci fino in fondo, costi quello che costi, non abbandonando il Signore nel trascolorare della sua signoria, nell’ammutolirsi della sua profezia, nella vicenda parabolica cui va incontro come profeta disarmato, destinato a subire il colpo e le percosse di armi che diventeranno il paradossale trofeo del suo percorso trionfale in questo capovolgimento parodico che renderà questi giorni il paradigma archetipale dei teatri medioevali, delle messe in scena che nelle strade della nostra città per secoli proveranno a restituire una performatività popolare a quanto noi oggi ascoltiamo, avendo intuito con lucida consapevolezza che quella di stamani fratelli e sorelle, è davvero scenografia e drammaturgia del teatro del mondo e della storia, così vanno le cose. Così vanno le cose sempre, quando sono in gioco le paure, le ambizioni, le proiezioni, l’interpretazione del potere, l’assimilazione al potere, il confondersi col potere, la delusione quando quel potere fallisce. Straordinario tutto questo ed è proprio la ragione della raccomandazione che torno a farvi: sostate in queste prospettive, fate almeno di questa settimana l’unica settimana dell’anno, i giorni in cui il tempo non lo misurate con i vostri orologi o i vostri cellulari, l’agenda degli impegni, ma con la scansione misteriosa del tempo liturgico, quello che promana dal futuro del Padre, che si riversa nel nostro indistinto tempo per diventare l’oggi, il kairos, l’occasione che apre una fessura di luce in questa non qualità di un tempo senza distinzioni, perché attraverso quel pertugio di luce la nostra vita ritrovi, non soltanto e forse sarebbe questa una pretesa fin troppo ambiziosa, il senso dell’eterno, il senso sacrale dell’eterno come con troppa magniloquenza noi diciamo, ma più semplicemente ed evangelicamente efficace riuscire a scorgere la tenue ma essenziale filigrana che svela il senso del nostro tempo, nel suo farsi, disfarsi, consumarsi, il tempo dove Gesù intende installare la sua regalità fino a consumarsi in questo tempo, fino ad essere immerso nella negazione del tempo simboleggiate, è evidente, dall’eclissi quando l’orologio del tempo, l’unico orologio del tempo, la meridiana non dà più alcuna indicazione oraria. Pensateci fratelli e sorelle. Ancora una volta torniamo a riflettere sul tema dell’eclissi, quell’oscurità che riporta la nostra realtà presuntuosa al caos, all’indistinto, ma che risveglia l’attesa di luce, il desiderio di luce, il nostro cessare di essere cospiratori nelle tenebre per diventare artefici di luce.

Questa è una prospettiva che è proprio il travaglio di questi giorni, compiuto lasciandoci ritmare dai grandi giorni liturgici di questa settimana, in modo particolare dall’accellerazione misterica del Triduo: giovedì, venerdì, il silenzio del sabato, l’aurora della notte che precede la Pasqua ed ad essa ci introduce fra sabato e domenica, sapranno restituire alla nostra consapevolezza, per giungere ad una risposta finalmente adeguata, qualificata, chi sia costui, chi è costui?

Tutta la liturgia della parola della settimana di passione è scossa una volta di più da questa domanda che è metodo prima di tutto fratelli e sorelle, sempre il punto di domanda preliminare e successivo a qualsiasi necessariamente parziale definizione con la quale tentiamo di ricacciare nella cornice delle nostre ambizioni e proiezioni il mistero dell’altro. E questa risposta risuona anch’essa sottoposta a parodia, a caricatura -ha detto di essere il Figlio di Dio, salvi sé stesso se lo è veramente-

Vedete come non basta aver colto il tema centrale che definisce il Signore Gesù per vivere fino in fondo la sua figliolanza, nemmeno basta in realtà a coloro che pure in quella morte riconoscono il prorompere di un mistero che, venendo dall’amore, sfasciando il corpo del Signore Gesù, ci suggerisce che tanta donazione apre ad altro, ma per cogliere veramente e integralmente cosa significhi qualificare Gesù come Figlio di Dio abbiamo bisogno di aspettare Pasqua, vivere -torno a dirlo- questa settimana in tutta la sua lenta movenza liturgica, lenta progressione misterica, per questo mi raccomando fratelli e sorelle, davvero, davvero, vivete questi giorni non sotto l’incubo di una forma moralistica, penitenziale, obbligante, precettistica, vivetela come una occasione preziosissima in cui il tempo subisce per grazia, per dono, un rallentarsi, un sedimentarsi, un fermentarsi, da cui emerga il dono della luce, come una nuova creazione, dal frammento dei nostri battesimi, quella veglia di Pasqua ci donerà una tenue luce sottoponendo al suo contrasto questa nostra faticosa storia, ci rivelerà in filigrana il senso del nostro esserci, l’aprirsi di un futuro indisponibile ai sondaggisti, cioè a questa forma moderna di indovini, negromanti e cartomanti a cui affidiamo, nella logica del potere, i condizionamenti in forza dei quali pensiamo così di poter sopravvivere, sempre nella logica del profitto, della parzialità del potere, dell’abuso di questa nostra vita che invece è dono, è gratuità, è leggerezza.

Per questo fratelli e sorelle abbandoniamoci esattamente a questa prospettiva qualificante della nostra realtà, perché è all’opera Dio, non altri, è all’opera Dio, il mistero di questo Padre indefinibile anch’esso, addirittura allo sguardo, al cuore, al pensiero del Signore Gesù, come si risolve –pensateci- questa pagina di Vangelo? La consapevolezza  filiale del Signore Gesù: -dove sei Padre? –perché mi hai abbandonato?

Straordinario fratelli e sorelle, vedete come il Signore si immerge anche nell’eclissi della sua figliolanza, nello spengersi provvisorio, temporaneo, contingente quanto si vuole, ma indubbiamente nel rarefarsi della sua relazione filiale, nel quadro di questa trinità slacciata, slacciata fratelli e sorelle e se è slacciata lo è soltanto perché vi possa entrare questo nostro drammatico essere uomini e donne orfani, orfani, orfani, questa è la condizione, lo dobbiamo dire, con umiltà, con timore, con tremore, con lucidità intelligente, avvertita e profetica la condizione della nostra umanità oggi è davvero orfana, non ha più un padre da invocare, non ha più una madre da cui sentirsi generata, salvo le nostre inevitabilmente ristrette relazioni biologiche, familiari quando tali possono avere la dignità di essere chiamate, ma oltre questo orizzonte strettamente domestico, dove è una paternità avvertibile come ragione dell’esistere universale? E questo dramma del nostro tempo è radicalmente assunto dal Signore Gesù, in questo riconoscersi in un abbandono che in realtà orfano non è, è la paradossale forma orante cui ci avvezza la parola biblica che in questi giorni di sedimentazione, di lentezza, potrà tornarvi familiare, insegnandovi come esista una sorta di –sono forti queste espressioni ma parlo alla vostra intelligenza- esista una sorta ateismo biblico che non significa cacciare ovviamente Dio dall’orizzonte della nostra esistenza, non significa trascinare la metafisica nel vissuto sofferto, cercante del popolo di Israele, significa riconoscere come la nostra umanità nella sua fragilità, nel suo domandare, nel suo cercare è ospitata, cercata, desiderata, messa a dimore, nella parola di Dio anche quando essa si fa silenzio. Ed è proprio questo passaggio, questa eclissi a suscitare mediante l’umiltà dell’ascolto, del ritrovato ascolto dei nostri cuori, quello che in quella veglia aurorale sentiremo finalmente come la parola di luce del creatore che chiamando le cose all’esistenza e finalmente chiamando ogni nostro nome ad una rinnovata esistenza, assimilerà tutto di noi a quelle stelle del Profeta Baruc che udendo l’appello del loro creatore, del nostro Dio creatore, altro non potranno fare che brillare ancor di più e dire con noi e per noi: -Eccoci!

Amen!

 

Trascrizione a cura di Grazia Collini

La fotografia è di Mariangela Montanari

 

 

 

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