«Escursionisti alati nelle regioni del vuoto». Omelia del padre abate Bernardo per la Domenica di Pentecoste

«Escursionisti alati nelle regioni del vuoto». Omelia del padre abate Bernardo per la Domenica di Pentecoste

Meditazioni

 

23 maggio 2021 – Domenica di Pentecoste

 

Dagli Atti degli Apostoli
Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi.
Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamìti; abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, della Frigia e della Panfìlia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, Romani qui residenti, Giudei e proséliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio».

 

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Gàlati
Fratelli, camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare il desiderio della carne. La carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste.
Ma se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete sotto la Legge. Del resto sono ben note le opere della carne: fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere. Riguardo a queste cose vi preavviso, come già ho detto: chi le compie non erediterà il regno di Dio. Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé; contro queste cose non c’è Legge.
Quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la carne con le sue passioni e i suoi desideri. Perciò se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito.

 

Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio.
Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».

 

Omelia:

 

Fratelli e sorelle carissimi, la solennità della Pentecoste ci obbliga, illuminati come siamo dall’unzione dello Spirito Santo ad acquisire una più profonda consapevolezza del nostro essere Chiesa, del nostro essere mistero di comunione, del nostro essere missione fino agli estremi confini della terra, una consapevolezza che ci riporta -lo avete ascoltato- a questa nuova genesi con la quale il Signore Gesù pensa sé stesso in rapporto ai suoi discepoli nel sorgere della sua missione della e nella nostra storia. Una nuova genesi, perché in effetti dobbiamo come immaginare una condensazione dello Spirito Santo che se nella prima genesi, all’inizio della creazione di tutte le cose, era come un vento che si distendeva su questo impasto originario delle cose che stavano per ricevere l’azione necessariamente divisiva del creatore per generare luce e oscurità, asciutto e bagnato e consentire così la nostra vita, la nuova genesi ci lascia immaginare un’azione dello Spirito Santo che ci vede ancora una volta raggiunti da una energia creativa con una differenza sostanziale: se allora il Signore Gesù preesisteva a tutte le cose, adesso è con noi, in mezzo a noi, generando un nuovo inizio che segnali potentemente il disegno di salvezza dell’amore del Padre, che sveli fino in fondo la sua misericordia rendendola, per così dire, operativa, che in un certo senso porti a pienezza di compimento tutto quello che era inscritto nel mistero all’inizio dei tempi perché, attraverso il suo essere Dio e uomo, ogni nostra esistenza, ogni nostra potenzialità, ogni nostro segreto, ogni nostro futuro, fosse leggibile nella pienezza della sua vita, nella pienezza della sua forza, nella pienezza del suo amore.

Una pienezza che tocca a noi adesso distendere per così dire, fino agli estremi confini del tempo e dello spazio, in una sorta -oso dire fratelli e sorelle- di misteriosa supplenza.

Egli se n’è andato. Il Signore Gesù ha lasciato la nostra terra, la nostra storia generando un misterioso vuoto, fratelli e sorelle.

Lo abbiamo contemplato domenica scorsa nell’Ascensione, lo abbiamo percepito nella sua nettezza quando il Signore Gesù ci ha chiaramente detto: “È’ bene per voi che io me ne vada altrimenti non può scendere su di voi lo Spirito“.

Fratelli e sorelle, questo ci obbliga a fare  i conti -per così dire- con un vuoto, con un’assenza, il nostro essere Chiesa, il nostro appartenere al Signore che è capo dell’unico corpo di cui noi siamo membra, segnala una relazione fortissima con Lui, segnala anche la possibilità, storicamente oggettiva, di fare esperienza della sua presenza –Matteo 25 è chiarissimo- nel segno della povertà, della nudità, della fame, della sete, di tutti coloro cioè nei quali ci è dato di vedere, sperimentare, la presenza reale del Signore, e non a caso sono segnali di fragilità, di assenza, di non pienezza: la fame, la sete, l’essere forestiero, l’essere povero, e poi questo vuoto storico, col quale e sul quale voglio riflettere con voi stamani, fratelli e sorelle,  assumendo fino in fondo –credo sia necessario farlo- la sfida di questo vuoto, senza il quale non ci sarebbe ragione di fede, non ci sarebbe esercizio di speranza, forse nemmeno di amore, perché in effetti così direttamente a contatto col corpo, fisicamente, storicamente presente del Signore Gesù, la nostra incapacità di amare sarebbe costantemente trasfigurata dal suo esserci, e invece noi dobbiamo fare i conti con questo vuoto, ci interroga, ci scuote, ci richiama all’urgenza di una testimonianza -perché negarlo- sempre più difficile e sofferta nella complessità del nostro presente, nelle sfide del nostro presente, nella urgenza così inquietante di un futuro i cui contorni ci sfuggono potentemente.

La tentazione è quella di rannicchiarsi nelle nostre piccole certezze nella convinzione, nella persuasione, che in realtà possiamo fare certezza su un pieno, che il Signore di fatto lascia come garanzia di una presenza: le strutture della Chiesa, necessarie sia ben chiaro, la gerarchia della Chiesa, necessaria sia ben chiaro, tutta l’azione liturgica, necessaria e decisiva, sia ben chiaro, per alimentare la nostra vita di fede.

Eppure il Signore Gesù ci parla di un vuoto, di un’assenza, e noi siamo invitati a prendere atto di questo vuoto e di quest’assenza.

Se ci stropicciamo gli occhi non è poi troppo difficile fratelli e sorelle, dove scorgiamo le tracce della presenza del Signore Gesù al di là di quella luce piena di amore con la quale il nostro occhio può e deve riconoscere la presenza del Signore Gesù nel povero, nel nudo, nell’assetato e nell’affamato?

Noi ci accorgiamo di una storia che porta con sé una potente distrazione dal mistero di Dio, una storia, tante culture, tante elaborazioni concettuali, spesso risposte ad oggettivi drammi e sfide del nostro presente che non possiamo liquidare con altezzosità giudicandole fallimentari solo e soltanto perché non hanno fede, noi ci dobbiamo misurare con questo vuoto, fratelli e sorelle, prendere appuntamento con questa assenza del Signore Gesù, senza la quale la nostra invocazione dello Spirito Santo sarebbe solo e soltanto, non voglio dire una formalità liturgica,  o peggio ancora devozionale, ma in un certo senso una istanza non abbastanza sofferta, non abbastanza necessaria, non abbastanza capace di prorompere da un cuore e da una intelligenza che vuole misurarsi con questo vuoto e questa assenza senza giudicare, ma al contrario, abitandoli, nella consapevolezza che la nostra missione di uomini e donne di fede come Chiesa è proprio questa, essere un riverbero di questo amore, laddove non ne scorgiamo il calore, essere un riflesso di quella luce laddove misuriamo una apparentemente invincibile oscurità, essere energia di speranza laddove dobbiamo fare i conti con la disperazione suscitata da eventi e pagine di storia che si ripetono con incalcolabile meccanicità e con la coerenza di dirci il fallimento della nostra consapevolezza e dignità umana, il fallimento delle nostre strutture umane, il fallimento, o per lo meno tantissima fragilità delle stesse strutture che, pur create dall’amore di Dio, con la loro intrinseca forza evolutiva o comunque di trasformazione vanno incontro a situazioni oggettive che generano male, sofferenza, sventure.

Alludo evidentemente a quei cataclismi naturali nella loro imponderabile e imprevedibile forza di morte, leggevo stamani anche se era un flash dell’Ansa leggibile alle 5 del mattino –io vi confesso che prima di scendere in coro sempre guardo l’agenzia di stampa Ansa, ho bisogno di scendere in coro sapendo cosa è successo di notte, e stamattina mi ha colpito, ed era una notizia significativamente decaduta fra le non notizie, che ci sono migliaia di persone nella Repubblica del Congo che stanno sfuggendo alla ennesima eruzione di uno dei più pericolosi vulcani del mondo e mi sono chiesto fratelli e sorelle come leggere la forza di fuoco di un vulcano nel quadro della festa liturgica della Pentecoste. Dov’è quel fuoco? Dov’è il nostro fuoco, dov’è la consolazione, dov’è quella fuga? Verso quale salvezza vanno quelle popolazioni?

E credetemi, la mia non è retorica emotiva, vengo con questo dubbio in mezzo a voi fratelli e sorelle, che non è un dubbio che attenua, sia ben chiaro, la mia fede, anzi! La rende ancora più accesa, più ardente, è  l’unica forza che ho per caricarmi sulle spalle -idealmente direte voi- certo idealmente, non faccio assolutamente niente di concreto, ma almeno idealmente sento che con questa povera mia fede mi carico sulle spalle qualcuno di questi profughi

E la grande domanda è veramente questa, fratelli e sorelle, osiamo riconoscere un vuoto in tutto questo? Io ce lo vedo un vuoto. Ma non mi rassegno a questo vuoto ed è proprio per questo che invoco con voi con ancora più forza l’energia dello Spirito Santo perché renda la mia,  la nostra Chiesa, esperienza credibile di amore, di speranza, di futuro, di conversione, di limpidezza e accanto alla nostra Chiesa, al nostro essere Chiesa, la missione suscitata da questa nuova genesi, rappresa intorno alla persona del Signore Gesù, Lui che condivide tutto con i suoi discepoli, lo avete ascoltato, che picco di intimità indicibile!
Il Padre, tutto quello che è mio è suo, tutto quello che è suo è mio, diventa nostro in questa condensazione che è la scaturigine della Chiesa, noi ne facciamo parte fratelli e sorelle, noi siamo, come dire, traiettorie lanciate da questa esplosione di amore e poi c’è tutto quello che sta oltre la Chiesa, per mille accidentalità umane, storiche, culturali, geografiche, e spesso ahinoi, anche per resistenze, disgusto, riprovazione, separazione di persone che noi abbiamo ferito, abbiamo scandalizzato, abbiamo intorpidito. Per loro esiste anche un vuoto e questo vuoto è pure necessariamente da colmare con l’energia dell’amore che promana dal Signore Gesù, per loro un supplemento di preghiera, di invocazione, perché la nostra conversione, la nostra testimonianza, la nostra missione, o comunque le vie che solo il Signore sa, restituiscano non ad una saturazione che idolatricamente sostituisca il vuoto con dei punti fermi -che poi fermi non sono- con degli stucchi, con delle, come dire, saturazioni o delle liofilizzazioni che in realtà non sono sufficienti a colmare questo vuoto.

Siano raggiunti da un amore che apre anche a loro il senso di un futuro, che apre anche a loro il gusto di una ricerca insonne della verità tutta intera, che strappi dalla sensazione di fare di quel vuoto l’assoluto che conferma la percezione di essere gettati in questa vita senza alcun senso, senza alcun fine, senza alcuna verità.

Come vedete la sfida è grandissima fratelli e sorelle e vi dico la verità, anche se proviamo a farcela con tutte le risorse che il Signore continua generosamente a garantire alla sua Chiesa anche nella sua dimensione empirica, istituzionale, gerarchica, quella rassicurante che ci auguriamo non scompaia mai dalla scena della storia per la quale almeno in Italia non manca un campanile che suona in ogni borgo, non manca un prete più o meno bravo, più o meno efficace, più o meno al passo dei tempi, possibilmente tutti santi, questo sì, che rassicura la sua gente, non manca, sono meno, ma insomma ancora ogni tanto, qualche monastero dove qualche folle di Dio prova a fare della sua ricerca di Dio un assoluto, apparentemente inutile ma come comprendete, fruttuoso in questo vuoto, nonostante tutto questo noi abbiamo la sensazione dal di dentro, non ve la nascondo, che stanno diminuendo le nostre energie, stanno diminuendo senz’altro le nostre forze numeriche. Il Cardinale l’altro giorno al Consiglio Presbiteriale ci ha fatto un resumé della varie statistiche eppure anche questa constatazione non è l’ultima parola, conferma almeno in parte la ragione per cui siamo qui stamani ad invocare lo Spirito Santo, perché il vuoto attraversa anche la Chiesa, vorrei dire con coraggio che il vuoto deve attraversare la Chiesa, altrimenti che lo invochiamo a fare lo Spirito Santo se non ne abbiamo intellettualmente, cerebralmente, numericamente, organizzativamente bisogno? Che lo invochiamo a fare?

Lo invochiamo perché sentiamo che senza la sua forza consolante che abbiamo, forse non a caso con qualche incertezza cantato prima, senza la sua energia dinamica, senza il suo essere amore che ci ama per metterci in cammino, la nostra storia parrebbe veramente giunta a riconoscere nel vuoto il suo drammatico approdo: fare della storia un appuntamento con un assurdo paradossale, sarcastico, cenotafio.

Non può essere così.

Noi cristiani abbiamo sperimentato l’energia dello Spirito in quello che non era un cenotafio, era un vero sepolcro per il vero cadavere del Signore Gesù e tuttavia si è reso sepolcro vuoto come appuntamento con una energia di amore più forte della morte, l’energia che ci sospinge tutti insieme per riconoscere, attraverso il vuoto, l’appuntamento con una presenza futura con la quale la pienezza dell’amore di Dio abbraccerà le nostre vite e asciugherà le nostre lacrime. Amen!

 

Trascrizione a cura di Grazia Collini

L’immagine: Mark Rothko – No. 5/No. 22 (1949- 1950)

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