Due omelie del padre abate Bernardo per il tempo della Natività del Signore

Due omelie del padre abate Bernardo per il tempo della Natività del Signore

Omelie e meditazioni

La fotografia è di Mariangela Montanari

«Quale vittoria per quale Natale?». Omelia per la Natività del Signore

25 Dicembre 2017 – Messa della mattina di Natale

Dal Vangelo secondo Giovanni
In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
Egli era, in principio, presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di lui
e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.
In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini;
la luce splende nelle tenebre
e le tenebre non l’hanno vinta.
Venne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone
per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce,
ma doveva dare testimonianza alla luce.
Veniva nel mondo la luce vera,
quella che illumina ogni uomo.
Era nel mondo
e il mondo è stato fatto per mezzo di lui;
eppure il mondo non lo ha riconosciuto.
Venne fra i suoi,
e i suoi non lo hanno accolto.
A quanti però lo hanno accolto
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
i quali, non da sangue
né da volere di carne
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.
E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi abbiamo contemplato la sua gloria,
gloria come del Figlio unigenito
che viene dal Padre,
pieno di grazia e di verità.
Giovanni gli dà testimonianza e proclama:
«Era di lui che io dissi:
Colui che viene dopo di me
è avanti a me,
perché era prima di me».
Dalla sua pienezza
noi tutti abbiamo ricevuto:
grazia su grazia.
Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè,
la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
Dio, nessuno lo ha mai visto:
il Figlio unigenito, che è Dio
ed è nel seno del Padre,
è lui che lo ha rivelato.

 

Omelia

Tutti i confini della terra hanno veduto la vittoria del nostro Dio, così Don Angelico ci ha fatto salmodiare, fratelli e sorelle, ma quale vittoria noi contempliamo in questo giorno del Natale? Possiamo davvero affermare che si è instaurata la potenza di Dio? Possiamo riconoscere che oggi di fatto tutta la creazione riconosce, contempla, ha esperienza del primato di Dio, contemplando la sua vittoria?

Noi dobbiamo riconoscere che anche nel nostro cuore, anzitutto nel nostro cuore, esistono coni d’ombra che raccontano di una eclissi con cui opponiamo alcune nostre istanze, alcuni nostri bisogni, alcune nostre presunzioni, all’affermarsi davvero totale, inesausto, del primato di Dio, della sua luce nella nostra interiorità e così non possiamo non riconoscere come eclissi ancora più grandi e persistenti offuschino, rallentino, annebbino questa luce e dunque davvero ci sembra paradossale parlare di vittoria di Dio in questa nostra storia, di contemplarne una sorta di indiscussa espansione.

Ma fratelli e sorelle, se noi salutiamo, come siamo invitati a salutare oggi la vittoria di un Dio nelle fattezze tenere e fragili del Bambino Gesù allora le cose, per così dire, tornano; allora noi contempliamo una speciale vittoria del Signore che non sarà la vittoria come il mondo pensa, di poter e voler vincere affermando prepotentemente le sue ragioni a scapito dell’altro, questa non è la vittoria di Dio, tanto meno la vittoria del Natale. La vittoria del Natale di Dio è questo presentarsi, consegnarsi, affidarsi, sperando, anno dopo anno, in una accoglienza che dia spazio nel nostro cuore, in questa nostra storia, all’amore del Signore, un amore che, radicalmente amato dal Padre fino a consumarsi in questo amore, col fuoco dello Spirito Santo, si afferma nella debolezza, nella fragilità e nella tenerezza di un neonato, anzi davvero di un infante, colui che non ha parola, nella sua etimologia, colui che non è capace di parola, dunque radicalmente inadatto ad affermarsi come noi facciamo, con la pretesa delle nostre parole, spesso così scollate da ogni autentica realtà, ed è in questo consegnarsi radicale di Dio ad una intelligenza di fede che solo illuminata dall’amore e dalla luce dell’amore, potrà riconoscere e accogliere, che noi contempliamo la vera grande vittoria di Dio sulle nostre logiche, sulla fatalità delle leggi di una natura fatta apposta per dare vita, ma per non essere pienezza di vita, perché la natura quando funziona bene ci dona esperienze meravigliose, straordinarie a questa nostra vita qui, biologica, ma per sua struttura necessariamente ciclica dunque capace di prolungare un afflato di sopravvivenza attraverso la generazione delle specie che tuttavia, proprio per essere generazioni, non possono fare a meno di conoscere il limite, lo scandalo, lo sconcerto, il fallimento della morte.

Ecco, la vittoria del Signore Gesù, la vittoria di Dio, è un progetto che, in quanto amore, ci disinstalla dalla serialità affascinante, straordinaria, ma per così dire incontestabilmente inadeguata a dire il mistero dell’uomo, che è la ciclicità naturale e si afferma così un altra vista che il Natale invita a raffinare, perché il nostro sguardo sia più raffinato e non si fermi alle evidenze di ciò che noi soffriamo e vediamo, iniziando questa avventura nel mistero proprio nel modo in cui accogliamo un bambino, che potrebbe essere un bambino come un altro, e del resto il Vangelo di Luca lo dice , lo fa dire, troverete un segno, un bambino avvolto in fasce; nessun prodigio, nessuna straordinarietà, perché il Signore chiede a noi di essere straordinari, raffinando questo sguardo con cui accorgersi come in un Dio che si disarma così radicalmente, non può non esserci, non può non esserci, un amore di cui possiamo fidarci, un amore che ci sottrae da questo nostro stare qui, gettati sulla terra non diversamente dagli altri organismi. Ma il nostro cuore non può restare stritolato da tali meccanismi! E col Natale e con la tenerezza di un bambino, e con la celebrazione paradossale e davvero stupefacente di una nascita che è tutta divina e anche umana, eccome se riscopriamo questa tensione generativa che niente e nessuno può arrestare, anzi in questa fecondità con cui Dio si condivide all’uomo, avvertiamo davvero come un fiume carsico di luce che oggi sbocca, anzitutto nella liturgia, ma vorremmo che sboccasse in ogni relazione umana e il presupposto fondamentale, troppe volte dimenticato in questi circuiti, più o meno virtuosi, di regali e regali che ci fa dimenticare del regalo che sta a monte dei nostri regali, che sta a monte dei nostri auguri, che sta a monte di ogni nostro rito di propiziazione domestico o civile , e cioè il fatto che Dio è il dono!

Un dono che chiede questa intelligenza e questa accoglienza.

Fratelli e sorelle, il prologo di Giovanni è un mirabile poema che canta tutta l’avventura di quello che oggi si condensa come automanifestazione di Dio, cioè rivelazione del suo mistero per accorciare e contenere ogni distanza fra noi e lui. E siamo nel luogo giusto perché vedete, quando Giovanni parla di luce, parla di quello che i nostri architetti hanno cercato di raffigurare in questa stupenda decorazione romanica che il prossimo aprile compie mille anni, una griglia che ci ricorda questa struttura non casuale della creazione stessa, che ci invita, come ci invita questa luce che sapientemente filtra attraverso finestre orientate con saggezza e ci dice che questa creazione ha un respiro profondo, ma nessuna geometria ci può salvare, nessuna natura ci può salvare, nessuna luce, pur illuminandoci ci può salvare!

Ci salva ed è il secondo passaggio di intensità indicibile, ci salva solo il Dio che si fa carne, che diventa consanguineità, come diremo nell’Eucaristia, con questa nostra fragilità e allora ecco perché la nostra griglia sulla facciata cede spazio al volto del Cristo, in quel volto c’è il Dio che salva, ma c’è anche l’uomo salvato e si inaugura così questa rincorsa feconda e generativa con la quale, nel cuore dell’inverno, questo nostro Natale, pur fra mille sconfitte dell’amore, suona come una consolante primavera di beatitudine e di amore. Amen

 

«Per il battesimo dei nostri frammenti» (Mario Luzi). Omelia per la Festa del Battesimo del Signore

Domenica 7 gennaio 2018 – Battesimo del Signore

 

Dal libro del profeta Isaìa
Così dice il Signore:
«O voi tutti assetati, venite all’acqua,
voi che non avete denaro, venite;
comprate e mangiate; venite, comprate
senza denaro, senza pagare, vino e latte.
Perché spendete denaro per ciò che non è pane,
il vostro guadagno per ciò che non sazia?
Su, ascoltatemi e mangerete cose buone
e gusterete cibi succulenti.
Porgete l’orecchio e venite a me,
ascoltate e vivrete.
Io stabilirò per voi un’alleanza eterna,
i favori assicurati a Davide.
Ecco, l’ho costituito testimone fra i popoli,
principe e sovrano sulle nazioni.
Ecco, tu chiamerai gente che non conoscevi;
accorreranno a te nazioni che non ti conoscevano
a causa del Signore, tuo Dio,
del Santo d’Israele, che ti onora.
Cercate il Signore, mentre si fa trovare,
invocatelo, mentre è vicino.
L’empio abbandoni la sua via
e l’uomo iniquo i suoi pensieri;
ritorni al Signore che avrà misericordia di lui
e al nostro Dio che largamente perdona.
Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri,
le vostre vie non sono le mie vie. Oracolo del Signore.
Quanto il cielo sovrasta la terra,
tanto le mie vie sovrastano le vostre vie,
i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri.
Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo
e non vi ritornano senza avere irrigato la terra,
senza averla fecondata e fatta germogliare,
perché dia il seme a chi semina
e il pane a chi mangia,
così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca:
non ritornerà a me senza effetto,
senza aver operato ciò che desidero
e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata».

 

Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo 
Carissimi, chiunque crede che Gesù è il Cristo, è stato generato da Dio; e chi ama colui che ha generato, ama anche chi da lui è stato generato. In questo conosciamo di amare i figli di Dio: quando amiamo Dio e osserviamo i suoi comandamenti. In questo infatti consiste l’amore di Dio, nell’osservare i suoi comandamenti; e i suoi comandamenti non sono gravosi. Chiunque è stato generato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede.
E chi è che vince il mondo se non chi crede che Gesù è il Figlio di Dio? Egli è colui che è venuto con acqua e sangue, Gesù Cristo; non con l’acqua soltanto, ma con l’acqua e con il sangue. Ed è lo Spirito che dà testimonianza, perché lo Spirito è la verità. Poiché tre sono quelli che danno testimonianza: lo Spirito, l’acqua e il sangue, e questi tre sono concordi. Se accettiamo la testimonianza degli uomini, la testimonianza di Dio è superiore: e questa è la testimonianza di Dio, che egli ha dato riguardo al proprio Figlio.

 

Dal Vangelo secondo Marco
In quel tempo, Giovanni proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».
Ed ecco, in quei giorni, Gesù venne da Nàzaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. E, subito, uscendo dall’acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba. E venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento».

 

Omelia:

Fratelli e sorelle, vorrei chiedere al Signore tutta la forza per poter gridare, e tornare a gridare, il Vangelo che abbiamo ascoltato perché se la Chiesa, le Chiese, non sono riverbero di questo grido di compiacimento del Padre, esse perdono il loro significato, la loro missione, depauperando la forza, l’efficacia, la potenza con la quale Dio ha scelto di abitare il mondo, vincendolo per singolare paradosso, dove questa potenza e questa vittoria sono davvero paradossali.

Gesù poteva presentarsi con chissà quali schiere fin dall’inizio del suo pubblico apparire, come è questo inizio forte nel deserto e sulle rive del Giordano, ma sceglie, e non ci stupisce, la via dell’umiltà, sceglie di inabissarsi nella fragilità dell’uomo, mettendosi accanto a chi intuiva il bisogno di un bagno di rigenerazione, se non altro morale, se non ontologico, almeno morale, lasciandosi bagnare dalla parola forte del Battista che invitava a conversione e a purificazione

Ma Gesù si presenta, non solo con l’umiltà di mettersi in fila coi peccatori penitenti, sceglie davvero di immergersi nella creazione, perché questo è il significato del suo lasciarsi bagnare dal Giordano, guardate, qui dobbiamo chiedere aiuto alla forza pregnante della simbolica biblica, non è un quadretto descrittivo quello che il Vangelo ci fa vivere, il Vangelo ci propone una vera e propria scena di decreazione che ci deve riportare tutti con lo sguardo del cuore all’inizio della Genesi, a quell’azione di separazione dell’asciutto e del bagnato, delle tenebre e della luce, grazie al quale si fa strada la possibilità della nostra vita. E già una prima decreazione era stato, non a caso attraverso l’acqua, il diluvio universale, dove, in forza del fallimento della pretesa dell’uomo di farcela da solo, quell’acqua significava il pianto di Dio inarrestabile davanti alla pretesa dell’uomo, un pianto arrestato solo dal perdono, da una alleanza irrevocabile che appare come una colomba, con un ramoscello di ulivo che segnala la fine di quel diluvio e la possibilità di nuovo, per le cose create, di riprendere una forma che desse una qualche garanzia alla nostra vita, possibilmente restando in questo mirabile scacchiere dell’alleanza di Dio; perché lo scacchiere non pregiudica la libertà del giocatore di scacchi, ma certo ne qualifica alcune regole senza le quali non si dà alcuna partita e così è della nostra vita in Dio, e nell’orizzonte di Dio, libertà, qualificata da una parola che scrive delle regole che qualifichino la nostra vita.

Ma anche quella alleanza si è rotta e dunque non basta più la narrazione di una parola che ha perdonato fermando il pianto, occorre che Dio stesso si faccia alleanza, si faccia acqua, si faccia sangue e, ricevendo lo Spirito, inauguri una nuova creazione, per questo Giovanni ha parlato proprio di acqua, sangue e Spirito.

Questa non è una generica trilogia retorica, ma è davvero tutto quello che comporta la decreazione che Cristo stesso di fatto ha conosciuto nella sua stessa consistenza divina, perché contemplare colui grazie al quale tutta la realtà è stata creata, contemplarlo come un infante, non è forse anch’essa una decreazione della sua sussistenza regale?

Non è un precipitare nella nostra realtà, assumendone fino in fondo quella fragilità che Gesù, prima bagnandosi con l’acqua e poi versando sangue, sposa, per scrivere con la sua stessa carne, con la sua parola, col suo silenzio, vorrei dire anche col misterioso abbandono del Padre, una nuova alleanza capofiggendosi, per così dire, nella nostra umanità? Senza alcun filtro, senza alcuna rete, vivendo anche la libertà dell’uomo che arriva a sperimentare, a postulare, a ritenere davvero liberante una sua ateità, cioè un fare a meno di Dio.

Anche questo in fondo Gesù arriva a sperimentare quando gli verrà a mancare il grido di compiacimento del Padre, un grido che torna sul Monte Tabor, quando Gesù, di fronte alla tentazione petrina di scansare la croce, afferma vigorosamente che solo nella croce si compie la possibilità di ricostruire l’umano dalle sue ceneri e dalle sue contraddizioni.

Ma questa prospettiva si consuma fino in fondo proprio quando sul Monte del Calvario è Gesù, e Gesù soltanto, nel silenzio di Dio, che non significa, sia chiaro, assenza, sto parlando di ateità non di ateismo. E’ davvero la condizione dell’uomo che vive l’esasperazione di quella libertà dello scacchiere di cui si parlava prima, ritenendo di non avere regole, di muoversi come assoluto protagonista nello scacchiere dell’esistenza, senza dover render conto a niente e a nessuno; ma è una situazione fallimentare, per questo Gesù non manca, dopo essersi mostrato immerso radicalmente nelle relazioni familiari, che abbiamo contemplato e che contempliamo nel tempo di Natale, anche nei nostri semplici ed umili presepi, ecco che nella sua prima grande manifestazione di consapevolezza messianica, davanti all’umanità, alla storia, alle culture, ribadisco, al cosmo, acqua, terra e cielo, ecco che il Signore Gesù è forte, sì, di una vittoria, quella di cui ha parlato Giovanni, ma è la vittoria della fede; Giovanni usa parole che come sempre sfiorano l’ambiguità, nel grande prologo che abbiamo proclamato nel giorno di Natale, Giovanni ci ha detto che Dio ha dato il potere a coloro che accolgono il Signore Gesù come Figlio di diventare a loro volta figli. Oggi ci parla di vittoria, ma sono potere, vittorie, da declinarsi non nel significato mondano, qui fede è davvero la vittoria del Signore Gesù che rinuncia ad affermarsi, questa è la vittoria sul mondo che ha per protagonista nessuna arma, nessuna potenza, nessuna pretesa, ma solo e soltanto l’umiltà con la quale Gesù si decrea perché la nostra umanità si ricrei. Capite questa logica, fratelli e sorelle?

Discendente, svantaggiosa per Gesù e tutta vantaggiosa per la nostra condizione umana, e su di essa brilla e si espande il compiacimento del Padre, di quel Dio che l’uomo aveva espulso e che Gesù, sprofondando nella nostra umanità, attira perché spazio, apertura, vuoto, per così dire, questa è la fede, ascolto, cioè dare spazio a quella parola con la quale ci riscopriamo infanti, cioè senza parola, questa è l’infanzia, abbiamo bisogno di un’altra parola che non è la nostra e qui Gesù lo mostra e lo dimostra, percorrendo in silenzio la via dei penitenti, lasciandosi immergere nell’acqua, creando spazio sottoterra, sulla terra e nei cieli, perché si espanda il compiacimento del Padre e perché in questo vuoto possa davvero la libertà dello Spirito ridisegnare una relazione che la nostra presunzione aveva progressivamente incrinato, fino a spezzarla del tutto.

E questo è lo sguardo storico, fratelli e sorelle, ma c’è una storia anche dentro il nostro cuore, quante volte pur Battezzati, pur rigenerati dallo Spirito Santo con la Confermazione, pur alimentati dall’Eucaristia, quante volte spezziamo o per lo meno mettiamo in fortissima torsione questa relazione e dunque, quanto è meravigliosamente pasquale questa domenica della festività del Battesimo del Signore che parla già di vittoria, che non censura pur avendo ancora fra le braccia il Bambino Gesù, lo ricordavo ieri all’Epifania, dove vada questa natività.

Va dove va la nostra natività, per fortuna, e cioè verso la morte, e lo dico senza volervi spaventare, ma al contrario perché ci illumini in tutta questa sua capacità di essere tutto nel tutto il bambino Gesù e dunque dobbiamo e vogliamo contemplare questo evento pasquale che si ritma, Giovanni ce lo ha detto con grande chiarezza, attraverso queste tre parole da avvitarsi bene nel nostro cuore, per vivere fino in fondo il Natale: l’acqua, il sangue e lo Spirito; e direte voi: ma cosa c’entra col Natale, è appena nato, perché dover parlare di acqua, di sangue e per di più dello Spirito?

Ci basta tenere Gesù fra le braccia!

No fratelli e sorelle!

Qui c’è già tutto il mistero pasquale e noi ne vogliamo essere consapevoli perché vogliamo uscire da questa nostra Basilica, rigenerati, domenica dopo domenica, bagnati di un’acqua che non è semplicemente un lavacro esteriore, ma un vero e proprio passaggio ontologico, cioè essenziale della nostra realtà, e in questa prospettiva davvero, con la voce del Padre che riecheggia nel cuore, sentirci anche noi misteriosamente, senza merito, graziosamente raggiunti da una scelta che il Padre ha compiuto su Gesù, non ha mancato di compiere sulle nostre vite e vorremmo che si rinnovi come quotidiano impegno, segno e promessa di un’alleanza che attende solo e soltanto i nostri gesti per vincere la grande vittoria sul mondo, che è l’umiltà della fede, la libertà dell’amore e la grande storia della consolante speranza che Gesù dona alle nostre vite. Amen

 

Trascrizione a cura di Grazia Collini

 

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