Omelie

«Dal Capricorno all’Acquario per annunciare la Porta Celeste» (Marco Bagnoli). Omelia del padre abate Bernardo per la V Domenica di Pasqua

 

29 Aprile 2018 – V domenica di Pasqua (B)

 

Dagli Atti degli Apostoli
In quei giorni, Saulo, venuto a Gerusalemme, cercava di unirsi ai discepoli, ma tutti avevano paura di lui, non credendo che fosse un discepolo.
Allora Bàrnaba lo prese con sé, lo condusse dagli apostoli e raccontò loro come, durante il viaggio, aveva visto il Signore che gli aveva parlato e come in Damasco aveva predicato con coraggio nel nome di Gesù. Così egli poté stare con loro e andava e veniva in Gerusalemme, predicando apertamente nel nome del Signore. Parlava e discuteva con quelli di lingua greca; ma questi tentavano di ucciderlo. Quando vennero a saperlo, i fratelli lo condussero a Cesarèa e lo fecero partire per Tarso.
La Chiesa era dunque in pace per tutta la Giudea, la Galilea e la Samarìa: si consolidava e camminava nel timore del Signore e, con il conforto dello Spirito Santo, cresceva di numero.

 

Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo
Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità.
In questo conosceremo che siamo dalla verità e davanti a lui rassicureremo il nostro cuore, qualunque cosa esso ci rimproveri. Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa.
Carissimi, se il nostro cuore non ci rimprovera nulla, abbiamo fiducia in Dio, e qualunque cosa chiediamo, la riceviamo da lui, perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo quello che gli è gradito.
Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato. Chi osserva i suoi comandamenti rimane in Dio e Dio in lui. In questo conosciamo che egli rimane in noi: dallo Spirito che ci ha dato.

 

Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato.
Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.
Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».

 

Omelia:

 

Sulla Svolta dei Vasi

Ora traccio una linea

diagonale

 

Dal Capricorno all’Acquario

Per Annunciare la Porta Celeste.

 

Tu dici: terre, acque

e fuochi ancora e aria.

 

Io, nel vento d’etere che accolgo

pongo intatta la Canna nel cipresso

 

Acqua nel Fonte

Fuoco e brace

ai piedi della Scala

 

come la Pietra su cui poso

la testa

 

Vaso Oro Sono

che avvolge nell’aria

la luce della croce

 

Sempre accesa e soffio ardente

come nella conchiglia si fa

suono

 

l’ombra del pendolo riflessa.

 

Carissimi fratelli e sorelle voglio iniziare questa omelia condividendo con voi i versi che Marco Bagnoli ha composto, per aiutarci a decifrare alcune inserzioni della sua arte in questa Basilica, collocate per il millenario di fondazione della nostra comunità monastica e della posa di una prima pietra che riporta la nostra memoria all’evento fondante di ogni speranza e di ogni autentica storia evangelica e cioè la Pasqua di Cristo, che ogni martirio, non escluso quello di San Miniato, intende fare che accada come riverbero nel corso dei secoli della sua misteriosa efficacia, anche se immediatamente assimilabile ad una autentica sconfitta, la morte di Cristo, la morte del martire.

Ma è proprio questa apparente sconfitta, riletta nella logica dell’amore fruttificante che lascia riconoscere il Padre come l’autentico agricoltore che trasforma l’apparente potatura drammatica, sanguinosa nella gemmazione di un frutto, che porta a una vita di qualità straordinariamente nuova, la vita pasquale, la vita più forte della vita, la vita più forte di quella esperienza che ci rende assimilabili alla grande energia biologica che attraversa la nostra storia senza però… senza però, darci una risposta sufficiente al mistero della vita.

Questa risposta sufficiente al mistero della vita paradossalmente la intuiamo quando la vita si rompe e il martire non ha paura che la vita si rompa, deflagri, perché vuole essere come il centurione che intuisce che il Cristo è autenticamente il Figlio di Dio quando, appeso alla croce, la sua vita si rompe, e rompendosi per amore, coglie che quell’apparente potatura trasforma il legno della croce in una vigna capace di offrirci quel vino buono, salutifero, vivificante a cui presto, in nome di tutti voi, accosterò le mie labbra.

Allora fratelli e sorelle, intuite davvero il senso pasquale di questo luogo! Raccogliendo però, mille anni dopo, un’urgenza importante, rimanere in Cristo, per continuare a fruttificare ed è questo -perdonatemi- l’urgenza, l’assillo, la domanda, con la quale a nome dei miei fratelli che intendono, pur nella consapevolezza della propria fragilità, dare futuro a questi mille anni di storia: come segnalare che è possibile ancora oggi, duemila anni dopo, rimanere in Cristo?

Guardate che rispondere affermativamente a questo interrogativo, la possibilità, lo ripeto, di rimanere in Cristo per fruttificare del suo amore, col suo amore, segnala un dato importante: che il tempo non ci allontana da Cristo, non crea uno spazio incolmabile, ma per arrivare a questa intuizione profonda abbiamo bisogno di un cuore che parli di bellezza, di presenza, di sensazioni forti, autentiche, ispirate dalla bellezza, come speciale dignità che trasforma il dato esclusivamente biologico del vivere in cieca obbedienza agli istinti, in una apertura di libertà, di creatività, di scelta, di intuizione.

E allora mille anni dopo questo è l’assillo, rendere San Miniato uno spazio dove tutti sentono, come direbbe il salmista, che mille anni per il Signore sono come un giorno ed essendo un giorno io posso sentire ancora il profumo del Cristo che passa nel cuore della mia vita.

Intuire la sua parola, la sua voce, il timbro di quando dolce, di quando è arrabbiato, di quando è deluso, di quando ci sferza, di quando ci consola, di quando ci lascia intuire che questa vita non può essere solo biologia ma, come lui ci insegna rompendo il suo corpo, è tanto di più, è irruzione della vera vita nella vita, perché quell’acqua di cui siamo tanta parte possa diventare vino, perché questo è il primo segno del Vangelo di Giovanni e questo dovrebbe essere il segno di una vita autenticamente evangelica, a noi l’acqua non basta, fratelli e sorelle, noi vogliamo essere uomini e donne ebbri di spirito….ebbri di spirito, preferiamo il vino, preferiamo che si allenti la struttura argomentativa dialettica che presume di avere una risposta per tutto e quando non ce l’ha consulta l’enciclopedia o Wikipedia oggi, noi invece abbiamo misticamente bisogno di sentire annebbiata, finalmente, la presunzione di poter comprendere e spiegare tutto ed ecco allora che irrompe l’intuizione della fede, come parola altra, esperienza altra, conoscenza altra e allora ecco perché, fratelli e sorelle, da sempre la fede, la chiesa, ha bisogno della bellezza, ha bisogno dell’arte, ha bisogno degli artisti, ha bisogno di coloro che, sfidando le regole, provano a donarci un’intuizione nuova e diversa circa tutto quello che presumevamo di sapere una volta per tutte.

Ed ecco perché io ho sentito il bisogno radicale, vi confesso, con voi, fratelli e sorelle, di chiedere aiuto a un artista, certo correndo il rischio che qualcuno mi prendesse in giro -ma che ci sta a fare una scala in mezzo a San Miniato?-

Non giudicatela immediatamente, tornate domenica prossima e poi ancora la domenica dopo, provate a leggere il volto del Cristo Pantocrator, come forse da qualche panca vi può riuscire, inscritto in quella scala.

Non è una scala che ci serve per andare a pulire le ragnatele alle finestre, avremmo bisogno anche di quella, ma correremmo il rischio di morire.

E’ una scala più importante, è la scala di Giacobbe, il grande fondatore di Israele che ha peccato, tradendo suo padre, tradendo suo fratello, eppure Dio a lui appare, egli appare come una scala a dire cioè che tu hai peccato, ma io scendo verso di te perché tu possa salire a me e questa scala cosa altro è se non Cristo, fratelli e sorelle, che scende dall’alto per trovare spazio nei nostri cuori, così contraddittori, per consegnarci il fuoco dell’amore, come ha intuito giustamente Marco Bagnoli. Per questo sotto quella scala troverete una striscia rossa, è il fuoco dell’amore di Dio che non un Prometeo presuntuoso ha portato sulla terra, ma Dio stesso, per accendere la nostra vita biologica di speranze più grandi, fratelli e sorelle, di desideri, come avrebbe detto Mario Luzi, ardenti, per arginare l’oscurità che dilaga, l’indifferenza che ci appartiene, ci seduce e ci inganna, fratelli e sorelle.

E ancora, Marco ha sentito il bisogno di farci entrare attraverso una porta, la porta santa, che apriremo alla fine di questa celebrazione perché uscendo da lì, fratelli e sorelle, ed entrando soprattutto da lì, vi ricordaste cos’è il grande mistero della nostra vita pasquale, che noi ci ostiniamo a celebrare anche ai bambini che non capiscono niente, perché qui, di nuovo, la conoscenza non basta, solo il gesto del corpo, l’immediatezza del bisogno, l’istintività dell’abbraccio calma il bambino piangente, dopo che io l’ho immerso nell’acqua in ogni battesimo, perché in quel modo lì, senza capire nulla a livello cerebrale, col cuore, comprende che la nostra vita se non rinasce nell’amore di un abbraccio materno e paterno non è vita, fratelli e sorelle, è semplicemente gioco biologico di sopravvivenza istintiva, ma mi ostino a dire che altro sull’uomo ci insegna il Vangelo parlandoci di Cristo.

E allora fratelli e sorelle, domandatevi perché c’è questo, finalmente dopo mille anni, un fonte battesimale anche a San Miniato, non è parrocchia, non ne avremmo bisogno, ma davvero come intuiva Mario Luzi, abbiamo bisogno di un battesimo per tutti i nostri frammenti, perché se non moriamo in Cristo, se non accettiamo di morire in Cristo, non ci riconosciamo più come figli di Dio, cioè figli di un Padre che ci educa, separandosi dal suo unico Figlio, a rinascere in lui in una prospettiva ben più salda delle nostre certezze, delle nostre presunzioni, delle nostre certificazioni.

E ancora, fratelli e sorelle, scendete in cripta, vi domanderete perché l’antico alabastro romanico è stato coperto da una sorta di vaso a forma di croce: perché questo è San Miniato, fratelli e sorelle, è un grande vaso, un grande catino, una grande conchiglia dove risuona l’antico canto che Gesù non si stanca di elevare al Padre nella luce e nel respiro dello Spirito servendosi di noi tutti, lo strumento poliarmonico, dice Clemente Alessandrino che è l’uomo, ma questa è la vera grande vocazione della nostra vita, essere canto nel canto di Cristo, per questo esiste San Miniato, perché le nostre povere voci di monaci risveglino nella vostra consapevolezza che senza musica davvero non c’è vita, dicevano i medioevali “Sine musica nulla vita” .

E cos’è la musica ancora una volta se non una scala che ci avvicina, passo dopo passo, a quell’origine della vita che in Cristo è anche il suo compimento?

Alfa e omega.

Grazie fratelli e sorelle di fidarvi di questo cerchio magico, nel senso più bello di questa parola, anzi, per evitare ogni ambiguità, cerchio mistico, che è San Miniato al Monte, grazie di ritrovare qui con noi la percezione che questo mondo non è posto a caso ma, come solo l’arte ci insegna e la bellezza del vero artista, è solo e soltanto una continua foresta di simboli che prelude all’oasi di pace che sarà l’Eden, nell’amicizia interminabile col Dio di Gesù Cristo. Amen

 

Fratelli e sorelle, finchè il Signore donerà alla nostra storia i mistici, i santi, i poeti, gli artisti, i profeti, possiamo essere certi che il nostro piccolo cuore è più forte e tenace anche di mille anni e potrà abbracciare, come se fosse qui, perché davvero è qui, ora, il Signore Gesù.

In questa prospettiva di ritrovata speranza possiamo bisbigliare all’orecchio del suo cuore ogni nostro bisogno, ogni nostra necessità e imparare dal suo palpito, come il discepolo prediletto, cosa sia l’amore vero, da dove venga, e verso dove ci guidi. Potremo così, fratelli e sorelle, invocare davvero l’amore del Signore perché la nostra vita, da acqua diventi vino per Cristo nostro Signore.

In questa luce di speranza fratelli e sorelle, ricordiamo anche i nostri defunti, vorrei ricordare in modo speciale coloro che ogni domenica salgono questa scala di Giacobbe per posare il loro cuore, la loro testa, sulla pietra dei loro defunti in questo cimitero e su questa collina, ognuno sa i propri nomi e sa che quei volti hanno salito quella scala perché Cristo l’ha discesa.

 

Trascrizione a cura di Grazia Collini

Fotografia di Mariangela Montanari

 

Condividi sui social