Omelie

«Contro la siccità dei nostri cuori». Omelie del padre abate Bernardo per la Santissima Trinità e per il Corpus Domini

12 Giugno 2022 – Santissima Trinità

 

Dal libro dei Proverbi
Così parla la Sapienza di Dio:
«Il Signore mi ha creato come inizio della sua attività,
prima di ogni sua opera, all’origine.
Dall’eternità sono stata formata,
fin dal principio, dagli inizi della terra.
Quando non esistevano gli abissi, io fui generata,
quando ancora non vi erano le sorgenti cariche d’acqua;
prima che fossero fissate le basi dei monti,
prima delle colline, io fui generata,
quando ancora non aveva fatto la terra e i campi
né le prime zolle del mondo.
Quando egli fissava i cieli, io ero là;
quando tracciava un cerchio sull’abisso,
quando condensava le nubi in alto,
quando fissava le sorgenti dell’abisso,
quando stabiliva al mare i suoi limiti,
così che le acque non ne oltrepassassero i confini,
quando disponeva le fondamenta della terra,
io ero con lui come artefice
ed ero la sua delizia ogni giorno:
giocavo davanti a lui in ogni istante,
giocavo sul globo terrestre,
ponendo le mie delizie tra i figli dell’uomo».

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani
Fratelli, giustificati per fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo. Per mezzo di lui abbiamo anche, mediante la fede, l’accesso a questa grazia nella quale ci troviamo e ci vantiamo, saldi nella speranza della gloria di Dio.
E non solo: ci vantiamo anche nelle tribolazioni, sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza.
La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato.

Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso.
Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future.
Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».

Omelia Messa della mattina

Fratelli e sorelle gli altissimi contenuti teologici, è il caso di doverlo dire davvero, implicati dalla celebrazione della solennità della Santissima Trinità, mi chiedono e mi obbligano anche quasi a porgervi,  in modo particolare in questa domenica, un cordiale benvenuto.

Non è per accattivarmi le vostre simpatie che peraltro credo di ricevere a profusione dai vostri cuori, così ben disposti nei nostri riguardi, ma è proprio perché insieme, in cordata, come si direbbe col linguaggio alpinistico, proviamo a sollevarci su questa collina di San Miniato per mettere a fuoco qualcosa dei misteri del nostro Dio.

Di farlo facendo tesoro come sempre delle parole che la liturgia ci fa ascoltare, ci fa proclamare, ma anche rallegrandoci di un senso davvero importante di comunità che, al di là delle appartenenze territoriali di ciascuno di voi, si sperimenta e si genera nel momento in cui, insieme, i nostri corpi vengono orientati verso la stessa meta, si nutrono della stessa parola, dello stesso pane, si riconoscono, avvertono -si direbbe oggi- una vibrazione comune.

Questa sottolineatura la sento oggi oltremodo importante anche perché all’approssimarsi dell’estate, è comprensibile che possano esserci molte spinte, se non avverse, quanto meno seducenti a che si preferisca altro che questo austero laboratorio di salita e di contemplazione del mistero.

E quindi nel benvenuto ci sta anche davvero la gratitudine per la vostra esemplare dedizione ad un momento così speciale, ma anche così inattuale, come tutta la dimensione della gratuità, tutta la dimensione dell’apparente inutilità, propria della esperienza liturgica.

Nello stesso tempo però la ricchezza di questi contenuti di una solennità nata, come ho cercato confusamente di dire all’inizio di questa celebrazione, non nella tipica e abituale struttura delle festività liturgiche che, sapete bene, intuite molto bene, ripercorrono, tentano di ripercorrere lo svolgimento diciamo biografico del Signore Gesù, il mistero di Cristo nella storia, così che questa biografia del Signore Gesù, domenica dopo domenica, ci permetta di seguire i suoi passi e quando è stato dell’Ascensione essere un po’ risucchiati da questo vortice di aria che lo porta verso il Padre, domenica scorsa posizionarci sotto il fuoco incrociato dello Spirito Santo perché ci raggiunga.

Oggi no. Oggi e domenica prossima abbiamo due solennità che escono da questa modulazione biografica, mi piace anche dirvi questo, che abbiate coscienza che siamo in un momento liturgico in cui ci è chiesto di mettere a fuoco, prescindendo dalla vicenda biografica del Signore Gesù, l’essenziale della nostra fede e questo per una ragione pure molto interessante.

Oggi voglio essere un po’ catechetico con voi, accorciare la distanza, fare meno discorsi astrusi che alle volte mi scappano e che oggi, con una domenica così, potrebbero essere veramente fuori dalla portata del buon senso e quindi registro basso, molto cordiale e fraterno e affettuoso.

Quindi mettiamo a fuoco la Santissima Trinità perché la liturgia si arricchisce anche di alcune sollecitazioni che la storia le suggerisce e che la Chiesa, illuminata dallo Spirito, recepisce. Questo è un aspetto bello a pensarci bene, cioè ci fa capire come una delle nostre tentazioni è pensare la liturgia, ma in generale la vita della Chiesa, come incapsulata in una sorta di realtà astratta, per non dire astrusa, insensibile alle sollecitazioni del tempo presente; magari ci arriva un po’ tardi, questo è vero, ma ci arriva. E così questa solennità nasce proprio per ribadire, in un tempo attraversato da molte controversie dottrinali, teologiche, antropologiche, molto più di quello che si pensa, e cioè il medioevo, nasce proprio per permettere alla Chiesa di specchiarsi e contemplarsi nel mistero della Santissima Trinità e questo gioco di riflessi arrivasse nel vivo della storia, nel dibattito delle idee, nell’evolversi delle mentalità perché, attraverso la liturgia, il popolo di Dio avesse un appuntamento sicuro con una più forte consapevolezza delle qualità prioritarie e essenziali del nostro Dio, appunto la sua dimensione articolata, unitaria e diversa allo stesso tempo, che si riassume con la parola Trinità: Padre, Figlio e Spirito Santo.

Ma voglio arrivarci attraverso le parole che abbiamo ascoltato, parole molto belle, la Prima Lettura ci offre la possibilità di guardare la creazione, lo avete ascoltato: entra in scena una entità un po’ misteriosa, la Sapienza, che nello stesso tempo è profondamente inerente alle cose create, anzi le cose create, stando a quello che ci dice il Libro dei Proverbi sono create perché in qualche misura forgiate da questa intelligenza dinamica, quasi giocosa e danzante che Dio ha posto in essere all’inizio di ogni inizio, e che di fatto si distingue dal nostro Dio come se fosse davvero uno strumento, un utensile, che la sua intelligenza ha pensato perché di fatto la sua intelligenza attraversasse e di fatto restasse nelle cose create. E questa è la Prima Lettura.

La Seconda Lettura invece ci offre uno sguardo non più rivolto sulle cose attorno a noi, ma uno sguardo che ci invita invece a scivolare nel profondo di noi tutti. Questa è un’esperienza oggi abbastanza comune perché, come voi sapete, dall’ottocento le scienze umane, con la grande invenzione della psicanalisi hanno reso abituale quanto meno porsi il problema di quello che ruzzola nel profondo della nostra coscienza, anche ascoltando i sogni, le nostre paure, interpretando le nostre angosce, molto banalmente prima di Freud se uno aveva fatto un brutto sogno la colpa era della cena troppo abbondante la sera prima. Con Freud le cose si sono un po’ evolute, Freud e non solo, ma al di là della battuta, quello che è essenziale è che per noi oggi è comune sondare il nostro io, o meglio, è più comune lasciarcelo sondare.

Oggi invece Paolo ci chiede il coraggio cui mi appellavo anche io all’inizio di questa celebrazione, in cordata, di discendere nelle voragini delle nostre dinamiche interiori, scoprire che anche lì, seppur realtà creata, pur realtà creata, noi siamo creature di Dio, siamo di fatto attraversati, lambiti, per certi versi direi davvero vivificati e resi energetici da qualcosa che l’amore di Dio di fatto spedisce nella nostra interiorità,  uso un verbo non teologico ma oggi, ripeto, mi piace essere, vorrei sperare, semplice.

Domenica scorsa ero tutto involuto, con gli occhi chiusi, mi pizzicava il naso, ma perché soffro di allergia, qualcuno ha pensato che avessi fatto un’omelia così complessa a occhi chiusi perché avessi usato droghe. No! Scusate, devo dirlo, perché qualcuno me l’ha detto, ma cosa hai fatto? Ecco, no, mi pizzicavo il naso, credetemi, perché ho l’allergia forte in questo periodo e anche per questo questa domenica devo dimostrare che non sempre mi tocco il naso e poi fo dei discorsi semplici, gioiosi, guardandovi negli occhi, per quanto mi riesce a chi ha meno sette diottrie e anche stabilendo un clima colloquiale, sennò veramente faccio scappare le persone. Questa è un po’ la paura dei miei fratelli.

Quindi dicevo in cordata, abbiamo assunto, assumiamo la fatica,  bellissima però in realtà, di scoprire che dentro di noi scorre quest’energia divina che come amore ci fa sentire amati e, sentendoci amati, ci offre una particolarissima interpretazione dei nostri pensieri che nessun psicologo o psicanalista potrà mai dimostrare ma che noi, per fede, riconosciamo come speranza. Sentendoci amati, visitati dall’amore che viene dall’alto, anche se attraversiamo un momento molto difficile, non vogliamo lasciare l’ultima parola alla sofferenza ma ecco che c’è una dinamica che ci apre al futuro, che si chiama speranza.

E abbiamo così la Terza Lettura, il Vangelo, dove di fatto i due versanti sono rimessi insieme, il versante della nostra interiorità, ma anche il versante della realtà che ci circonda, tutti oggetto di un dinamismo che si apre ad una comprensione più profonda del mistero stesso della vita, una comprensione più profonda generata proprio dall’irruzione ancora una volta di questa energia, che è divina, ma che nello stesso tempo sa staccarsi da Dio e proprio perché staccata da Dio avvicinarsi, addirittura attraversare le realtà create, soprattutto la nostra persona.

Spero così di avervi fatto intuire come noi possiamo in una qualche misura godere di un Dio così e addirittura ovviamente pensarlo un Dio così, si tratta proprio di dare una interpretazione di Dio e della realtà molto lontana da quella che in fondo ci è stata offerta dalla grande palestra intellettuale e per certi versi anche un po’ cerebrale della filosofia, soprattutto di quegli impianti filosofici radicalmente metafisici dove Dio è un ente assoluto, una sostanza assoluta, radicalmente e totalmente trascendente, che di fatto nulla ha a che fare con la nostra controversa realtà e che anzi si lascia immaginare come pensiero del pensiero e che è raggiungibile attraverso uno sforzo concettuale che la maggior parte di noi, io per primo, difficilmente riusciremmo a seguire dopo le primissime battute.

In questa prospettiva abbiamo sì la soddisfazione di riuscire ad elaborare un’altissima concettualità di Dio, ma nello stesso tempo restiamo un po’ prigionieri di una realtà molto mutevole, molto cangiante, spesso minacciosa, che al più può offrirci delle sensazioni alquanto piacevoli che possiamo magari anche radicalizzare  diventando un po’ tutti epicurei, di fatto lo siamo anche per difenderci da questa realtà, cercando cioè il piacevole là dove si offre con qualsiasi scorciatoia a disposizione.

E invece il nostro Dio ci chiede, e ci offre soprattutto, questa possibilità di rimettere insieme l’assoluto di Dio e la relatività della realtà, i nostri tormenti interiori, ma anche la possibilità che, riconoscendo la qualità specifica del Signore quale amore, sentire che qualcosa di Lui si degna di visitare la nostra profondità e anche questo nostro tempo presente così ostaggio di sé stesso, delle sue paure, lasciarsi finalmente sbrecciare da un’energia che lo conduce, volente o nolente questo presente, ad un futuro, un futuro che addirittura porta con sé una fecondità  promessa per una comprensione più grande del mistero stesso e della realtà stessa verso una verità tutta intera.

Sono contenuti fratelli e sorelle che oggi la liturgia ci offre come possibilità importantissima di rileggere la nostra apertura al mistero di Gesù Cristo con alcune implicazioni importantissime, perché è molto bello, molto importante, pensare questa realtà generata da un Dio che non si distanzia da essa, che di fatto non la abbandona perché considerata di materiale grezzo e inferiore rispetto a Lui stesso, anzi, Lui su questa realtà informe, fragile, provvisoria quanto vogliamo, ci ha danzato con la sua Sapienza, ci ha trasmesso tutta la bellezza di cui è stato capace, ha fatto del limite di quella realtà stessa la possibilità di un orlo e di un rammendo in cui potesse brillare, da un lato la sua Sapienza, dall’altro anche la nostra creatività e anche il profondo del nostro cuore.

Quello che noi alle volte forse davvero troppo sbrigativamente non ascoltiamo e se ascoltiamo lo deleghiamo ad altri, può tornare ad essere una grande cattedrale dello Spirito, certo abbiamo bisogno di allenarci mediante la fede a dare tempo perché la speranza fecondi le nostre ombre, le nostre paure, ma perché rassegnarci?

Perché arrenderci a questa prospettiva , perché non disporci come in fondo facciamo ogni domenica a delle risonanze, a delle ispirazioni, a delle possibilità di qualità offerte dalla vita al nostro cuore, lo possiamo veramente dire, offerte dalla vita! Perché la vita è la Sapienza di Dio, è l’amore di Dio, la vita è attraversata dallo Spirito di Dio, ascoltiamola questa vita!

E ancora, questo bellissimo dialogo fra il Padre e il Figlio che corre il rischio di diventare una cornice astratta e remota di una teologia sublime, mistica, ma oltremodo distante dai nostri giorni e soprattutto dal nostro cuore, eppure il Vangelo di Giovanni ha un’immagine bellissima : “Io e il Padre verremo e staremo con voi” –anzi- prenderemo dimora dentro di voi”

Perché non riscoprire questa dimensione davvero di potenziale sinfonia della nostra interiorità? Perché non liberare la nostra immaginazione anche attraverso la meditazione, con cui destinare un poco del nostro tempo quotidiano alla inventiva e alla generazione di parole e immagini che restituiscano ai nostri corpi ai nostri pensieri tutta la loro dignità forgiata in primis dalla Sapienza del Signore.
Io non so come voi vi pensate, io temo che vi pensiate come spesso mi penso io: senza tempo, senza spazio, rincorrendo le cose, preso da mille angustie, enfatizzando i piccoli grandi dolori del nostro organismo, temendo tutto, spaventati da ogni futuro, sentendoci abbandonati perché, nonostante la iperconnettività dei nostri telefoni,  spesso avvertiamo nel nostro cuore una profondissima solitudine

Il Dio Trinità invece ci insegna a prendere del tempo, a vivere il mistero dell’amore come un mistero di relazione, a riscoprire l’unità come la meta di una diversità che finalmente smetto di maledire e provo ad attraversare, godendo del fatto di avere accanto una persona diversa da me, che potrà darmi cose che io non ho e che io stesso posso dare che lui non ha, se torniamo ad ascoltarci, a guardarci, a respirarci.

Ecco, ripeto, mi rendo conto di avervi dato indicazioni molto semplici e sicuramente molto banali, ma vorrei che della Trinità riportaste a casa oggi una esperienza che accarezza un po’ la vostra pelle, i vostri cuori, che consola questo senso di consunzione della qualità del nostro cuore che tendiamo sempre di più a dimenticare, rassegnandoci a tutto quello che la frenesia del presente mortifica, consuma e deteriora.

Fermiamoci un attimo, diventiamo respiro trinitario, godiamo stamani della presenza l’uno dell’altro, non siamo sotto un ombrellone, non c’è il mare, non c’è il suono meraviglioso che hanno le onde quando si rompono sulla spiaggia, manca il vento fresco profumato di sale, ma siamo insieme davanti alla Trinità, uno spettacolo meraviglioso dove la Sapienza del Signore continua a danzare per muovere l’aria e ricordarci che nessuno di noi è sepolto nel presente, ma è destinato ad una resurrezione che lo Spirito, cioè l’amore del Padre e del Figlio doneranno ai nostri corpi per diventare verità e pace tutta intera. Amen

Omelia Messa Vespertina

Cari fratelli e sorelle, oggi sentiamo, anche in questa bella straordinaria ricchezza di presenza pomeridiana resa possibile dal duplice ricordo di Margherita e di Alvaro e nello stesso tempo dalla cospicua presenza di alcune nostre sorelle nella comune vocazione alla vita religiosa che saluto con particolare affetto per la vostra testimonianza, sorelle che hanno scelto di trascorrere buona parte di questo torrido pomeriggio su a San Miniato, accompagnate da Don Colombano nella decifrazione della bellezza di questa Basilica, sentiamo tutti insieme il bisogno di una rugiada spirituale che renda l’esperienza pentecostale appena compiuta davvero fruttuosa, in ordine alla comprensione e soprattutto all’esperienza dei grandi frutti che lo Spirito Santo conferisce alla nostra condizione umana. Una esperienza che riportata al suo essenziale, potremmo esprimere così, io credo, il sentirsi fondamentalmente amati da un amore incondizionato e credibile che passa attraverso, in modo tutto speciale, la parola del Signore Gesù, l’amato per eccellenza dal Padre amante, con l’amore che è lo Spirito Santo.

Un amore che si riversa nel Figlio e che giunge alle nostre vite attraverso quello speciale condotto rappresentato dalle ferite di quel corpo crocifisso, dal rantolo di quel corpo estenuato nella sofferenza che, con quel gettito finale, soprattutto secondo la versione giovannea fa della Pentecoste non un evento glorioso,  ma un evento intimo, sofferto, estremo, nello stesso tempo di solitudine e di comunione che realizza e compie tutto il mistero pasquale e tuttavia lascia aperto lo scenario di futuro non ancora adempiuto, lasciandoci così sentire anche noi per così dire, già raggiunti certamente dallo Spirito Santo, ma nello stesso tempo rilanciati verso una pienezza di una età pienamente e definitivamente spirituale, che introduca questa nostra controversa storia in una pienezza di comprensione, di più di immedesimazione, con la verità tutta intera.

Da un lato scoraggia questo scarto, possibile che noi che viviamo  dell’ Eucaristia, che sintonizziamo, o per lo meno cerchiamo di sintonizzare, la nostra esistenza con la parola del Vangelo, ancora non si riesca a percepire la nostra esistenza, le nostre vicende colme di verità spirituale e dunque capaci di essere bontà, bellezza, giustizia, pace, bene sa chi vive in comune quanto si sia quotidianamente costretti a sperimentare le fragilità delle nostre strutture incallite di peccato, lo dico senza spirito moralistico, verificare cioè le strettoie della nostra psicologia, i limiti dei nostri caratteri, l’impossibilità di planare e finalmente volare alto rispetto alle mille e mille pochezze del nostro quotidiano.

E d’altra parte però ci è di profonda consolazione e di grande stimolo di desiderio riconoscere come nella parola del Vangelo di oggi che c’è una verità tutta intera che ci attende e che segnala appunto questo dato laborioso, sofferto, di cantiere, che di fatto è la Chiesa e per estensione tutta la nostra storia, un’immagine che dà un po’ di speranza a noi che di questo cantiere siamo nello stesso tempo gli operai, gli addetti ai lavori, ma anche coloro che devono ricevere gli effetti di questo insonne travaglio dello Spirito che lavora, disarticolando i nostri schemi arrugginiti, logorati, ripetitivi, cercando di fare della Chiesa questa officina, questo laboratorio di novità perché si riparino o addirittura, direbbe Mario Luzi, si cucino finalmente sulle nostre spalle, delle ali che ci permettano di volare e dunque di immergerci ancora più liberamente nelle dinamiche dello Spirito, questa esperienza che solo il volo riesce in qualche misura a simboleggiare adeguatamente, l’amore del Padre amante, l’amore del Figlio amato non può che risolversi in un turbinio incessante di grazia,  di bellezza, di comunione, che include anche la dimensione distensiva, separativa propria della libertà e dell’amore ma anche l’indole di comunione che riporta tutti alla sorgente, in una dimensione centripeta e centrifuga allo stesso tempo che è la vera libertà fratelli e sorelle, la libertà di distanziarci, di segnare la beatitudine della differenza e dell’alterità contro ogni omologazione, contro ogni monotonia, ma nello stesso tempo non fare della separazione l’esca diabolica delle forze disgreganti e dissipatrici che vorrebbero contrapporci invece l’uno contro l’altro, far diventare così necessaria una divisione inevitabilmente costretta a diventare maledizione generatrice di ostilità, di contrapposizione, di estraneità.

Il respiro dello Spirito invece tiene insieme entità e alterità, diversità ed unità, in una forza coesiva, torno a dire, assimilabile ad un volo, che fa della Chiesa anche questo bellissimo nido dove poter tornare, ritrovando anche –lo dicevamo ieri con i genitori di “La stanza accanto”- i nostri figli perché loro a loro volta ritrovino noi in attesa della loro pienezza.

In una prospettiva fratelli e sorelle che oggi il Libro dei Proverbi lascia immaginare con una sorprendente immagine con cui anche dirci  una buona volta quanta bellezza ci sia nella parola di Dio, nella sua forza immaginifica, creativa, oggi il Libro dei Proverbi assimila i movimenti della Sapienza ad una vera e propria coreografia, una danza e più ancora sorprendentemente ad un gioco. La Sapienza, questa mirabile interfaccia tra Dio creatore e la sua creazione, a farci intendere come fin dall’inizio il nostro Dio non sia un monolite, monocratico, pago di sé stesso, chiuso in sé stesso, Egli pone l’altro da sé amando, e in forza di questa obbedienza che Lui stesso deve al suo essere amore, crea, e nel creato Egli misteriosamente si slancia, si getta, un gettarsi attraverso la Sapienza che non può che essere nello stesso tempo febbrile attività creativa, ma anche misura, eleganza, gioia, danza, dunque tutto quello che è l’arabesco con cui riconosciamo nella Basilica con le sue decorazioni, in questo ci aiuta, i grandi segni, contrassegni, indizi, tracce con cui avvertiamo che questo nostro mondo, questo nostro cielo -a questo ci addestra lo zodiaco della Basilica- pur minato dal nostro peccato, ma anche oggettivamente fragile per la sua dimensione creaturale che include l’energia distruttiva del sisma, del vulcano, tutto quello che spaventa il nostro esporci alla naturalità, è anche però logos del creatore, c’è misura, c’è  un pensiero, c’è armonia, c’è una danza, nella sua dimensione di creatività, di liberazione, bene lo sa       bene lo sa Patrizia che con i loro colori, con la loro creatività generano uno spazio non virtuale, reale, dove vivono i loro amati Alvaro e          , lo spazio dell’arte come espressione che assimila l’umano creato al divino creato, l’umana bellezza alla divina bellezza, in una prospettiva che segnala fratelli e sorelle quello che oggi ci sta sommamente a cuore dirci e ridirci, non c’è separazione, non c’è iato, fra il creatore e la creazione, come esiste in loro una dimensione di relazione, di reciproca inerenza, di dinamica di reciprocità, così fra loro e noi, si situa una forza incontenibile di energia amorosa che ci riguarda, anzi ci risveglia, ci ispira perché il  nostro rassegnarci, il nostro chiuderci, il nostro bloccarci  obbedisca finalmente al ritmo della parola, del canto, della simbolica a questa danza di bellezza, la nostra vita –lo dico in modo particolare alle mie colleghe – la nostra Chiesa si risvegli e sia icona liberante di bellezza, di ispirazione, di sensualità, sennò  i nostri giovani mai più rimettono piede in questi luoghi se ci trovano tristi, monocordi, monocolori senza le ali aperte al capriccio dei venti dello Spirito che certamente possono squilibrare, chi vola come puo’ volare un 747?  Nessuno, però volete mettere la bellezza dei disegni che fa un aliante in cielo piuttosto che quelle rotte industriali che magari rapidamente ci portano da un capo all’altro del mondo, ma che non hanno questa dimensione costitutivamente libera, aleatoria, diciamo pure questa parola coraggiosa, che è l’obbedienza allo Spirito: nessuno sa da dove viene, ci avverte lo stesso Signore Gesù, proprio perché nell’eccedenza dello Spirito nello spazio e nel tempo ci sia in noi questo coraggio, fratelli e sorelle, giustificato, direbbe proprio Paolo, dalla nostra apertura di fede che, uso ancora le bellissime parole di Paolo, ci permettono egli dice: “l’accesso a questa grazia nella quale ci troviamo e ci vantiamo, saldi nella speranza della gloria di Dio. “

Accedere a questa grazia, oggi potremmo dirla così, poterci affacciare da un balcone che ci permette di protenderci verso questo cielo, cogliere che questo infinito brulica di vita spirituale, la Sapienza continua a ballare, a giocare e cerca noi come compagni di danza, cerca noi come compagni di gioco, non ci vuole con le braccia conserte, immobili, statici, impauriti, refrattari, vuole che la fede diventi per noi il coraggioso accesso ad una prospettiva che gradualmente ci educa a slanciarci anche noi in volo. Chi siamo noi per non poter volare? Se veramente ci fidiamo dell’aliseo dello Spirito Santo, di questa forza invisibile ma reale, anzi così reale da essere invisibile perché la sua oggettività  non condizioni, non schiacci, non mortifichi. Questo è il grande, grandissimo lascito del Signore Gesù che ai suoi discepoli proprio per questo dice: è bene per voi che io me ne vada perché se non me ne vado come può arrivare a voi lo Spirito? Lo Spirito chiede questo vuoto, cercavamo di dirlo domenica scorsa e noi che siamo la società della sazietà e della saturazione il vuoto non lo vogliamo, ci spaventa, ci destabilizza.

In quante liturgie trovate un minuto di silenzio, purtroppo spesso anche nelle nostre. Com’è frenetica, per non dire nevrotica, anche la nostra vita spirituale, tutta azione, tutto fare, tutto gestire, tutto mettere in pratica, un moralismo incontenibile che di fatto poi crolla alla prima evidenza, siamo esperti, torno a dirlo alle mie amate sorelle,

noi nel paradosso per cui anche io vestito di bianco scopro che è un colore di speranza, non indica una identità ostaggio del mio cuore, segnala proprio l’eccedenza futura dello Spirito che ci conduce verso un domani tutto intero di amore, di bene, di grazia, che intravediamo da questo balcone e lo intravediamo come quei panorami meravigliosi della Val d’Orcia dove lo sconfinato comunque ha una misura che rende abitabile quella bellezza che potremo davvero raggiungere spostando con ritmo, armonia, come fossimo anche noi danzanti le braccia e finalmente volare.

Ecco queste prospettive fratelli e sorelle credo sia molto importante ricordarcele perché altrimenti corriamo il rischio di perdere di vista come tutta la reciprocità dell’amore del Padre e del Figlio ci renda di fatto otturati a questa dimensione umile dello Spirito, egli non vuole fare altro che riecheggiare la parola del Padre e del Figlio, il loro reciproco e liberante possedersi perché consegnandosi siano di fatto il patrimonio che nel mio cuore diventa  -direbbe Paolo-  il fuoco ardente della carità che si fa combustibile di speranza  e in questa prospettiva davvero meravigliosa sentite come si ridisegni un’altra antropologia che è ostile, contraria, a tutto quello che rende gradualmente l’uomo una macchina, una strumentazione che ha valore finchè funziona, e noi invece qui siamo ad elogiare la gratuità, l’inutilità, lo scialo della danza e del gioco proprio in questa prospettiva.

Ecco, idee impropriamente espresse con la solita confusione di cui vi chiedo scusa ma che offro con grande passione, perché davvero ci sta visitando lo Spirito, non è possesso del Padre e del Figlio ma è umile inquietudine che come vento attraversa le nostre vite.

Prestiamogli ascolto, fratelli e sorelle, diventiamo veramente abitanti del silenzio, della pace, della contemplazione, non sono patrimonio monastico, sono una via umanistica e umanissima con cui finalmente riconoscere che molto prima di quando ce ne siamo accorti, già, nel profondo del nostro cuore, dimora il Padre e il Figlio.

Altro non vogliono se  non sentirsi amati di quell’amore che da sempre riversano nell’intimo dei nostri cuori. Amen!

19 giugno 2022 – Santissimo corpo e sangue di Cristo

 Dal libro della Gènesi

In quei giorni, Melchìsedek, re di Salem, offrì pane e vino: era sacerdote del Dio altissimo e benedisse Abram con queste parole:
«Sia benedetto Abram dal Dio altissimo,
creatore del cielo e della terra,
e benedetto sia il Dio altissimo,
che ti ha messo in mano i tuoi nemici».
E [Abramo] diede a lui la decima di tutto.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi
Fratelli, io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me».
Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me».
Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga.

Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù prese a parlare alle folle del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure.
Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta».
Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». C’erano infatti circa cinquemila uomini.
Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». Fecero così e li fecero sedere tutti quanti.
Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla.
Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.

OMELIA MESSA VESPERTINA

Cari fratelli e sorelle, qui siamo in una zona deserta, affermano nella loro lucidità sconsolata i discepoli, offrendo uno sguardo per molti versi imparentato con la nostra diagnosi circa la nostra realtà, così sottoposta a questa sorta di entropia, di significato, di valore, di potenzialità, di fecondità, resa refrattaria, consunta, erosa dalla nostra divorante modalità di occupare e possedere gli spazi che il Signore affida alla nostra cura, al nostro sguardo finalmente di speranza, di fede, di amore e oggi, fratelli e sorelle riceviamo una parola che invece lascia cogliere come ove è presente l’amore, quando è presente l’amore, anche il deserto può diventare uno spazio fecondo e  nutriente, capace di saziare i nostri cuori e di disporli alla grande avventura del tempo nel quale il Signore colloca la dinamica della nostra esistenza proponendosi, fin dall’inizio della sua rivelazione, come il Dio che era, che è e che soprattutto c’è, come si propone a Mosè nel roveto ardente, a significare come in quella grande avventura di liberazione da ogni ideologia e idolatria, essere accompagnati dall’amore del Signore significherà sperimentare, pur nel deserto, pur nel vuoto, attraverso la fede e la speranza, la concretezza  del suo amore.

Non è difficile cogliere fratelli e sorelle in questa prospettiva tutta la grande dinamica pasquale, quella che abbiamo cercato di evocare con forza commentando di fatto nella grande solennità di Pentecoste, come quell’esperienza dell’amore del Padre, riversato sul Figlio e accolto dal Figlio perché proveniente dal Padre, l’amore cioè che è lo Spirito Santo,  presupponga per raggiungerci esattamente quel vuoto che il Signore lascia con la sua Ascensione, perché la nostra storia, e in modo tutto speciale la nostra Chiesa, animata dallo Spirito Santo, con la forza del desiderio, non temesse di affrontare quel vuoto, anzi lo vivesse come un grande apprendistato di fede, di fiducia col quale, nella divina figliolanza che il Signore Gesù inaugura col nostro Battesimo, potessimo anche noi come Lui sulla croce, aprirci, confidando all’amore nutriente e concreto del Padre, trasformando il nostro deserto interiore, trasformando il deserto di quel vuoto, di quell’assenza, in un giardino autenticamente profetico chiamato ad anticipare il giardino della Gerusalemme celeste laddove verrà dato a tutti coloro che lo desiderano il frutto dell’albero della vita, senza riserve, senza divieti, senza separazioni, in una sovrabbondanza e in una eccedenza che escatologicamente intuiamo essere l’approdo forte della nostra esistenza, l’approdo delle nostre stagioni temporali che vivono  di fatto questo andamento oscillante su cui incide l’amore concreto del Padre attraverso il Figlio, pane vivo disceso dal cielo, e c’è questa dinamica ritmica che noi scopriamo anzitutto ascoltando la concretezza oggettiva del nostro corpo nel suo sperimentare e patire la fame, nel suo godere la sazietà.

Non voglio sconcertare nessuno fratelli e sorelle, ma davvero in forza dell’incarnazione, come già a suo tempo in modo figurato col dono della manna, il Signore parla a ciascuno di noi attraverso le risonanze, il magistero, l’oggettività del nostro corpo, così come molti secoli dopo una grande tradizione filosofica ha potuto finalmente riconoscere che noi siamo il nostro corpo, contro ogni indebito dualismo, senz’altro non cristiano con il quale ci siamo concentrati in un discorso che ha ridotto la pneumatologia, cioè la riflessione sullo Spirito a mera psicologia. Non si tratta di questo, fratelli e sorelle.

Noi dobbiamo ascoltare il nostro corpo e intuire come il Signore Gesù parli esattamente alla fame e sete del nostro corpo e del nostro cuore per accompagnarlo nell’avventura della terra, per farci vincere la tentazione di fermarci dove siamo per paura di patire la traversata del deserto, di esporci al limite, alla fame, alla prova, alla sete, con la nostalgia del già vissuto, come pure aveva sperimentato come richiamo e sirena seducente l’antico popolo di Israele.

E invece noi fratelli e sorelle vogliamo attraversarlo questo tempo ed è molto importante cogliere come questa solennità, per così dire, riesca a mettere insieme queste due polarità, da un lato il dono del corpo del Signore Gesù, dono vivo di un corpo vivo, di una carne viva, di un sangue vivo, fratelli e sorelle, non basta qualsiasi lessico della tradizione pur di sottolineare l’oggettivo realismo della presenza reale del corpo vivo del Signore nel cuore della sua Chiesa, pena la squalificazione della nostra esperienza col Signore o in un intellettualismo di sapore gnostico o in un moralismo con il quale limitare tutta la questione semplicemente alla possibile, in realtà  impossibile dignità del nostro cuore nel ricevere tanto dono.

Noi fratelli e sorelle ci poniamo in questo cammino certi di essere nutriti dall’amore del Signore Gesù, un amore che lo ha condotto alla morte, gli ha fatto sperimentare il vuoto della croce, quello che Paolo insistentemente chiama giustamente lo svuotamento del Signore Gesù, con un linguaggio audace, paragonabile al deserto in cui noi viviamo fratelli e sorelle, e non a caso il Signore Gesù inizia la sua missione nel deserto, che lo addestra a vivere l’esperienza della croce confidando nel Padre, respingendo le seduzioni del diavolo, del divisore, ma d’altra parte noi abbiamo ascoltato fratelli e sorelle ciò che ci dice Paolo: “Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga”.

La prospettiva di cui parlavamo prima, quella escatologica del Signore presente alla fine della storia, torna alla fine della storia, si insedia per così dire, in questo vuoto, reso possibile da tutto il grande mistero pasquale, morte, crocifissione, passione, resurrezione, ascensione del Signore Gesù e dono dello Spirito con il quale attraversare questo tempo di assenza fisica del Signore.

Ed è esattamente in questo tempo  che noi sperimentiamo e dobbiamo tornare a sperimentare la fame e la sete di quella pienezza che solo il Signore dell’amore può donarci scoprendo così, fratelli e sorelle, da un lato la provvisorietà della nostra fame e della nostra sete perché abbiamo un Dio che ci guarda con amore, non si dimentica di noi  e d’altra parte, vincendo la tentazione di quella sazietà che diventa saturazione, atrofia dei nostri desideri, blocco del nostro cammino, e abbiamo il Signore che ridesta in noi la fame e la sete di Lui perché il nostro cammino sia animato da questa tensione che ci accompagni gradualmente, ma nello stesso tempo impetuosamente, a quell’orizzonte estremo del tempo finché Egli venga, finché Egli ritorni.

Se noi non inquadriamo tutto il mistero eucaristico in questa tensione polare, fratelli e sorelle, noi perdiamo di vista come l’Eucaristia sia davvero una grande lente di amore che con la sua luce amorosa ci illumina davvero sul significato della storia e della nostra condizione fisica, psicologica e spirituale chiamata ad  attraversare questa storia in obbedienza alla parola del Padre che ci ha chiamato per questo alla vita, non per altro, in una dimensione di tensione generativa e desiderativa necessariamente esposta alla consunzione e alla fame e proprio per questo bisognosa di essere nutrita, ma non per questo viziata da quell’idolo che per così dire ferma con la sua indole di soddisfazione tutto un appetito che invece proprio oggi chiediamo al Signore di risvegliare in noi, assetati di verità, assetati di bellezza assetati di giustizia, assetati di significato e intuendo che tutto questo non può che scaturire dall’esperienza gratuita, immeritata, generativa di stupore, che è il dono che di sé fa il Signore Gesù con la sua morte, lasciando che il suo corpo si frantumi in mille pezzi destinati a colmare ceste con cui sfamare l’umanità intera e quelle dodici che avanzano   essere il segno di quel banchetto futuro di cui ogni Eucaristia è singolare previsione e anticipo.

Che questo arco temporale, finalmente reso teso al nostro sguardo dall’amore eucaristico del Signore Gesù, possa cessare di spaventarci, indurci a essere uomini e donne che senza paura, con la ritrovata fede,  grande amore e grande speranza sanno tornare a far fiorire anche il più arido dei deserti. Amen!

Trascrizioni a cura di Grazia Collini

Condividi sui social