Omelie

«Come Giona nel ventre della balena, ma destinati alla luce». Due omelie del padre abate Bernardo per questa Pasqua di Risurrezione

3 aprile 2021 – Veglia pasquale

Dal Vangelo secondo Marco

Passato il sabato, Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo e Salòme comprarono oli aromatici per andare a ungerlo. Di buon mattino, il primo giorno della settimana, vennero al sepolcro al levare del sole.

Dicevano tra loro: «Chi ci farà rotolare via la pietra dall’ingresso del sepolcro?». Alzando lo sguardo, osservarono che la pietra era già stata fatta rotolare, benché fosse molto grande.

Entrate nel sepolcro, videro un giovane, seduto sulla destra, vestito d’una veste bianca, ed ebbero paura. Ma egli disse loro: «Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. è risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l’avevano posto. Ma andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro: “Egli vi precede in Galilea. là lo vedrete, come vi ha detto”».

Omelia:

Fratelli e sorelle tutto si fonda su questa negazione “Non è qui”.

Essa accerta un vuoto, uno spazio, un utero nella storia, da concepire come una speranza ineffabile e indicibile. Si accede a questo vuoto attraverso un passaggio, una Pasqua, resa praticabile da alcuni che hanno rimosso una pesantissima pietra; ci si domanda chi possa essere stato capace di tanta energia, certamente lo Spirito inviato dal Padre che non sopportava il vuoto oscuro e  angosciato ove era precipitato il Crocifisso e tuttavia a ripensarci, fratelli e sorelle, soprattutto a rivivere con voi i gesti antichi e sempre nuovi di questa meravigliosa liturgia, ci si domanda se anche noi non siamo interpellati per essere le mani, la forza, il cuore, i sensi, l’intelligenza, la responsabilità, la cura, il coraggio per essere chiamati a spostare la pietra che impedisce a tanti, troppi, di accedere in questo spazio vuoto ove concepire, con le energie dello Spirito, la forza dell’ amore, una speranza inedita per questa nostra storia altrimenti condannata a sentirsi estranea, refrattaria, a quello che abbiamo pregato e ascoltato anche in questa veglia necessariamente abbreviata, la possibilità cioè di questo compimento performativo, inesausto, dell’amore del Padre chiamato ad estendere in ogni luogo e in ogni tempo l’evento pasquale.

Mi sembra questa una delle acquisizioni più significative e impellenti in questo momento storico, in questa veglia-non veglia, al crinale paradossale fra luce e oscurità, estendere l’opera di compimento dell’amore del Padre nei riguardi del suo Figlio risorto qui e ora, anzitutto, fratelli e sorelle, lasciandoci precipitare tutti noi nell’oscurità ove siamo entrati all’inizio di questa celebrazione, un’oscurità paradossale, quest’anno nemmeno rischiarata dalle vostre candele.

Mi ha fatto tornare in mente qualcosa che poteva essere stata l’esperienza di Giona nella balena, mai come stasera ho pensato alla nostra Basilica come il ventre in cui è stato inghiottito Giona, dove è stata inghiottita la nostra umanità, figura della sepoltura del Signore Gesù, ci avvertono i Padri, esperienza simbolica, reale, concreta e tuttavia capace di evocare politicamente  le nostre migliori energie creative per ripensare in una chiave di speranza, fratelli e sorelle, l’evento pandemico, simbolo a sua volta, per tanti versi, lasciatemelo dire con coraggio, voi che siete uomini e donne di grande fede,  provvidenziale, oso dire questo per smascherare le nostre presunzioni, le nostre prepotenze, i nostri individualismi. Certo non sono fra quelli stolti che dicono che il Signore ha mandato la pandemia. Non è questo dire che un evento è provvidenziale. Provvidenziale è l’evento che apre la nostra lungimiranza ad uno sguardo che va oltre l’immediato e prova a rimettere insieme –symballein– simbolicamente, tutto quello che fuori da questi perimetri viene semplicemente maledetto perché indisponibile alle nostre mentalità per le quali tutto deve tornare, per esaltare le nostre capacità di autoaffermazione. Niente da fare.

Stanotte ci siamo smarriti in questa paradossale veglia-non veglia, entrando nella nostra Basilica, lasciandoci gradualmente avvolgere da una oscurità che ha costruito mirabilmente intorno ai nostri occhi e alle nostre presenze fisiche, il grembo che doveva essere il ventre della balena e nello stesso tempo le pareti colme di muschio dentro il quale è stato sepolto il Signore Gesù.

Ecco allora che abbiamo recuperato, fratelli e sorelle, la disponibilità  del cuore, dell’intelligenza a lasciarci catapultare fuori dallo Spirito Santo, non in una banale riconquista della nostra presunta libertà quando sarà finita la quarantena, sarà molto importante anche quell’evento, ma non ci basta, non può bastare al desiderio infinito del nostro cuore la semplice libertà di muoverci da un comune all’altro, da una regione all’altra, da una nazione all’altra, agli orari degli aerei che tornano alle mie pianificazioni, alle mie agende, non può bastare, significherebbe che non abbiamo colto e letto fino in fondo il kairos di questa radicale destrutturazione che è accaduta e che accade da un anno, fratelli e sorelle, che ci invita con forza a riprendere sul serio non in un banale orizzonte moralistico o virtuosistico, quello che Paolo ci ha detto incoraggiandoci ad essere intimamente uniti al Signore Gesù, a somiglianza della sua morte, per essere somiglianti alla sua resurrezione.

E’ chiaro che qui c’è in gioco tutta la nostra condizione umana, tutto il travaglio della storia, tutta la fatica, il labor, di quella eclissi di luce che ha rappresentato e che rappresenta questo tempo storico e che chiede, fratelli e sorelle,  la nostra adesione siderale, fosforescente, sapiente, per collaborare con l’amore di Dio che si fa strada in questa sofferenza, come lui si fa strada nella sofferenza dell’uomo, non certo con una ostentazione di potenza, ma come regola dell’amore e dell’amore trinitario, caricandosi su di sé della nostra sofferenza. Questo è il modo con cui Dio trinitario si fa strada nella nostra storia, e la cosa ancora più bella di tutto questo, fratelli e sorelle, è che ci rende partecipi, protagonisti del suo protagonismo di amore.

Ha provato a farlo nel tempo quaresimale se siamo stati disponibili a lasciarci lavorare in questo meraviglioso artigianato di ricostruzione della nostra condizione umana, in questo appello che oggi è risuonato alla nostra intelligenza nella possibilità che al nostro vecchio cuore di pietra ormai insensibile, refrattario, abituato a tutto, noi non ci scandalizziamo più di niente perché conosciamo tutto  e il contrario di tutto, e invece questa vicenda non la conoscevamo, per fortuna.

E allora l’unico modo, fratelli e sorelle, per viverla intimamente, immersi nel mistero dell’amore trinitario, il che significa intimamente sommersi, non solo nel ventre della balena, non solo nel grembo della sepoltura del Signore Gesù, ma soprattutto nel suo cuore, è questa nostra disponibilità, uso una espressione forte, biblica, a lasciarci buttare fuori dall’energia dello Spirito Santo, fratelli e sorelle.

Non voglio scandalizzarvi, non voglio sconcertarvi, ma sapete come abbia in odio qualsiasi addomesticamento della forza bruta dello Spirito Santo che ci chiede di essere quelle pietre scartate dai costruttori che pensavano ad altro, ignorando tuttavia che per costruire qualcosa di nuovo, lo Spirito Santo agiva e doveva agire con una creatività che chiama proprio tutti coloro che sono i lontani, gli smarriti, i dispersi, i peccatori, noi fratelli e sorelle, noi!

La consapevolezza è grandiosa, pari alla lucidità con la quale, riconoscendoci perdonati, sentiamo che le pur meravigliose pareti di San Miniato stanno strette adesso all’urgenza che dovremmo patire, quella cioè di essere lanciati fuori dalla stessa esplosione che ha tirato fuori dalla morte e dalla sepoltura il Signore Gesù, per questa dinamica di amore scaturita dal Padre, fratelli e sorelle.

Per questo l’avvertimento “è vuoto quel sepolcro”, vuoto, significa che sono smarriti i punti di riferimento e quelli che vengono restituiti alla comunità credente sono meravigliosamente dinamici, come ci insegnerà ancor meglio il Vangelo di Emmaus domani pomeriggio per chi vorrà tornare  a lasciarsi educare dalla liturgia in quello che stiamo sempre più scoprendo essere un cantiere fratelli e sorelle, dove si riqualificano i nostri sensi, la nostra intelligenza, la nostra chiave di lettura della realtà, in una dimensione che, lasciatemelo dire, nella mentalità di chi ha costruito queste cose, niente sapeva, tecnologicamente parlando di una miriade di cose, ma riusciva a tenere insieme, come noi più non riusciamo a fare, terra e cielo, quel crinale che abbiamo cercato paradossalmente di percorrere insieme stasera, abbandonando la luce del vespro in questa veglia-non veglia per lasciarci inghiottire dall’oscurità di questo ventre e adesso, illuminati dal fuoco del Risorto, essere pronti di nuovo ad affrontare la notte di questo mondo, per essere astri di speranza, di amore e di consolazione indefettibile.

“Ogni oggi ha una chance” -diceva Dylan Thomas- la nostra chance è questo domani al quale questa santa veglia-non veglia di oggi ci prepara. Amen!

1 Aprile 2021 – Giovedì Santo

Dal Vangelo secondo Giovanni

Prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine.
Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariota, di tradirlo, Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto.
Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: «Signore, tu lavi i piedi a me?». Rispose Gesù: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci; lo capirai dopo». Gli disse Pietro: «Tu non mi laverai i piedi in eterno!». Gli rispose Gesù: «Se non ti laverò, non avrai parte con me». Gli disse Simon Pietro: «Signore, non solo i miei piedi, ma anche le mani e il capo!». Soggiunse Gesù: «Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto puro; e voi siete puri, ma non tutti». Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: «Non tutti siete puri».
Quando ebbe lavato loro i piedi, riprese le sue vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi».

Omelia:

Fratelli e sorelle, anzitutto la consapevolezza che ciascuno di noi rappresenta una famiglia troppo piccola per un solo agnello, abbiamo bisogno di raggiungere una famiglia accanto, e raggiungere così un numero adeguato per questo agnello pasquale. Mi sembra sia la prima consapevolezza, il primo frutto importante di questa Pasqua che ci vede finalmente riuniti a celebrare insieme  il mistero della morte e della resurrezione del Signore Gesù dopo una sosta incredibile e impensabile, rappresentata dallo scorso anno.

Quest’anno siamo insieme, fisicamente insieme, e viviamo la consapevolezza che quella solitudine, quella separazione, rappresentava fra le altre cose una insufficienza strutturale in rapporto a questa grazia di comunione che, fin dai remotissimi tempi dell’esodo, invita quel popolo a costituirsi come famiglia di famiglie in una celebrazione si direbbe plurale dell’esperienza di liberazione, facendo tesoro di quello che noi siamo, del numero che noi siamo, in una sapiente articolazione della nostra molteplicità, in vista di quella unità coesiva che viene generata dalla consapevolezza dell’offerta che fa di sé il Signore perché, cibandoci dell’unico pane e dissetandoci all’unico calice, si rinnovi la consapevolezza di questa unità, al servizio dell’intera famiglia umana per rappresentare una testimonianza che sia di netta opposizione e di smentita a tutti quei processi di disgregazione, di separazione, di frammentazione, di individualismo che sembrano così disponibili a rassicurare le nostre inquietudini, le nostre paure: abbiamo maledetto la quarantena e tuttavia ci portiamo dietro, nel cuore, un contagio pericoloso, la sensazione che debba continuare una sorta di solitudine autoimmune, con la quale difenderci dal mondo, dalla vita, dalla storia.

Mi colpisce tantissimo come il Signore “ama i suoi che sono nel mondo”, come cioè il Signore Gesù esponga sé stesso allo scenario storico ed esistenziale dove incontra i suoi, e li incontra nel mondo, nella storia che diventano lo spazio, il luogo, si direbbe teologico, dove il suo amore possa donarsi fino all’estremo, un estremo che segnala tutte le qualità possibili di un amore che non conosce limite, un amore fatto per durare fino alla fine, per sempre, con un tratto di perseveranza, di pazienza, così estranea alla nostra incostanza, così estranea alle nostre nevrosi, così estranea alle nostre paure.

Gli insegnamenti mi sembra che proseguano secondo questa indole magisteriale propria della qualità della liturgia della Passione nella quale siamo entrati solennemente domenica scorsa e che adesso conosce una accellerazione molto significativa, accellerazione tutta speciale, perché stiamo entrando, fratelli e sorelle,  in una sorta di corridoio liturgico che accellera questi nostri tempi, questi nostri gesti, questi nostri minuti per sfociare e conchiudersi nella veglia pasquale, come se ci fosse una sorta di galleria del vento dentro la quale la Chiesa entra, per essere spinta dal vento dello Spirito per non perdere un’altra delle qualità essenziali con cui quell’antica famiglia di famiglie vive quella notte di liberazione, facendo tesoro della preziosità e della realtà dell’agnello, questo mangiare in fretta, questa  consapevolezza che sono minuti preziosi che scorrono perché il Signore intende liberarci dalla dittatura di un tempo senza qualità, intende liberarci dai nostri lenti e soverchianti fatalismi e da ogni forma di oppressione, intende in questa fretta restituire i nostri corpi, i nostri cuori, i nostri pensieri alla cinetica dello Spirito Santo, che significa, fratelli e sorelle, entrare in un dinamismo che andrà certamente temperato dall’andamento pure meditativo di questi giorni e la meditazione servirà proprio per, in certo senso, dare complemento a questa rapidità delle forze in gioco, “fallo presto quello che devi fare”- dice Gesù a Giuda, sentiamo che il tempo incalza, fratelli e sorelle, e in questa prospettiva l’andamento meditativo che è riservato a quei tempi che si interpongono fra le azioni di un’unica gestualità liturgica, vi ricordo che si estende in questi giorni, serviranno per non disperdere il grande magistero della Passione del Signore, come abbiamo pregato nella Domenica delle Palme.

Cosa ci insegna la Passione del Signore? Mi sembra fratelli e sorelle che la Passione del Signore in questo anno tutto particolare, ci educhi a questa dimensione con la quale riscoprire la nostra amabilità nonostante tutto, questo essere amati, essere lavati, essere raggiunti da un Dio che sprofonda fino ai nostri piedi.

Mi aveva molto colpito l’omelia del Santo Padre all’inizio di Quaresima, egli ci ricordava come ciascuno di noi avesse dovuto inchinarsi per ricevere le ceneri e fare di questa curva, antitetica ad ogni nostra autoesaltazione, l’inizio di una discesa dove incontrare al suo estremo la discesa che Dio fa per arrivare proprio ai nostri piedi per lavarli, per restituire cinetica, dignità, pulizia, chiarezza ai nostri passi, ai  nostri movimenti, quindi alle nostre prospettive, in una dimensione che pure tante volte abbiamo sottolineato in questo tempo quaresimale, di restauro della nostra condizione umana, restauro fratelli e sorelle che non possiamo affidare soltanto alla cura e alla pratica della vaccinazione, con tutto il rispetto, ma attenzione a non lasciarci prendere da questa  ipertecnologizzazione con la quale ancora una volta, ridurre i parametri del nostro vivere a quelli della sopravvivenza, come se ci bastasse sopravvivere al Covid, in forza del vaccino; siete troppo sottili per capire che non sto facendo polemiche contro il vaccino, lo dico con chiarezza, sto solo cercando di sollecitare ciascuno di noi, me per primo, a rieducarci a questa qualità infinita dell’amore del Signore Gesù, il quale se sconfina nella piccolezza del nostro cuore, fino alla fine, noi che siamo nel mondo, perché evidentemente ha cura di farci riscoprire la qualità altrettanto infinita di una potenziale eccedenza che il mistero pasquale invita a riscoprire attraverso questo gioco di chiaro scuri nei quali c’è tutta la nostra storia, tutta la nostra vita, principiando da Giuda, colui che ha il singolare duplice privilegio di fare per primo comunione col Signore Gesù allungando la sua mano fra le briciole del piatto del Signore Gesù e nello stesso tempo ha il privilegio dell’ultimo bacio del Signore Gesù, prima della sua morte.

Interroghiamoci su queste polarità che segnalano ancora una volta come il Signore Gesù sconfini, si direbbe a corpo morto nella morte    dei nostri peccati, nella sua vitalità per decostruirla ancora una volta al suo interno, lasciandosi “contaminare” almeno a livello epidemico da tutto quello che significa la nostra tentazione di disgregrazione, di infedeltà, di rinuncia, di non perseveranza.

Il Signore Gesù ci dona questa possibilità sempre nuova di entrare in comunione con i suoi estremi, con i suoi orizzonti infiniti e questo credo davvero sia quanto dobbiamo portare di più prezioso nelle nostre case come magistero della Passione di un tempo di  questa strana qualità, qualità  dell’essere  amati, perché amati così dal Signore Gesù, e questa prospettiva fratelli e sorelle è la riscoperta  di una verticalità sulla quale pure abbiamo tanto insistito, domenica dopo domenica, in questo cammino quaresimale, perché se non parliamo di verticalità è difficile cogliere tutta la pregnanza di quella orizzontalità fraterna che si genera in forza di quella indicazione chiarissima che il Signore Gesù lascia come memoriale  pratico alla sua Chiesa: “fate così anche voi l’uno all’altro, come io ho fatto a voi”. “Anche”, come lo avete ascoltato dalla prima lezione del Vangelo come il Signore Gesù si ponga quale garante di un amore che nella sua forza liberante attraversa ogni spazio, ogni tempo, proponendo così alla nostra consapevolezza una riscoperta dell’essere amati da un orizzonte di paternità che restituisce alla mia vita il senso di un’origine e conseguentemente il  respiro, la libertà, la speranza, la consolazione, la dignità del sentirci vivi non per caso ma per desiderio.

E tutto questo lo diciamo con forza fratelli e sorelle qui nella nostra autoconsapevolezza ecclesiale che si celebra in modo tutto particolare il giovedì santo, passa per essere la festa dei presbiteri, ma credo che sia una riduzione clericale non abbastanza giustificabile rispetto all’altra ragione del festeggiamento di questo giorno così complesso, così chiaroscurato, la consapevolezza che noi dobbiamo essere quel laboratorio di ecclesialità che vive con la massima intensità possibile la verticalità e l’orizzontalità dell’amore trinitario, così da essere nel mondo intero una cellula sana di quella energia performativa che strappa l’uomo e la donna del nostro tempo dalla consapevolezza dell’abbandono, della solitudine, della frustrazione  e della rassegnazione.

Dipende moltissimo da noi, anche se tante volte nella nostra mentalità si fa strada una mondanità  che porta al disimpegno, alla deresponsabilizzazione, di cosa il Signore affidi come peculiare alla sua Chiesa, cioè a ciascuno di noi in termini di fedeltà fino alla fine dell’essere amati per poter amare come anche lui ci ama, ci lava, ci nutre, ci salva.

Questo è un monito che faccio naturalmente anzitutto a me stesso che ho anche una responsabilità tutta speciale come padre della mia comunità, in una esperienza che accomuna noi per questo Giovedì Santo 2021, manca per le ragioni notissime della pandemia il gesto, cioè l’espressione performativa di questo Vangelo, che è la lavanda dei piedi, ma trasformiamo  questo deficit liturgico in un vantaggio, cioè nel fatto che ognuno di noi ha da trovare il modo con cui nelle prossime ore potrà lavare i piedi al suo prossimo e lasciarseli lavare.

La fantasia dello Spirito in questa galleria del vento aperta da questa meravigliosa liturgia del triduo, indicherà a  ciascuno di noi come e quando accostarci agli altri per sprofondare, come ci ha raccomandato Papa Francesco, laddove incontreremo il volto del Cristo che sprofonda nella nostra umanità, per ricondurci alle vertiginose altezze del Padre celeste. Amen!

Trascrizione a cura di Grazia Collini

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