Omelie

«Chiaroveggenza e profezia di un ritrovato monachesimo». Omelia del padre abate Bernardo per la professione monastica solenne di Dom Benedetto Maria nella Solennità di san Benedetto

Domenica 11 luglio 2021

Solennità di San Benedetto

Professione solenne di Dom Benedetto Maria, monaco dell’Abbazia di San Miniato al Monte

 

-Figlio carissimo che cosa chiedi a Dio e alla Sua Santa Chiesa?

-Chiedo la misericordia del Signore e il dono di poterlo servire con maggiore perfezione nella famiglia monastica  della congregazione benedettina di Santa Maria di Monte Oliveto impegnandomi a perseverare in essa fino alla morte

-Rendiamo grazie a Dio

  

Omelia

Fratelli e sorelle, è risuonato in Basilica l’invito che il Signore, attraverso Amasìa rivolge ad Amos: “vattene veggente, ritirati nella terra di Giuda, là mangerai il tuo pane e là potrai profetizzare”.

Trovo molto bella questa qualificazione della profezia come visione: essere, diventare veggenti, capaci di uno sguardo che vada in profondità, in lungimiranza, che sappia accorciare ogni distanza fra il nostro incerto presente e gli orizzonti estremi di Dio, attraverso anzitutto l’umile  dedizione all’ascolto della parola del Signore, in una dinamica di obbedienza che segnala e rivela il bisogno che noi abbiamo di accogliere la rivelazione del Signore, per diventare ciò che il Signore desidera che noi diventiamo, in una prospettiva che fa delle nostre vite un misterioso e capiente recipiente di quella grazia che Egli intende riversare nei nostri cuori, nella nostra esistenza, per renderci partecipi dell’unica vera e comune vocazione che assimila tutto il popolo di Dio in quel movimento verso la santità, destino delle nostre vite.

San Paolo in questa sua vertiginosa riflessione teologica lo esprime con grande chiarezza e grande forza, in quella immagine meravigliosa secondo la quale siamo chiamati a diventare lode della sua gloria, in obbedienza a un progetto che viene dall’alto e orienta le nostre vie verso una profondità che tendiamo inevitabilmente a dimenticare, schiacciati come siamo nel labirinto delle nostre piccole e provvisorie contingenze e provvisorietà, che esigono, esse sole, una visione corta, di stretto respiro, di una microscopica capacità di intuizione alla quale sembra ormai condannata la nostra incapacità di fare, e soprattutto diventare storia, e tanto più nell’orizzonte di Cristo, storia della salvezza.

Per questo fratelli e sorelle ci sembra davvero un dono grandioso l’obbedienza umile e decisa del nostro caro fratello Benedetto, il quale ha risposto all’appello del Signore: lascia la tua casa, entra in uno spazio nuovo, diventa veggente, capace cioè di uno sguardo che restituisca al suo e al nostro cuore, quegli orizzonti per i quali la nostra condizione umana è stata desiderata, pensata e voluta dall’amore di Dio.

Verrebbe da domandarci, fratelli e sorelle, ascoltando l’invito che il Signore fa ai suoi discepoli di mettersi in cammino, di camminare a due a due verso viaggi e orizzonti, ogni giorno da escogitare per non tenere ferma la rivelazione del Signore, per non tenere confinato nell’angustia delle nostre paure il disegno cosmico proprio del Regno di Dio e tuttavia il Vangelo non ci dice quale debba essere il contenuto di questo annuncio. E’ certamente un annuncio che cambia la vita, il Vangelo parla di conversione e di conversatio farà tra qualche istante definitivo voto il nostro Benedetto, assumendo cioè lo stile, il metodo della trasfigurazione del proprio cuore come cifra permanente della sua verità di cristiano, di figlio e, fratelli e sorelle, di monaco. La conversatio, incessante cambiamento dei nostri cuori, tentati di rinchiudersi anche loro nella ristrettezza microscopica di labirinti angusti e senza grandi orizzonti per aprirsi ai disegni estremi del Regno di Dio.

E dunque noi questi contenuti li intuiamo proprio ritornando alla meravigliosa meditazione che San Paolo offre alla nostra intelligenza, una meditazione, fratelli e sorelle,  che ci sembra colga perfettamente il senso dell’esperienza monastica e in definitiva di tutta la vita cristiana, trasformare quella invocazione iniziale “Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo” in una costante azione di benedizione, trasformare cioè una esperienza che rischierebbe di restare cornice e semplice formalizzazione di un dato di fede, in una esperienza incessante dello Spirito che diventa così il protagonismo di una vita, quella del nostro Benedetto, quella dei nostri monaci, quella in realtà di tutti i credenti che deve diventare benedizione del Signore, testimonianza del suo amore, coraggio nel dilatare i confini di un amore che troppe volte resta escluso ai più, per la nostra pigrizia, per la nostra tiepidezza, per le nostre paure.

Tutto questo si compie fratelli e sorelle, nello spazio riservato del monastero, lo spazio indubbiamente che restituisce alla Chiesa la consapevolezza di ciò che è l’elemento decisivo del contenuto dell’annuncio, quello che noi osiamo custodire nella penombra del chiostro attraverso l’incessante ritmo liturgico, attraverso l’ascolto della parola, attraverso la sua pratica nell’esperienza necessariamente quotidiana dello slancio di amore fra noi fratelli, dello slancio altrettanto necessario del perdono fra noi fratelli, dello slancio sempre più decisivo con il quale uscire dalle nostre grettezze e mediocrità per consegnare tutto della nostra vita, in un respiro che ci supera, che eccede e che restituisce  alla nostra esistenza quello zenit che è il vertice in ordine al quale tutto sussiste e tutto è orientato, come lo stesso Paolo con grande forza ci dice, in una prospettiva che è bene ribadire, noi che siamo segnati dalla paura del futuro, da un calcolo estremamente debole e fragile del tempo che verrà, Paolo ce lo dice con grande chiarezza: “il governo della pienezza dei tempi” che ha come fine estremo ricondurre al Cristo, unico capo, tutte le cose, quelle del cielo e quelle della terra.

Pienezza dei tempi dunque, fratelli e sorelle, verso la quale si orienta la nostra vita che fa esattamente della circolarità architettonica e temporale del ritmo quotidiano della vita monastica, la messa a fuoco di un punto zenitale che troppe volte, nella cangiante atmosfera del nostro caotico quotidiano, rischiamo di perdere di vista.

Per questo Benedetto vuole i suoi monasteri luoghi di accoglienza, per restituire a tutti voi, attraverso questo speciale periscopio di bellezza, la consapevolezza che i tempi non ruotano su sé stessi come la mola di una macina che inevitabilmente distrugge e frange tutto ciò che incontra, ma al contrario i tempi si aprono in una linea retta che impone la messa a fuoco di uno sguardo ulteriore, di una speranza macroscopica, di una vittoria sul labirinto che sembra condannare i nostri passi su sé stessi.

Questa prospettiva fratelli e sorelle, vissuta nell’intensità quotidiana e apparentemente inutile della vita monastica, ci sembra in realtà un esercizio grandioso che concentra la nostra esistenza in un laboratorio dove nulla di noi è escluso, fratelli e sorelle, lo dico forse anche con un orgoglio di appartenenza, perché negarlo? Con una paternità che vuole estendere alle fibre estreme dei propri monaci, dei propri figli, coloro che il Signore ha avuto la bontà di affidare alla mia indegna paternità, questa esperienza di totalità che vuole essere una misteriosa concentrazione, quasi un anticipo, di questa meravigliosa espressione che consegno ai vostri cuori, perché non siete esclusi da questa grandiosa dinamica, oltremodo necessaria in questi tempi di dissipazione:

ricondurre al Cristo tutte le cose.

E qui emerge, fratelli e sorelle, una forza trainante, che non è nostra certamente, è quella dello Spirito, ma la possibilità data, attraverso il laboratorio quotidiano della convivenza monastica, di tornare ad intercettare questa autentica, verace, feconda, cinetica filigrana in forza della quale tutto quello che ci sembra condannato ad un caotico disordine, ritrova ed esprime il suo orientamento, la sua direzione: ricondurre a Cristo tutte le cose.

Significa che ogni realtà ha una sua vocazione e questa autentica vocazione, che oggi Benedetto fa risplendere nella sua vita e nel cuore della nostra comunità, è esattamente obbedire alla dinamica dello Spirito amato e amante che ci riporta a colui che dell’amore è sorgente, il Padre, in forza di quell’amore che il Figlio non ci fa mancare in ogni istante della nostra vita.

Ecco tutto questo fratelli e sorelle, dico con grande passione in un momento che sento per così dire quasi una sorta di terza finale, in questa domenica significativa dello sport italiano, ci sarà Wimbledon, ci sarà Wembley, ma c’è soprattutto a San Miniato il nostro Dom Benedetto, egli gioca una sua finale significativa che mostra a tutti la possibilità di vincere il torneo dei tornei, la vera vittoria, quella di strappare la nostra esistenza dalla tentazione di non avere un significato, una meta, uno scopo, un orizzonte, quello di sentire la nostra esistenza condannata ad una solitudine di sordità e di cecità, quella di vedere i nostri corpi fragili involucri senza alcun messaggio da serbare, trovare e condividere .

Ecco la grande finale che il nostro Benedetto oggi gioca, vincendo per noi. Consegnare la sua umana  e creaturale vulnerabilità, che è la vulnerabilità di noi tutti, all’abbraccio fortificante del Padre perché, assimilandolo con lo Spirito al Figlio amato, egli possa essere il segno, la traiettoria, il vettore che incoraggia ciascuno di noi a ritrovare quella pienezza dei tempi ed una volta messo a fuoco quello zenit temporale, tutto quello che ci viene donato, tutto quello che noi incontriamo, tutto quello che attraversiamo, da ricondurre al Cristo, con la nostra forza, la nostra passione, e per grazia di Dio anche una debolezza che lo Spirito Santo saprà trasfigurare in indomita energia. Amen!

 

Trascrizione a cura di Grazia Collini

Fotografia di Mariangela Montanari

 

 

 

 

 

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