«”Augurio” di Mario Luzi: auspici pasquali per i nostri giorni sofferti». Una riflessione di padre Bernardo

«”Augurio” di Mario Luzi: auspici pasquali per i nostri giorni sofferti». Una riflessione di padre Bernardo

Meditazioni

«Augurio» di Mario Luzi: auspici pasquali per i nostri giorni sofferti

Percorrendo assieme l’accidentato crinale di questi giorni di passaggio, segnati da timide e rapsodiche riaperture dopo giorni e giorni di angoscianti scansioni di monotoni minuti e soffocanti contrazioni di pareti e soffitti sotto i quali solo con scarse fortune siamo riusciti a ritrovare quel cielo in una stanza cantato da generazioni di italiani, non trovo auspicio migliore che proporvi i bellissimi versi di Mario Luzi intitolati Augurio pubblicati per la prima volta nel remoto 1960. Se non altro avranno il merito di restituire i nostri cuori alla forza immaginifica e all’energia creativa della parola poetica, noi che oggi ci dobbiamo invece rassegnare alla successione modulare di fase 1 fase 2 fase 3 come se solo l’aritmetica fosse in grado di misurare e qualificare le sofferte settimane che viviamo, così assetate semmai di speranza, di rinascita, di fantasia, di prospettive finalmente creative. Con un verso ancora di Mario Luzi potremmo dire così avide di quella che in Opus florentinum di molti anni dopo egli avrebbe evocato come «sostanza di futuro». E allora auguriamocela per questi giorni schizofrenici fra severe normative igienizzanti e affollate urbane movida una «sostanza di futuro» che il poeta ci fa sospirare situando il nostro cuore in ascolto nel cortile di un immaginario, colossale condominio, un vero alveare in cemento, dove tanta serialità architettonica e grigio assembramento sociale si lasciano riscattare o meglio trasfigurare dalla poesia, anzi dalla coralità della poesia, perché per Luzi la poesia vera non può non essere coralità, come lo deve essere la città, la chiesa, l’umanità in genere pena lo sventurato destino di solitudine cui precipita l’individuo prigioniero di se stesso. Ascoltiamo dunque questa intonazione augurale, essa sgorga dal tessuto organico delle periferie delle nostre città, di cui peraltro sono il vero cuore contraddittoriamente palpitante e rassegnato. È mattina, si direbbe quella che nel lessico liturgico noi monaci chiamiamo e cantiamo l’ora prima, la primizia della giornata, la luce si è consolidata, la notte è  liquidata quasi per sempre, i letti sono vuoti, le camere da rifare, l’ordine cosmico dopo il caos delle tenebre da ristabilire mediante una sacramentalità domestica di faccende quotidiane, di allenata e muscolare dedizione che fa delle giornaliere pulizie un epico agone contro la sporcizia, contenuta, anzi arginata e dissolta dall’operoso spandersi di cera, di strofinacci e ancora di spazzole e panni che ritmano il canto della vera protagonista di questa poesia, una donna, una «nuova maritata» che inseguita dalla mattina ne placa l’affannosa rincorsa con la voce melodiosa sostenuta dagli strumenti umili ma grandiosi di casa, cellula di un più vasto alveare tutto raggiunto e anch’esso trasfigurato dal suo canto  che «introna / l’aria già di primavera» e colma di se il moderno chiostro di quel popolare casamento.

Camera dopo camera la donna

inseguita dalla mattina canta,

quanto dura la lena

strofina i pavimenti,

spande cera. Si leva, canto tumido

di nuova maritata

che genera e governa,

e interrotto da colpi

di spazzole, di panni

penetra tutto l’alveare, introna

l’aria già di primavera.

Ora che tutt’intorno, a ogni balcone,

la donna compie riti

di fecondità e di morte,

versa acqua nei vasi, immerge fiori,

ravvia le lunghe foglie, schianta

i seccumi, libera i buttoni

per il meglio della pioggia,

per il più caldo del sole,

o miei giovani e forti,

miei vecchi, un po’ svaniti,

dico, prego: sia grazia essere qui,

grazia anche l’implorare a mani giunte,

stare a labbra serrate, ad occhi bassi

come chi aspetta la sentenza. Sia grazia essere qui,

nel giusto della vita,

nell’opera del mondo. Sia così.

Mirabilmente la grande poesia di Mario Luzi ci lascia guardare la realtà cosi come essa è e affida al nostro più attento ascolto la sua più compiuta decifrazione: la nostra realtà di uomini e donne che ogni mattina riavviano la ruota dell’esistenza con semplice obbedienza al da farsi e la libertà del canto che con la sua gratuità e il suo incontenibile espandersi  avverte gli abitanti inconsapevoli del condominio e noi tutti, dopo giorni di quarantena e di clausura che il cielo è cielo finalmente di primavera e così la sua luce e la sua aria. Ma non bastano e non possono bastare la pulizia, la rimozione dell’opaco e delle sottili polveri di morte minacciosamente annidate nei nostri panni e nelle nostre stanze: occorre ravvivare la vita, e la vita propizia la vera vita attraversando la morte. La liturgia domestica prosegue dunque  in una sacramentalità botanica di sapienza spicciola e tuttavia rapida, efficace e  feconda, capace di riconoscere i segni dei tempi –«il meglio della pioggia», «il più caldo del sole», in gestualità che trasformano i balconi in altari, i vasi in fonti battesimali, le cesoie e gli annaffiatoi in sacri  strumenti di gesti pasquali con cui si versa acqua per immergere –il greco baptizein da cui battesimo- e per far rinascere ravviando le lunghe foglie schiantando i seccumi, liberando i buttoni perché come dice il Gesù del Vangelo di Giovanni: «Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto» (Gv 15, 1-2).

Al cospetto di tutto questo il poeta chiama a raccolta il potenziale coro di questa ecclesìa domestica, condominiale, secolare, ma non per questo estranea al mistero di un Dio che ha umilmente scelto le vie della storia e l’opera del mondo per celarsi e svelarsi come Signore della vita, dell’amore e della speranza. Non a caso papa Francesco ci ha invitato a guardare alla città in un modo non troppo dissonante da questi versi di Mario Luzi. Scrive infatti il papa in Evangelii Gaudium al numero 71: «Abbiamo bisogno di riconoscere la città a partire da uno sguardo contemplativo, ossia uno sguardo di fede che scopra quel Dio che abita nelle sue case, nelle sue strade, nelle sue piazze».

Ci siamo tutti, ci dovremmo esser tutti in questo improvvisato coro metropolitano affacciandoci finalmente alle finestre, per uscire in un esodo di liberazione dalla quarantena della rassegnazione, della tristezza e della solitudine: «o miei giovani e forti, / miei vecchi, un po’ svaniti» ascoltate bene! Al canto già di primavera intonato dalla «nuova maritata» che genera e governa non possiamo restare sordi ed estranei. Come generare? Come governare? Mario Luzi ci propone la riscoperta della pura e gratuita grazia dell’esserci, dell’esserci senza altro perché che non sia lo stesso esserci, libero, consapevole, responsabile e creativo: «Sia grazia essere qui» per celebrare la vita attraverso un umile, devoto e laico sacerdozio dei cuori, dei gesti, delle cose e degli ardenti desideri.

E poi la grazia del tacere, la grazia dell’attesa, la grazia dell’implorare: senza di esse quei riti ancestrali e femminili di fecondità e di morte in niente avrebbero effetto collocandosi di continuo nelle nostre presunte certezze e nelle nostre vane pretese. Tutti liberati, tutti potati, tutti lavati, il poeta ci associa alla sua universale preghiera: «Sia grazia essere qui, / nel giusto della vita, / nell’opera del mondo. Sia così».

Poche altre volte la poesia ha saputo coinvolgersi con altrettanta intensità nella preghiera pur restando mirabile espressione di laico auspicio e di umanissima speranza, un augurio appunto, pronunciabile e desiderabile da chiunque, provvisto o sprovvisto di fede. «Sia così», Amen! Così sia!

Bernardo Francesco Gianni, O.S.B.

Il testo, richiesto dal Festival Biblico di Vicenza, è stato letto nella trasmissione Fahrenheit di Rai Radio 3 del 28 maggio 2020:

https://www.raiplayradio.it/audio/2020/05/Logos-principio-e-meta-304b1668-6d17-4ffe-861f-8ae095c01c5b.html

La fotografia è stata scattata da Gabriele Basilico a Quarto Oggiaro (Milano) nel 1976

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