Omelie

«Un anagramma di speranza pasquale». Omelia del padre abate Bernardo per le esequie di Dom Nicola Maria Sangirardi O.S.B.

«Un anagramma di speranza pasquale»

Omelia del padre abate Bernardo per le esequie di Dom Nicola Maria Sangirardi O.S.B.

 Basilica di San Miniato al Monte, venerdì 8 maggio 2020

Dal Vangelo secondo Giovanni

Vi era tra i farisei un uomo di nome Nicodemo, uno dei capi dei Giudei. Costui andò da Gesù, di notte, e gli disse: «Rabbì, sappiamo che sei venuto da Dio come maestro; nessuno infatti può compiere questi segni che tu compi, se Dio non è con lui».

Gli rispose Gesù: «In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio». Gli disse Nicodemo: «Come può nascere un uomo quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?».

Rispose Gesù: «In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce da acqua e Spirito, non può entrare nel regno di Dio. Quello che è nato dalla carne è carne, e quello che è nato dallo Spirito è spirito. Non meravigliarti se ti ho detto: dovete nascere dall’alto. Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va: così è chiunque è nato dallo Spirito».

Gli replicò Nicodemo: «Come può accadere questo?».

Gli rispose Gesù: «Tu sei maestro d’Israele e non conosci queste cose? In verità, in verità io ti dico: noi parliamo di ciò che sappiamo e testimoniamo ciò che abbiamo veduto; ma voi non accogliete la nostra testimonianza. Se vi ho parlato di cose della terra e non credete, come crederete se vi parlerò di cose del cielo? Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo.

E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.

Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».

 

Omelia:

Fratelli e sorelle, Nicodemo (quasi l’anagramma di Don Nicola, come mi ha suggerito l’amico carissimo don Maurizio scorgendo il suo volto immerso nella luce in una delle sue ultimissime e toccanti foto) condivide oggi con noi, raccolti attorno al corpo esanime del nostro amato fratello e padre, un interrogativo che coglie in realtà il mistero dei misteri: come è possibile rinascere e quindi dare futuro a quella irriducibile porzione del nostro cuore che non si rassegna alla dissoluzione, al niente, al caos, alla dimenticanza?

Come è possibile nutrire con speranza sostanziosa di futuro quel grumo esistenziale, organico e spirituale allo stesso tempo, totalmente refrattario all’idea che la nostra esistenza sia solo e soltanto per la dissolvenza, l’oscurità e l’oblio in una accidentalità e provvisorietà insuperabili?

Ecco, carissimi tutti, la vicenda esistenziale del nostro Don Nicola è una parabola nella quale poter leggere, nella filigrana di ogni suo giorno, questo interrogativo che ci è stato posto in maniera fortissima dal suo stesso corpo, nel suo sgretolarsi, nel suo disidratarsi, nel suo rendersi giorno dopo giorno sempre più fragile e sempre più bisognoso di mani altrui che lo restituissero a quella reclamata verticalità fatta di amore, di intelligenza, di attenzione, di gratitudine e dunque finalmente capace di segnalarci questa istanza insopprimibile e fortissima di un’autentica, possibile rinascita dall’alto e una conseguente, ragionevole risposta fatta di luce, di grazia, di misteriosa e feconda eccedenza.

Una rinascita quindi da implorare, da attendere, da sperare, una rinascita che va oltre ogni rassegnata orizzontalità mediante la quale assicurarci e garantirci con le nostre sole forze un futuro ad ogni costo. Qui si tratta di essere umilmente capaci di quella figliolanza che finalmente invita i nostri cuori, i nostri volti, i nostri occhi a cercare nell’infinito del cielo i tratti di quel Dio paterno che il Signore Gesù è venuto a svelarci e a donarci con la forza dello Spirito Santo, perché anche un uomo ormai fisicamente finito come Don Nicola, potesse sentire tutto il gusto, il piacere, il godimento nell’attesa di rinascere dall’alto e di farlo sdraiato nella scansione quotidiana di quei giochi di perfezione che caratterizzano il paradosso della vita monastica con le sue ascetiche discipline, ma anche le sue necessarie e nutrienti eccezioni.

Tale groviglio di esperienze, nel triplice crinale del versante corporeo, psicologico e spirituale si contempla e con cuore grato e memore si ricorderà guardando a persone straordinarie come Don Nicola. Desidera infatti rinascere dall’alto solo chi ama la vita, solo chi è profondamente attaccato al mistero della vita, nella sua dimensione organica, psicologica e spirituale.

In questi tre ambiti Don Nicola è stato un formidabile testimone di passione per tutto ciò che è pregnanza di vita, nella dimensione anzitutto sensuale, e lo dico senza voler sconcertare nessuno ovviamente: chiunque ha incontrato lo sguardo di Don Nicola, il tatto di Don Nicola, il gusto di Don Nicola, sapeva che nella sua capacità di stare con le persone, con le cose di questo mondo, c’era una vocazione all’empatia totale nel saper riconoscere, proprio grazie ad una raffinata spiritualità, che le realtà mondane sono anzitutto il dono che Dio ci fa per addestrare i nostri sensi a quell’alto,  a quella verticalità che, quando i sensi finiranno di essere in grado di poterci far desiderare, sarà l’unica, vertiginosa possibilità per ridare alla nostra vita senso e pienezza di significato, esattamente come ci ha raccontato il tramonto di Don Nicola.

E ancora, la dimensione psicologica, con quell’attitudine che gioisce nello stare con gli altri, che si fa attenzione alla vita degli altri, senza dimenticare sé stessi ma senza per questo fare di sé stessi un assoluto, in una sorta di perverso egoismo ideologico. No, lo sguardo, l’ascolto, l’intuizione, la decifrazione profonda di chi Don Nicola aveva di fronte ai suoi occhi restano un patrimonio indelebile nel cuore di tutti coloro che sono stati arricchiti dal cammino di figliolanza spirituale destato dal suo esempio di fede e dalla sua parola di padre. Bene lo sanno tutti coloro che sono qui presenti e i tantissimi che purtroppo per colpa del virus non possono essere presenti stamattina qui in Basilica. In modo tutto speciale lo sa la nostra famiglia monastica, e uso volentieri l’espressione famiglia monastica, perché, in questa situazione esistenziale così speciale, Don Nicola sapeva riconoscere, percepire -sentire sensualmente anzitutto- questa sorta di vento dello Spirito che orienta e segnala il misterioso cammino proposto dal Signore alla nostra umanissima comunità. Intuire con lucida preveggenza, sapersi fare concreto interprete, servire realisticamente questo orientamento divino, garantendo, assicurando e servendo la pace e la comunione della nostra singolare famiglia, sono un carisma che Don Nicola aveva in grandissima abbondanza nel proprio cuore, fratelli e sorelle carissimi. Anche per questo ci mancherà tantissimo il silenzio della sua lenta presenza fisica, la saggezza della sua parola-ponte, la luce penetrante del suo sguardo incisivo e dirimente. E poi naturalmente la sua dimensione spirituale, inscindibile dal suo amore sensuale e psicologico per la realtà e per le persone, perché era una spiritualità che si accorgeva del limite, della sofferenza, di tutto quello che ancora non era pienamente compiuto, e aveva questa capacità fortissima di traslazione delle persone e delle cose verso il loro vero compimento, verso il loro vero eschaton, consolando, suggerendo, esortando e incoraggiando. Lo avete ascoltato cosa ci ha detto san Paolo: questa sorta di impazienza desiderante della creazione stessa di essere finalmente posta in un compimento definitivo e assoluto. Don Nicola fino alla fine ha aperto prospettive, ha aperto spazi, ha aperto novità nel cuore di ciascuno di noi, in un discernimento spirituale che sapeva ascoltare con discrezione il cuore di ognuno e, lo ripeto, le qualità delle relazioni fra ciascuno di noi, avendo sempre una parola che poneva le cose in una dimensione di ulteriorità, senza mai rassegnazione, senza mai disperazione, senza mai giudizi che potessero rallentare o addirittura fermare questa corrente di vita che non è un movimento ovviamente umano, esclusivamente umano, bensì un incontenibile movimento dello Spirito.

Tutta questa attenzione di Don Nicola, tutta questa organicità viva, vivida e vivace del nostro amatissimo decano, si riassumono e si schiudono in questa espressione bellissima di San Giovanni, ovvero in uno dei momenti fortissimi di tutta la rivelazione biblica: «rinascere dall’alto». Ecco noi questo abbiamo contemplato, lo diciamo anche a voi che in questi ultimi mesi non avete potuto vivere in prima persona la grazia dello star vicino a Don Nicola per gli obblighi contro il contagio: noi invece possiamo dirlo con forza, noi Don Nicola Maria lo abbiamo visto rinascere dall’alto, come rinascono dall’alto i volti, le cose e le storie immerse nello Spirito di Cristo e che dunque sono capaci di far diventare movimento verso il futuro anche il limite di una corporeità ormai esausta, di una sensualità ormai anestetizzata, di una psicologia ormai ridotta al silenzio e all’incapacità di essere pienezza di relazione come pure egli era stato capace di testimoniare per una vita intera. E tuttavia, in questa condizione davvero confinante e confinata del suo essere e del suo esserci, con in più l’oltraggio di una quarantena che l’ha sottratto a tutti voi che tanto Don Nicola ha amato, egli, come un bambino, ha saputo rinascere dall’alto.

Ha avuto la grazia, non si può negare, di uno straordinario reparto di ostetricia spirituale sapientemente diretto dal padre priore dom Ildebrando che, come un abile e solerte primario, ogni giorno passava da lui di sera e di mattina per donargli una stilla di vita spirituale, psicologica e fisica, perché il suo prediletto paziente potesse sempre sentirsi amato e dunque incoraggiato a spiccare questo volo dall’alto e verso l’alto. Un paziente accudito costantemente da ottimi infermieri, ovvero da tutti i miei fratelli, anzitutto Don Stefano col suo generoso e insonne turno notturno e poi dai giovani monaci con quel loro dolcissimo e memorabile ritornello “Don Nichi” sparso nella ritualità quotidiana delle mille necessarie premure medicali e quindi il nostro bravissimo Ian al quale dobbiamo una presenza, una cura, una dedizione davvero esemplari e straordinarie. Mai dimenticherò quando Don Nicola disse “io non posso più vivere senza Ian”, espressione anche questa che dalla bocca di un monaco quasi centenario vi fa capire quanta libera e grata capacità di empatia e di sconfinamento possa comunque donarci una vita appartata come questa nostra vita è, una vita apparentemente concentrata come questa nostra vita è, una vita apparentemente monotona, come di fatto per tanti versi essa è, ma proprio per questo quasi naturalmente disponibile se non addirittura avvezza, come Don Nicola ha saputo sempre testimoniare, ad oltrepassare, oltrepassare verso tutto quello che eccede gli stretti perimetri claustrali per divenire -paradossalmente proprio così- monaco ancor più fedele alla propria vocazione e nello stesso tempo -mi piace usare questa bella espressione della più bella modernità- divenire un Don Nicola cittadino del mondo. Sì, il nostro quasi centenario Don Nicola fino alla fine – padre Ildebrando ce lo può ben testimoniare- la sera chiedeva una cosa sola (e da questo capite l’intelligenza, la libertà, l’apertura mentale e la sensibilità fisica, psicologica e spirituale di un uomo ormai pronto a rinascere dall’alto): «notizie, notizie, dammi notizie». Tutte le sere questo desiderio di aggiornamento Don Nicola donava e chiedeva al nostro Ildebrando: non risentimenti, non lamentele, non rassegnazioni, tanto meno autodiagnosi di presunte e immaginarie malattie, ma il bisogno puntuale e inderogabile di essere informato, la necessità cioè di sentirsi parte viva e consapevole di una piccola storia, umile e gloriosa che in Cristo si rinnova di giorno in giorno col concorso di tutti e di tutto.

Che la buona novità del Vangelo e la buona notizia pasquale che anche a cento anni in Cristo Risorto è possibile rinascere dall’alto siano adesso la grande ragione di letizia per la quale Don Nicola potrà perennemente cantare alleluia nell’eterna beatitudine dell’infinito cielo trinitario. Amen!

Trascrizione a cura di Grazia Collini

La fotografia è di Andrea Ulivi

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