Omelie

25 ottobre 2018: Solennità di San Miniato nell’Anno Millenario. L’omelia di Dom Gregory J. Polan O.S.B., Abate Primate della Confederazione Benedettina

Solennità di San Miniato al Monte [Firenze, 25 ottobre 2018]

Millenario della Fondazione Monastica di San Miniato al Monte

Letture: Sapienza 3,1-9; Seconda Lettera ai Corinzi 4,7-15; Giovanni 12,24-26

Pensate spesso al cielo? Come pensate che sia il cielo? Dove si trova il cielo? Chi dimora in cielo? Cosa ci ha detto Gesù riguardo al cielo? Cos’altro ci dicono le Scritture riguardo al cielo? Sapete che il primo riferimento al cielo si trova nel primo capitolo, nel primo versetto del Libro della Genesi? La ragione per cui iniziamo questa solennità di San Miniato con una riflessione sul cielo, è perché molte cose nella nostra celebrazione di oggi puntano al cielo, come si legge nello stipite della porta di questa basilica, e alla sua importanza per le nostre vite. Nella tradizione primitiva cristiana, le preghiere che commemorano la morte di un martire, parlano del cielo in una maniera unica. Parlano della morte di un martire come della sua “nascita in cielo”. Con il martirio ha inizio una nuova vita, una nascita nella gloria del cielo, l’inizio di una vita che non finirà mai. Così, oggi, celebriamo la nascita al cielo di San Miniato.

Come abbiamo detto, il cartiglio marmoreo sul portale recita: Haec est Porta Coeli, “Questa è la Porta del Cielo”. Ricordiamo il racconto del Libro della Genesi, in cui Giacobbe, in sogno, vedendo gli angeli salire e scendere la scala, esclama: “Questo luogo è la Porta del Cielo”. Ma, troppo spesso, dimentichiamo la frase che precede quel testo importante: “Il Signore è in questo luogo e io non lo sapevo!” (28,16). In quel momento Giacobbe capisce che la terra su cui viviamo è misteriosamente ma veramente collegata al cielo. Dio è presente qui sulla terra, e mediante questi elementi terreni scopriamo la via per il cielo, la dimora di Dio. San Miniato è come la figura di Giacobbe che ci ricorda che Dio è attorno a noi, se solo abbiamo gli occhi per vederlo. Dio si trova ovunque e sempre. Il nostro compito è quello di osservare attentamente per vedere il Dio benigno e misericordioso che è con noi, e in ogni modo possibile testimoniare l’amorevole presenza di Dio nelle nostre vite.

La parola “martire”, in latino, fa riferimento a una “testimonianza” di qualcosa di profondo, la vita donata da Dio. Come primo martire cristiano di Firenze, San Miniato rappresenta un maestro per noi, un patrono di quest’importante città, che ha dato la sua vita per Cristo nell’anno 250. La sua morte testimonia la sua fede che niente è più importante dell’unità con Cristo. Niente è più importante dell’espressione della nostra fede in lui, e di vivere l’unione con il Salvatore dell’umanità. La tradizione primitiva cristiana parla della “corona del martirio”, che è stata data a coloro che hanno dato testimonianza con il sacrificio della loro vita per Cristo. Nel magnifico mosaico dell’abside della basilica, San Miniato porge la sua corona del martirio a Cristo, che è il Re dei martiri, il primo dei martiri, che ha dato la sua vita terrena per la nostra redenzione e salvezza. Con questo gesto, San Miniato ci dice: “Guardate a Cristo; egli è la nostra luce e la nostra salvezza”. È Cristo che ci insegna, ogni giorno, nei Vangeli, come testimoniare una vita che porterà alla beatitudine e alla pace del cielo.

La lettura dal Libro della Sapienza racchiude in sé una bellissima promessa: la vita dopo la morte terrena è assicurata a coloro che hanno avuto fede nella misericordia di Dio e che gli sono rimasti fedeli. Le sofferenze terrene che noi tutti sperimentiamo hanno un significato se le accettiamo come un’opportunità per restare saldi nella nostra fede. Nel mondo di oggi ci sono molte possibilità di esprimere il nostro credo in ciò che Cristo ci ha insegnato e ha testimoniato con la sua vita. La maggior parte di noi non arriva al martirio attraverso un sacrificio di sangue; tuttavia, saremo messi alla prova dal modo in cui testimoniamo la nostra fede, la nostra fede nell’esistenza e nell’azione amorevole di Dio nelle nostre vite. Sebbene, oggi, ci siano persone, dei martiri, che sacrificano la propria vita per professare la propria fede, ci sono altre persone, che la Chiesa chiama “martiri bianchi”, che, anche se non con un sacrificio di sangue, hanno sacrificato la loro vita a Dio. Il grande San Girolamo parla di questo già nella Chiesa primitiva. Il Libro della Sapienza parla di loro come di coloro che donano la propria vita come un’offerta di sacrificio per il bene degli altri.

San Paolo parla vividamente e chiaramente del cosiddetto “martirio bianco” nella sua Seconda Lettera ai Corinzi. “In tutto, infatti, siamo tribolati, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi” (4,8-9). Cari fratelli e sorelle, nella nostra intenzione di accettare le sfide e le difficoltà della vita, noi siamo i simboli della fedeltà e della presenza di Dio. Sappiamo che possiamo fare ciò solo con la sua grazia. La nostra chiamata è quella di mostrare con le parole, con il nostro volto, e specialmente con le nostre azioni, lo stesso amore di Cristo. Le nostre azioni testimoniano un amore che non muore mai, un amore che cresce soltanto attraverso il nostro sacrificio per gli altri. Con le nostre azioni, diciamo: “Dio è vivo ed è con noi: la nostra fede, la nostra fiducia è in lui”.

Ma, come ci ricorda San Giovanni, per fare questo, cioè, per essere “martiri bianchi” dei nostri giorni, ci viene chiesto di morire a noi stessi, così che la vita di Cristo cresca in noi e diventi maturità di fede. Come il seme, che deve entrare nella terra e “morire alla sua presente forma di vita”, così dobbiamo fare tutti noi. Posso dire con grande gioia di aver visto tutto questo nei monaci di questo monastero, che vivono la testimonianza della loro vita con la devozione, riverenza, e gioia che deriva dalla preghiera – e anche con l’accoglienza e gentilezza che dimostrano in molti modi. La presenza di questi monaci benedettini in questo santuario, affacciato sulla città di Firenze, continua a ripetere che Dio è vivo, Dio è presente, Dio è la nostra forza, Dio è il centro delle nostre vite.

Gli eventi del millenario di San Miniato al Monte, hanno portato agli occhi, orecchie e cuori dei fiorentini il fatto che Dio abbia parlato a loro per secoli, e che continui a parlargli. Come? I concerti, le conferenze spirituali, le letture di poesia, i dipinti, l’architettura, e i vari eventi musicali che si sono tenuti qui, in special modo grazie al duro lavoro e sacrificio di questi monaci, sotto la direzione spirituale dell’Abate Bernardo, hanno manifestato che Dio è presente e continua ad operare nella vita di questa città

Cari fratelli benedettini, è stata un’ispirazione vedere cosa avete fatto per dire al mondo che questi mille anni di presenza benedettina in questo luogo santo sono la testimonianza della grazia di Dio, e delle molte persone che sono state strumenti e ambasciatori dell’arte, della letteratura, della poesia, della musica. I monasteri benedettini sono stati sempre centri di arte, letteratura, cultura, e, ciò che più conta, di preghiera, che voi avete testimoniato in maniera così bella, insieme al carisma dell’accoglienza e dell’ospitalità. Qui, a San Miniato al Monte, avete aperto le porte della basilica, del monastero, ma soprattutto, dei vostri cuori per accogliere Cristo, e ogni persona, secondo il vero spirito di San Benedetto. Dal profondo del mio cuore, io vi ringrazio, miei cari fratelli benedettini, per questa testimonianza spirituale, così necessaria in questo tempo.

Celebriamo, in questa santa sera, la nascita della gloria in cielo di San Miniato, alla cui memoria questa basilica fu dedicata, costruita, e mantenuta viva. Celebriamo la grazia di Dio che ha sostenuto la presenza benedettina in questo santo luogo per la cura spirituale della bellissima città di Firenze per mille anni. Celebriamo la saggezza di Dio che ricopre questa comunità nella testimonianza dell’amore per la preghiera, la devozione alle arti sacre, la dedizione alla vita comune, e a uno spirito di accoglienza per cui ogni ospite viene accolto come Cristo. Celebriamo questa “porta del cielo” che ricorda a tutti noi che entriamo, che la nostra ricerca di un sentiero verso il cielo, è il nostro fine eterno. E celebriamo Cristo, perché a lui soltanto appartengono potenza e gloria, saggezza e forza, onore, ringraziamento, e lode. Amen.

Dom Gregory J. Polan O.S.B., Abate Primate della Confederazione Benedettina

 

La fotografia è di Mariangela Montanari, oblata benedettina secolare di San Miniato al Monte
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