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«Non lasciare deserti i miei giardini». Meditazione sul Natale del padre abate Bernardo

Meditazioni

 

«Non lasciare deserti i miei giardini». Meditazione sul Natale del padre abate Bernardo

San Miniato al Monte, Antiche cantine del frantoio, 21 dicembre 2018

 

Leggeremo il mistero del Natale con grande semplicità di cuore prendendo come angolatura, l’anno scorso l’Epifania, quest’anno l’Annunciazione anche perché questo evento di Natale si radichi in un contesto liturgico, biblico e teologico che, visto da ogni angolatura, vi appaia sempre di più evento centrale nella custodia, nell’accoglienza, nella celebrazione, nella testimonianza di quel mistero di amore con cui Dio si fa incontro a ciascuno di noi.

Sentiamo il bisogno come sempre di iniziare questo nostro essere insieme attraverso la preghiera, quindi vi chiedo di alzarvi in piedi per vivere anche nella corporeità la dimensione della vigilanza con cui avviciniamo i nostri cuori e i nostri pensieri al cielo di Dio.

 

“Ti chiediamo Signore di fare del nostro corpo, del nostro cuore dei nostri pensieri la gronda sotto la quale tu possa trovare riparo sicuro nelle intemperie della storia, solitamente incapace di accogliere la tua venuta così umile, così singolare, così spiazzante ogni logica, capace proprio per questo di riaprirci con sguardo di infanti a quella che a prima vista pare una fiaba e che solo il cuore sa decifrare come quell’eterna indissolubile speranza che assimila la nostra povera vita all’infinito tuo amarci”.

 

Parlare di Annunciazione significa avvicinare i nostri cuori a quel momento che naturalmente è a monte dell’evento natalizio, lo celebriamo per l’appunto il 25 marzo, è un momento che ho sentito importante per riflettere insieme a voi sul Natale, la ragione ve la dico subito, è stata suscitato oggi pomeriggio nel leggere qualche intervento sulla decapitazione delle due ragazze in Marocco, effettivamente un abisso di disumanizzazione, una abiezione della nostra dignità umana, una incapacità a ponderare proprio la consistenza di un male così indecifrabile, così inspiegabile, un accanimento di fatto contro noi stessi, di una portata tale che effettivamente attenua ogni luce natalizia.

Allora vi dico proprio il piccolo contesto esistenziale nel quale è nato appunto il desiderio di insieme a voi risalire alle sorgenti della luce, vuoi anche perché è il solstizio di inverno, ma vuoi anche perché sentiamo che effettivamente solo una rinnovata inondazione di luce su questa nostra condizione umana, può effettivamente strapparci da una apparentemente, incontenibile, dissoluzione di quella dignità che ci ostiniamo a difendere e lo facciamo, noi che crediamo nel Vangelo, in un unico grande movimento di premura e di custodia per quel crinale, certamente argilloso, franoso, ma fondamentale, sul quale si incontrano l’umano e il divino.

Un crinale che ha la misura, la consistenza e l’esilità del con il quale Maria accoglie il progetto di Dio per la nostra salvezza, nella sua fragilissima e minutissima consistenza personale, nello stesso tempo un crinale argilloso, perché effettivamente l’uomo fatica a camminare su questo ristrettissimo e angusto confine che però, letto con lo sguardo della fede, appare davvero l’unica via perché tutto di noi non si assolutizzi, da un lato in una esasperata spiritualizzazione che finirebbe inevitabilmente per dannare questa nostra storia, questa nostra realtà, questa nostra consistenza personale, ritenendo quello che noi siamo un puro e indesiderabile accidente, arrivando così alla stessa drammatica conclusione di chi nega Dio, perché chi nega Dio ritiene l’uomo una passione inutile, ma alla fine ritiene anche chi pensa che effettivamente non sia passione di Dio questa nostra storia, questa nostra condizione umana, tutta l’avventura della libertà coi suoi seri rischi.

E d’altra parte noi, credendo nel Vangelo e ostinandoci a riconoscere nell’incarnazione la centralità del contenuto della nostra fede, una incarnazione che non può che sfociare con il ripieno di amore che è la Santa Pasqua, vogliamo invece dire che questa nostra storia, questa nostra umanità, pur esposta alle abiezioni di cui tanta cronaca ci parla, è realtà bella e buona, sulla quale eccome se si è riflesso il compiacimento di Dio, eccome se si è manifestato il sorriso di Dio, eccome se, fiducioso in tutto quello che ha creato, Dio ha sentito la libertà -pensateci bene- di prendersi un tempo di riposo dopo aver creato l’uomo, cioè Dio è talmente compiaciuto in ciò che ha creato e anche fiducioso in ciò che ha creato, che si prende la libertà di riposare, dopo la creazione dell’uomo.

Il che segnala il suo sfinimento, ma anche quanto creda alla nostra libertà, rifletto su questo perché effettivamente quanti hanno condiviso il lungo percorso di Genesi sanno come siano state fondative quelle occasioni di lettura dei primi sette giorni della storia, ecco ritornare a quei sette giorni significa davvero volerci radicare nella persuasione che la storia dell’uomo è una grande passione per Dio e di Dio e la si celebra proprio in modo tutto particolare in questo movimento vertiginosamente umile che Dio intraprende viaggiando dal cielo verso il grembo della Vergine Maria, un vero e proprio esodo, un vero e proprio pellegrinaggio, che oggi vogliamo in qualche modo percorrere anche noi proprio per ritrovare l’indizio, la traccia, luminosa e plausibile che rende la nostra vicenda personale umana e la nostra storia, nonostante tutto, desiderabile al cuore di Dio.

Ecco c’è un deficit di desiderabilità che corrisponde al deficit di dignità, di libertà con cui piano piano si stanno sgretolando tanti aspetti costitutivi del nostro essere uomini e donne, soprattutto in questo nostro occidente esposto, anche col nome ad un tramonto che queste lunghe giornate oscure del crinale fra autunno e inverno sembrano significare in un modo ancora più drammatico, quindi torno a dirlo con forza siamo qui a celebrare qualcosa che anticipi il Natale, riconoscendoci veramente assetati di luce.

E riconoscendo in questa sete di luce, un desiderio costitutivo della libertà e della dignità del nostro essere uomini e donne che non si arrendono alla scorciatoia che ritiene la nostra realtà vana, perché solo lo spirito conta o vana perché non esiste alcun spirito e dunque siamo semplicemente casualità o obbedienza cieca ad una legge puramente organica, ecco, noi no!

Noi siamo precipitati in questa grotta, ma ci sentiamo speleologi dello spirito e quindi, armati della piccozza della parola, con la bussola dello Spirito Santo e del desiderio, tentiamo di risalire verso la luce.

Ecco, questo è un po’ il contesto povero, ma reale, da cui nasce questa riflessione.

L’Annunciazione perché? Perché in effetti esiste un dialogo portentoso, straordinario fra l’umano e il divino, questo ci racconta la vocazione di Maria, il suo turbamento nello scoprirsi interpellata da Dio, questo è un aspetto meraviglioso, mi sembra che un racconto che ci parla di un’umanità interpellata da Dio, il quale si mette in gioco in ordine ad una risposta attesa e sperata da parte dell’uomo, eccome se è per noi un indizio fondamentale, un’esperienza fondamentale di questa dignità umana che andiamo cercando.

Cioè, nel quadretto dell’Annunciazione stasera non vogliamo vederci niente di scontato, niente di già saputo, niente di già accomodato, come in una sorta di teatrino, ma ci sentiamo davvero tutto un palpitante, rischioso incontro fra l’umano e il divino, come del resto rischiosa è la storia della nascita di Gesù, nella notte, fuori da una città, fidandosi di una accoglienza che per l’appunto si riesce a trovare solo nel ventre della terra. Ecco, il ventre Dio l’ha già visitato chiedendo ospitalità, l’analogia è chiara, è il grembo della Vergine Maria.

Esiste uno dei momenti poetici più alti di Mario Luzi, che non mi avrete sentito citare per la prima volta, perché è una lirica a cui sono molto affezionato perché credo sia una delle punte di diamante della grande lirica religiosa, se così vogliamo dire, del ‘900 italiano, in cui il poeta mette in bocca a Simone Martini dei versi straordinari nel momento in cui egli sta dipingendo l’Annunciazione, che noi stiamo cercando di evocare.

E’ il “Viaggio terrestre e celeste (per l’appunto) di Simone Martini” dove il pittore si rivolge a Maria in questi termini:

…Rimani dove sei, ti prego,

così come ti vedo.

Non ritirarti da quella tua immagine,

non involarti ai fermi

lineamenti che ti ho dato

io, solo per obbedienza.

Non lasciare deserti i miei giardini

d’azzurro, di turchese,

d’oro, di variopinte lacche

dove ti sei insediata

e offerta alla pittura

e all’adorazione,

non farne una derelitta plaga,

primavera da cui manchi,

mancando così l’anima,

il fuoco, lo spirito del mondo.

Non fare che la mia opera

ricada su se medesima,

diventi vaniloquio, colpa.

 

Non so se avevate mai incontrato questi versi, per me di straordinaria bellezza, dove di fatto il poeta prolunga una invocazione che ascolteremo in tutta la sua drammatica e mistica passionalità per la penna di San Bernardo di Chiaravalle, quando è di fatto testimone di una accorata invocazione che chiede a Maria, prima ancora di rimanere nella pittura, cioè nella scena, nella storia che è offerta alla nostra adorazione, domanda a che Maria accolga il Verbo, pronunci quel atteso da tutta l’umanità, da tutta la creazione, perché quel famoso crinale di cui prima parlavamo torni ad essere valicabile, transitabile e guardate, è meraviglioso che Dio, che si era messo a riposo, confidando nella responsabilità e libertà dell’uomo, si riaffacci potentemente, nonostante la delusione occorsa, nella viva speranza di trovare in quella donna un assenso reso possibile, certamente dalla sua grazia che ha colmato il cuore di questa donna, ma lo ha colmato in una misura che certamente non cancella quella dimensione umana per la quale noi riconosciamo e salutiamo in Maria il modello, l’esempio, la possibilità di una obbedienza, cioè di un ascolto umile e accogliente della forza generatrice del Verbo, perché germogli di nuovo nella nostra storia, come Verbo finalmente ascoltato, obbedito e quale vera carne, restituisca all’uomo quella consapevolezza che dalla prima creazione l’uomo aveva perso.

E allora vedete come il pittore di fatto continui ad interpellare la Beata Vergine Maria riconoscendola davvero nella sua personale esperienza creativa, fondamentale, perché niente della sua bellezza, della sua arte, ma in generale del mondo intero, soffochi, muoia, in una retrazione che Maria non può di fatto permettere, lasciando quella pittura e soprattutto lasciando la nostra storia, la nostra vita, il cuore della Chiesa, perché lei è l’arca dell’alleanza.

Se lei si sottrae, effettivamente l’umanità perde questa possibilità prodigiosa che le è data, tornare ad essere veramente il luogo dove la responsabilità, la libertà e l’amore che Dio ha affidato al primogenito, possa finalmente esplicarsi, con quella forza che solo il Signore Gesù compie in pienezza per la nostra salvezza.

E allora ecco, è bellissimo questo appello che Simone fa, anche lui ha obbedito, come ha obbedito Maria, cioè ha preso sul serio una parola, quella che leggeremo anche noi nel racconto di Luca, che ci mostra come attraverso il rimanere di Maria, così accogliente e ospitale, la storia possa riconoscere finalmente una primavera e ancora un fuoco, uno spirito che accende di luce e di speranza tutta la creazione e rende effettivamente pieni di senso, di significato, di pregnanza i colori, le lacche, l’azzurro, il turchese del pittore, i suoi giardini, direi tutta la creazione, letta in questo caso con sguardo di artista, di pittore e di poeta. Se Maria resta, ospitando il Verbo, trova e ritrova la sua vocazione, la sua missione, la sua consistenza, questo è molto bello, la consistenza della creazione è manifesta nella misura in cui essa torna ad essere abitata dal Verbo incarnato, per la quale peraltro essa è stata pensata e voluta prima della creazione del mondo.

Quindi il Natale vorrei che lo interpretassimo come la possibilità davvero di riconoscere il frutto prezioso che ha attraversato anche la responsabilità del nostro cuore, la libertà del nostro cuore, non diversamente ci porremo di fronte al presepe: da un lato siamo noi a chiedere al Signore Gesù di rimanere in quella culla, di non andarsene, di restare nel cuore della storia come un chicco di luce, di una parola incarnata che restituisce pienezza di senso e di significato ai nostri giorni, ma d’altro canto perché non pensare che il Signore domanda anche a noi di rimanere di fronte a quel presepe, cioè di non perdere di vista quell’ immagine senza la quale perde di senso tutta la nostra storia. Quindi siamo invitati davvero ad assumere proprio una responsabilità sul filo dei minuti, sul filo dell’istante, sul filo della perseveranza, sul filo anche dell’inquietudine, tenue ma inguaribile, talvolta anche spessa, mortificante, della nostra incredulità. Perché negarlo? Perché non riconoscere nel Natale una grande e misteriosa pedagogia con la quale il Signore risveglia in noi la consapevolezza di essere visitati dal suo amore, perché nonostante tutto, ancora visitabili dal suo amore.

E questa visitabilità, e questa visita, sono rese possibili da un rimanere con cui ci sentiamo interpellati anche noi stasera, non solo Maria, non solo il Signore Gesù, ma anche la nostra fragile fede è interpellata perché rimanga, riconoscendo come la scena dell’Annunciazione, ma anche la scena della Natività del Signore, guardate che senza di noi non ha quasi più senso.

Dio viene per l’uomo e l’uomo non se ne accorge, allora il rimanere da parte nostra assume veramente un significato di portata esistenziale e profondamente ecclesiale, perché la Chiesa è qui davanti al presepe in nome dell’umanità intera, al servizio dell’umanità intera, senza tralasciare alcuna persona dell’umanità intera, perché sia riverbero, specchio -come ha definito giustamente il Cardinale Betori San Miniato nei suoi mille anni specchio della città intera- e il riflesso della luce natalizia abbagli di speranza il cuore in penombra di tutti.

Pena l’inanità del nostro agire storico che il poeta simboleggia molto bene nella pittura di Simone Martini: se viene via il soggetto di quella pittura, tutta la sua opera è semplicemente decorazione fine a se stessa, non ha più nulla da dirci, non ha più un messaggio da comunicarci, pensate anche questo aspetto bellissimo, cioè l’arte potrà anche ridursi a mera esercitazione decorativa, ma effettivamente l’arte e la bellezza sono la celebrazione di un incontro profondo, indicibile, perturbante e rinnovante i nostri cuori perché effettivamente nella bellezza sta un seme, una parola, una ispirazione che chiede di essere accolta e decifrata, proprio attraverso la fatica dell’interpretazione del rimanere, del restare, dell’interrogare e del sentirci interrogati, perché sbocci la parola che veicola il messaggio, parole sulle quali insisto perché sono molto lontane dallo stile natalizio del nostro tempo. Lo stile natalizio è corsa, è fretta, è disattenzione, e per questo io vi ringrazio profondamente del vostro essere qui, ci diamo, per così dire, una grande lezione reciproca, umile ma appassionata, di come in realtà dovrebbe essere il Natale, prendere tempo per un Signore che si fa strada, non nell’immediatezza della potenza, ma al contrario accogliendo tutta la legge organica della natura, crescendo come cresce ogni bambino, quindi occorre davvero rimanere per accorgerci di tutto questo e di sentire come parli tutto questo ad un cuore che, con pazienza e tenacia, si accorda a questi ritmi divini e umani assieme.

Ecco il Vangelo di Luca che possiamo leggere lo si introduce con la preghiera iniziale della celebrazione del 25 marzo che effettivamente ci riassume il cuore del Natale:

“O Padre, tu hai voluto che il Verbo si facesse uomo nel grembo della Vergine Maria: concedi a noi, che adoriamo il mistero del nostro Redentore, vero Dio e vero uomo, di essere partecipi della sua vita immortale. Per il nostro Signore…

Questo è, come non ci stanchiamo di dire, il frutto natalizio più prezioso, ce lo ricorderà con grande forza Leone Magno nella sua splendida omelia natalizia che si legge nella veglia di ogni Natale, questo misterioso scambio reso possibile da una consapevolezza adorante, non solo intellettuale, noi siamo consapevoli per fede che il Verbo si è fatto uomo nel grembo della Vergine Maria, questa consapevolezza chiede di essere adorata e guardate è un verbo che abbiamo incontrato anche nella poesia di Mario Luzi “dove ti sei insediata e offerta alla pittura e all’adorazione”. Dove con questo spunto riconosciamo il tratto, direi quasi artistico della liturgia, dell’adorazione, della contemplazione, dell’agire apparentemente più inutile e gratuito della Chiesa, proprio il culto liturgico che però è un’esperienza che rende possibile questa fruttificazione di bellezza accolta, contemplata, e resa feconda nelle fibre del nostro cuore, in una dinamica assimilabile per analogia al gesto creativo del pittore, ma anche al gesto col quale ci mettiamo di fronte a un’opera d’arte.

Su questo insisto, non per ridurre il mistero della fede e della celebrazione liturgica ovviamente a banale estetismo, lungi da me tutto questo, ma perché troppe volte anche la nostra partecipazione all’agire liturgico -non è il vostro caso, non sareste qui- si riduce a precettistica, a dovere, a commercio, per il quale, pagando qualcosa otteniamo qualcos’altro.

Però effettivamente la nostra modalità, anche qui occidentale, di vivere la liturgia è quasi inficiata da un intellettualismo cerebrale che rende poco disponibili i nostri sensi ad una vera e propria direi possibilità di dissetarsi con la bellezza e il mistero di quello che anzitutto contempliamo, ascoltiamo, cantiamo, annusiamo. Per questo da tanto tempo questo incontro natalizio non può che concludersi con alcuni semplici gesti che vorrebbero essere un modo per preparare, quasi una sorta di ginnastica presciistica, il vostro corpo ad una celebrazione liturgica più impegnativa e senz’altro decisiva, quella eucaristica, a Natale, ma già un po’ allenato a mettersi in moto, perché quello che voi farete, ascolterete, riceverete, parla all’integrità della vostra persona, perché se noi non rimettiamo in gioco l’integrità della nostra persona davanti al mistero, siamo più esposti a quel rischio fatale da cui siamo partiti, rassegnarci ad una mortificazione della dignità e della libertà della nostra condizione umana, ritenere ormai quasi invincibile il dover constatare quelle abiezioni che certamente sono così ricorrenti nella storia, ma non sono la nostra vera storia, non è quella la realtà dell’umano.

Come sempre dire una parola di speranza in relazione a Dio significa dirla in relazione all’uomo, cioè il Natale risveglia una percezione complessiva della nostra storia, nella consapevolezza certo della sua fragilità, del suo peccato, ma nello stesso tempo di una parola che può risanare e guarire il nostro cuore, per questo viene Gesù, lo avete ascoltato in questa bellissima preghiera, per renderci partecipi della vita immortale! Cercate di non vedere questa prospettiva in un’angolatura semplicemente od esclusivamente di sopravvivenza, post mortem, perché anche questo è in fondo un depotenziare un frutto che in realtà il Signore consegna a tutto l’insieme della condizione umana, anche a questa storia qui, a questo nostro corpo qui, questo nostro agire qui, per questo abbiamo bisogno della liturgia, perché la liturgia immette nel presente questi germi perché trasfigurino l’integrità della nostra persona, le sue responsabilità e tutta la storia, dinamizzata proprio dallo Spirito Santo.

Una prospettiva di insieme che è uno dei grandi contenuti della fede che dobbiamo tornare davvero a credere con più forza, perché ci aspettano tempi difficili, ci sentiamo alle volte anche davvero, come peraltro significa la parola parrocchia non a caso, dei dispersi, disorientati, addirittura frazionati, nessuno ha nostalgia di crociate qui, sia ben chiaro, io sto solo dicendo che proprio perché non riteniamo la crociata la medicina di tutto questo, abbiamo proprio bisogno di avvertire come possa essere solo Dio quale soggetto autentico della storia, celebrato nella liturgia, anticipato e profetizzato in quella Chiesa al servizio del Regno con cui noi, e con noi l’umanità intera, potrà ritrovare davvero un bagliore che restituisca davvero speranza, consolazione, fiducia, amore per questa nostra storia qui.

Altrimenti l’esito è fatalmente individualistico, autoprotettivo, autoimmune, ma perdiamo di vista, io credo davvero, la vera vocazione dell’uomo che è attraversare questa realtà, homo erectus, l’uomo eretto e spinto dalla speranza, si dice nella grande tradizione umanistica cristiana, homo viator spe erectus, cioè l’uomo che cammina alzato, eretto, dalla forza della speranza, una meravigliosa espressione che ci vogliamo restituire per dirci dove ci sta portando il Natale.

 

Lc 1 26-38

In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te». -questo crinale fondamentale è proprio: il Signore è con te-

A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».

Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio».

Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.

 

Voglio sottolineare soprattutto il turbamento di Maria e il domandarsi di Maria che segnalano davvero come in Maria non abbiamo una esecutrice, abbiamo una donna di obbedienza, cioè che ascolta in profondità e lascia che l’irrompere della parola del Signore nel proprio cuore sprigioni tutto quello che deve sprigionare, generando turbamento, generando domanda, esegue chi semplicemente lascia che la parola aderisca alla pellicola della sua persona, perché ne determini meccanicamente lo scopo, l’effetto e la funzione, Maria no!

Subisce una scossa sismica, generata da una parola che si fa epicentro del suo cuore e questo lasciatemi dire è una “modernità” biblica che la lettura di Genesi ci ha ben avvezzato a riconoscere in una dimensione che restituisce all’uomo tutta la sua plastica consistenza, per me stasera tanto più necessaria da ribadire in ordine alla ragione per la quale ci siamo ritrovati stasera, un Natale di speranza sulle abiezioni della condizione umana ed ecco, sotto questo profilo devo dirvi che questo essere Maria piena di grazia perché il Signore è con te e perché ella ha trovato grazia presso Dio e perché nulla è impossibile a Dio, ci dice proprio questa libertà sovrana del Signore, questa sua capacità, vorrei quasi dire, riprendendo l’immagine dalla quale sono partito, di svegliarsi da una sorta di, apparente ovviamente, torpore. E l’effetto di questo risveglio di Dio in rapporto all’uomo, per così dire, è il Natale, ma non, sia ben chiaro, perché Dio dormisse o fosse indifferente, ma è meraviglioso, forzando un po’ i termini, riconoscere nella venuta del Signore Gesù in mezzo a noi qualcosa che al nostro cuore, così rassegnato, ancora oggi mi piacerebbe suonasse come la riscoperta che Dio non dorme -e qui verrà in mente a ciascuno di noi l’immagine evangelica di Gesù sulla barca- e non dorme perché da sempre e per sempre Dio si è pensato attraverso Cristo in relazione con l’uomo!

Questo è il punto di forza che giustifica ogni autentico, se così lo vogliamo chiamare, umanesimo cristiano, con le feconde conseguenze di poter parlare ancora di luce, di dignità, di libertà, di speranza, di salvezza, di giustizia, di pace, per questo nostro mondo dal quale nessuno di noi deve esiliarsi, scegliendo come inevitabile ancora di salvezza l’angustia del proprio cuore, dei propri piccoli interessi e delle proprie piccole certezze, perché sono patrie inadeguate all’altissima vocazione che Dio ha donato al nostro cuore, che esige non un’isoletta con la palma come spazio di libertà, esige la vastità del mondo intero, della storia intera, delle relazioni tutte intere, altrimenti dovremmo dire che l’uomo è schiavo della paura, che più forte dell’amore è la paura e il male, che Dio e conseguentemente l’uomo sono invincibilmente condizionati dal male, questa non è la parola evangelica, la parola evangelica è proprio risveglio, nostro, non di Dio, ma in questa mirabile notte effettivamente sembra quasi che svegliandosi il Signore, ci doni colui che risveglia ciascuno di noi dalla grande tentazione di dileguarsi, ed ecco allora il tema luziano, rimani dove sei, rimani dove sei.

Vedete che è una poesia rivolta a Maria ma è rivolta anche a ciascuno di noi, perché il presepe, fratelli e sorelle carissimi, deve interrogare ciascuno di noi, dove vogliamo andare, vogliamo o non vogliamo affrontare l’esodo e la traiettoria che il Signore Gesù affronta fin dall’inizio, in questa nostra derelitta plaga dove si insedia il Signore, offrendosi all’adorazione per risvegliare anche in noi una capacità di adorazione, di contemplazione, di stupore e anche di azione.

E’ bellissimo no, questo gioco, sentite che come un ricamo, sopra e sotto, e il filo è il filo del suo amore, l’esito è questa umanità finalmente partecipe della sua vera vocazione divina e l’intreccio ricama la filigrana della storia, nessuno se ne accorge ma noi sappiamo che è quella filigrana a inverare tutta la storia. Ecco, noi ci avviamo alla conclusione di questa parte perché poi appunto abbiamo questo nostro piccolo e semplice esercizio di stupore e di adorazione con l’allestimento, davvero molto molto semplice del presepe, proprio condividendo questo meraviglioso testo di San Bernardo, peraltro molto noto, chissà che non abbia già fatto una meditazione di Natale su questo, non ricordandomene più, chiedo scusa, ma ormai iniziano a essere un po’ di anni e io sto invecchiando.

L’omelia sulla Madonna di San Bernardo è come una invenzione di una portata retorica e teologica straordinaria, geniale, veramente geniale. San Bernardo e credo davvero abbia ispirato Mario Luzi, in questo caso non è nello studio di Simone Martini, ma è addirittura a Nazareth, nella casa di Maria e come un regista ferma la storia, ferma l’immagine e con una voce fuori campo ci rende tutti noi protagonisti di un evento da cui dipende, per tutto quello che abbiamo detto la libertà di Dio, la libertà dell’uomo, la potenza umiliata di Dio e la responsabilità dilatata del cuore dell’uomo, ci permette di essere lì e di avere anche noi una voce, una possibilità in quell’istante lì, che è accaduto duemila anni fa, è vero, che in realtà, in forza di quanto stiamo dicendo, si ripropone come istante dopo istante nel quale si gioca ancora oggi una possibilità più o meno nuova per il prosieguo della nostra storia umana, quella vera eh! Quella della filigrana di luce, la storia esteriore va avanti così come va, ma noi non ci rassegniamo.

 

Dalle Omelie sulla Madonna, di San Bernardo abate. Om.4, 8-9

Hai udito, Vergine, che concepirai e partorirai un figlio; hai udito che questo avverrà non per opera di un uomo, ma per opera dello Spirito santo. L’angelo aspetta la risposta; deve fare ritorno a Dio che l’ha inviato. Aspettiamo, o Signora, una parola di compassione anche noi, noi oppressi miseramente da una sentenza di dannazione. Ecco che ti viene offerto il prezzo della nostra salvezza: se tu acconsenti, saremo subito liberati. Noi tutti fummo creati nel Verbo eterno di Dio, ma ora siamo soggetti alla morte: per la tua breve risposta dobbiamo essere rinnovati e richiamati in vita. -guardate, qui Bernardo ha una chiarissima consapevolezza che è sempre bene ricordare, lo abbiamo fatto nel ritiro degli Oblati sabato scorso e cioè che non è possibile pensare la creazione dell’uomo prescindendo da Cristo, che preesiste a tutta la creazione, in modo tutto particolare all’uomo, però guardate che bello, effettivamente Bernardo riconosce che siamo stati creati nel verbo eterno di Dio, non c’è altro luogo dove il Padre abbia pensato e creato l’uomo che non sia Cristo, l’uomo perfetto, però attenzione, il suo Natale nella nostra storia, reso possibile dalla breve risposta di Maria, rinnova e richiama in vita. Che è proprio quello che noi stiamo vivendo come grande tentazione, una storia che non si rinnova più, una vita che langue, muore, si seppellisce in se stessa. E allora ecco che anche noi siamo qui a supplicare in pianto la Vergine pia- Te ne supplica in pianto, Vergine pia, Adamo esule dal paradiso con la sua misera discendenza; te ne supplicano Abramo e David; te ne supplicano insistentemente i santi patriarchi che sono i tuoi antenati, i quali abitano anch’essi nella regione tenebrosa della morte.

Tutto il mondo è in attesa, prostrato alle tue ginocchia: – guardate che monumento sta costruendo Bernardo alla Vergine Maria, che colossale responsabilità addossa alla umanità di Maria, libera di scegliere, come di dire no. Vedete come ci riporta proprio al cuore di questo grande mistero che stasera evochiamo per questa ossigenazione di luce della nostra fede e dei nostri cuori -dalla tua bocca dipende la consolazione dei miseri, la redenzione dei prigionieri, la liberazione dei condannati, la salvezza di tutti i figli di Adamo, di tutto il genere umano. -si potrebbe dire con Mario Luzi dei colori e della creatività di tutti gli artisti- O Vergine, da’ presto la risposta. Rispondi sollecitamente all’angelo, anzi, attraverso l’angelo, al Signore. Rispondi la tua parola e accogli la Parola divina, emetti la parola che passa e ricevi la Parola eterna. -bellissimo anche questo gioco davvero quasi idraulico, di vasi comunicanti che rendono il nostro cuore abitabile dalla parola di Dio- Perché tardi? perché temi? Credi all’opera del Signore, da’ il tuo assenso ad essa, accoglila. -sono i verbi chiavi dell’esperienza della fede, io credo che tutti noi ci riconosciamo in Maria e in Maria inscriviamo anche la nostra povera fede, le nostre tentazioni, quelle con le quali tardiamo all’appuntamento col Signore, lo temiamo, viceversa ci è dato di credere all’opera del Signore a dare il nostro assenso. Scusate, ma mi faccio prendere dall’entusiasmo, perché ognuno di noi ha sete, credo di questo, Bernardo non dice genericamente di credere in Dio ma credere all’opera di Dio. L’Opus Dei è l’espressione con la quale i monaci chiamano la liturgia, ma Bernardo non dice banalmente credi alla liturgia, credi a quell’opera di Dio nella storia di cui la liturgia diventa un segno, una celebrazione, un’esperienza, una memoria, una profezia, le due cose si tengono insieme, perché se noi non crediamo in un Dio che opera nella storia inevitabilmente la nostra fede è una fede intellettualistica, è filosofia, non è teopatia, per così dire, cioè passione di Dio , non so se cogliete questo passaggio, noi siamo invitati a credere all’opera di Dio e a diventarne come Maria corresponsabilmente testimoni, missionari- Nella tua umiltà prendi audacia, nella tua verecondia prendi coraggio. In nessun modo devi ora, nella tua semplicità verginale, dimenticare la prudenza; ma in questa sola cosa, o Vergine prudente, non devi temere la presunzione. Perché, se nel silenzio è gradita la modestia, ora è piuttosto necessaria la pietà nella parola.
Apri, Vergine beata, il cuore alla fede, le labbra all’assenso, il grembo al Creatore. -c’è una dimensione importante che voglio anche qui sottolineare, giustamente San Benedetto mille volte nella Regola ci invita a non diventare presuntuosi, cioè quelli che presumono di essere qualcuno e qualcosa davanti a Dio, però arriva anche un momento in cui invece il Signore ci dona la possibilità di una santa presunzione, per così dire, la pietà della parola rende consapevole il nostro cuore di come egli ci sta cercando, perché siamo desiderabili al cuore di Dio, lui vuole impiantare una parola nel nostro cuore che risvegli la consapevolezza di essere amati, cercati, desiderati dal Signore. Questa sì che è la santa presunzione, quanto mai necessaria che ricordiamo alle persone che in questi giorni vengono a confessarsi, lo ricordiamo perché le persone che magari effettivamente vivono spesso anche la confessione come un dramma personale di umiliazione e che magari proprio a Natale ritrovano un po’, direi quasi l’ebbrezza, la follia di mettersi alla prova con questo momento che troppe volte facciamo veramente diventare, ha ragione il Papa un tribunale, le persone nemmeno più si immaginano di poter essere ancora desiderabili dall’amore del Signore, non lo sono più agli occhi del marito, dei figli, della moglie, quindi figuriamoci poi il Signore e vedete come la celebrazione dei sacramenti è veramente unzione della persona, anche fisica, si dovrebbe uscire, lo dico, proprio più belli dalla confessione come più belli usciamo dalla celebrazione eucaristica, se noi perdiamo di vista questo agire integrale dello spirito nella nostra vita, ripeto, questa fede è molto schizofrenica, agisce in parti pellicolari della nostra persona, mentre invece è una grazia che investe la nostra interiorità perché tutto di noi si trasfiguri.- Ecco che colui al quale è volto il desiderio di tutte le genti batte fuori alla porta. Non sia, che mentre tu sei titubante, egli passi oltre e tu debba, dolente, ricominciare a cercare colui che ami. Levati su, corri, apri! Levati con la fede, corri con la devozione, apri con il tuo assenso.
“Eccomi”, dice, “sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto” (Lc 1, 38).

 

Ecco il versetto con cui Maria risponde a tutto questo e rispondendo al Signore pone fine a questa quasi impudente omelia di Bernardo, ci voleva davvero l’audacia di un mistico, noi abituati come siamo a una devozione mariana, amen, per carità e lui come vedete è così innamorato di Maria, ma veramente amore nello spirito, che si permette di dire: non perdere l’occasione! Ma questa è una raffinatissima teologia, il Signore lavora nel tempo, attraversa il tempo, è un’opera di Dio nel tempo oltre che negli spazi, per questo dobbiamo stare attenti, camminiamo finché abbiamo la luce, ci insegna la Regola di San Benedetto evocando San Giovanni, cioè finché c’è luce noi possiamo accorgerci di qualcosa, quando la luce è finita e precipitiamo nel buio è troppo tardi. Guardate che uno dei drammi della nostra contemporaneità è questa quasi assente cultura del tempo, del frammento, della preziosità del kairos e questo soprattutto i nostri giovani lo vivono in questa dispersione, dissipazione del tempo che è un segnale che vorremmo in qualche modo arginare anche attraverso questa bellissima pagina per cui la cura del tempo è niente di meno raccomandata da San Bernardo alla Vergine Maria, perché anche per lei c’è un tempo oltre il quale non è più tempo.

La poesia di Cesare Viviani che trovo molto molto bella e che trovate negli auguri di Natale, è il senso di una speranza abbacinante che è l’augurio che fo veramente a ciascuno di voi, con tutto il cuore perché sia un Natale di luce, un Natale direi quasi orientale, per noi occidentali e in effetti come il discorso di San Massimo che non abbiamo citato ma che ho messo essendo il solstizio di inverno, questo ci fa sperare: il sole riprende a dilatarsi ed è un segnale cosmico, sappiamo benissimo il perché meccanico di tutto questo, ma simbolicamente ci sembra un modo con cui davvero anche la natura si sottomette al significato più vero del Natale.

 

Arriva un tempo in cui finisce il tempo

e sempre più si assottiglia e aderisce

alle rughe della terra e dei massi.

La memoria è il velo sottile di muschio

che c’è e non c’è. Lo spazio

non ha confini, è irriconoscibile.

Ogni bagliore è luce dell’eterno,

è riflesso divino.

 

Appendice: San Massimo di Torino

 

“il tempo ci avverte che il Natale di Cristo Signore è vicino. Il mondo con le sue stesse angustie dice l’imminenza di qualche cosa che lo rinnoverà, e desidera con un’attesa impaziente che lo splendore di un sole più fulgido illumini le sue tenebre. Mentre, per la brevità delle ore, teme che il suo cammino stia per finire, con una certa qual speranza scopre che l’anno sta trasformando il suo corso. Quest’attesa della creazione persuade anche noi ad attendere il sorgere di Cristo, nuovo Sole, perché illumini le tenebre dei nostri peccati…E poiché possiamo presentire il Natale del Signore dagli stessi segni della natura, facciamo anche noi quel che essa fa: come in quel giorno sulla terra comincia ad aumentare la durata della luce, così anche noi allarghiamo la misura della nostra virtù”

 

Trascrizione e redazione a cura di Grazia Collini

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